Omelia di S.E. card. Marco Cè al funerale del prof. Vittore Branca
Santo Stefano, Venezia - 31 maggio 2004
31-05-2004

Omelia del Card. Marco Cè ai funerali del Prof. Vittore Branca
Santo Stefano 31 maggio 2004

Gentili Autorità, fratelli e sorelle nel Signore,

ci siamo raccolti per celebrare il congedo cristiano dal Prof Vittore Branca che il Signore ha chiamato a sé: noi lo affidiamo con serena fiducia all’abbraccio paterno di Dio, Padre di infinita misericordia.
Siamo qui, rappresentanti di una comunità ecclesiale a cui egli è attivamente appartenuto, nella chiesa di Santo Stefano in cui con umile semplicità, insieme alla Signora Olga, alimentava la sua fede. Siamo qui, rappresentati di una Città e di un Paese che egli ha appassionatamente amato e che ha onorato col suo alto impegno culturale e civile, condotto fino al termine della sua lunga vita.
Quello che stiamo vivendo è il momento del raccoglimento affettuoso nella preghiera e nella fede, accanto alla moglie, ai figli e ai nipoti: quella famiglia che egli adorava, che lo ha amato e custodito anche nei momenti più dolorosi. Ad altre sedi, civili e accademiche, competerà di celebrarne l’opera di studioso, ricercatore rigoroso e instancabile (lui si definisce ‘un fante della critica e della filologia’, per le lunghe strade percorse, consumando molte scarpe e pestando molto fango: Cfr Protagonisti nel novecento,pp.332 e 353) di italianista di fama mondiale, insieme al suo impegno di militante audace nella resistenza e di parte attiva nella rinascita del Paese. Di fatto egli fu un testimone della cultura italiana sulle cattedre universitarie di letteratura in Patria e all’estero, come fa fede anche il ruolo avuto nell’attivazione dell’UNESCO.
Sia concesso però a me di sottolineare particolarmente il suo decisivo contributo nella creazione della Fondazione Cini, chiamato dal Conte Vittorio, e poi per l’accompagnamento dell’attività della Fondazione nella sua storia ormai cinquantennale come consigliere, Segretario Generale, Vicepresidente e Presidente. Proprio in quella sede intrecciai con lui una consuetudine che divenne amicizia, fatta, da parte mia, di ammirazione e di venerazione.

2. Il Prof Branca nella nota introduttiva all’ultima sua opera : ‘Protagonisti nel novecento’, uscita da qualche mese, narrando appunto dei protagonisti dell’ultimo secolo, ricorda d’avervi partecipato ‘molto modestamente, lui dice, operando lungo settant’anni nella ricerca di verità e libertà’. In queste due parole: ‘verità e libertà’, mi pare si trovi la chiave interpretativa della sua vita. Ne individuarei le radici in un momento decisivo della sua maturazione spirituale e umana, quando, nell’esperienza degli Universitari Cattolici, incontrò don Giovanni Battista Montini. Di lui Branca ricordava sempre un testo: ‘Spiritus Veritatatis’ che lo ha sedotto e che, in qualche modo, lo ha guidato in tutta la vita, dando senso ‘spirituale’ al suo impegno culturale e civile. Cito poche righe di Montini riportate dallo stesso Branca: ‘Lo studio è fatica e dolore, dolore e fatica dell’anima, materia della più alta moralità. Crediamo alla mistica della ricerca perché vogliamo avere un’ascetica della ricerca. Vi crediamo perché impegnamo nel nostro lavoro la coscienza di servire una causa, la grande causa della Verità”(p.94). Quante volte Branca mi ha parlato proprio di questa ‘ascetica’ della ricerca della verità e della libertà. E quante volte mi ha ricordato le parole di Montini, secondo il quale ‘la ricerca è di pari dignità alla preghiera, perché preghiera e ricerca mirano alla scoperta della stessa realtà, all’unione con essa, cioè con Dio che è verità e con la verità che è Dio’ (p.92).
Così capisco, non solo il suo impegno giovanile nella resistenza e nella ricostruzione della patria, ma anche il rigore ascetico, direi, con cui ha condotto i suoi studi di autentico umanista, spaziando su vasti orizzonti con infaticabile passione per la ricerca, cioè per quei valori dello spirito per cui l’uomo è grande, appunto capace di verità e di libertà.
Con questo viatico Vittore Branca ha affrontato anche la prova della sofferenza nella malattia che lo ha condotto alla morte, carico di anni.

Giobbe (19,23-27), immagine dell’uomo retto che soffre, scioglie il dramma del dolore nell’incontro col Vivente: ‘Io so che il mio Redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! Dopo che questo mio corpo sarà distrutto’io vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, e i miei occhi lo contempleranno non da straniero’ ( Cfr Gb 19,23-27).
La verità, la luce sempre cercata, e la pienezza della libertà che hanno dato senso a tutta la vita di Vittore Branca, sono finalmente raggiunti.

3. Il vangelo che abbiamo ascoltato (Mc 15,33-39; 16,1-6) ha proclamato la morte di Gesù e la sua risurrezione. Nel Figlio di Dio che muore, noi vediamo anche la nostra morte: Lui l’ha assunta e l’ha fatta sua. In ogni uomo che muore ‘ in ogni figlio di Dio che muore, perché tale è, radicalmente , ogni uomo ‘ è Cristo che muore.
Ancora: dietro quel crocifisso noi vediamo tutto il dramma dell’uomo; un uomo che ha rifiutato Dio e si dilania nelle sue paure, nelle ingiustizie e nelle violenze. I figli di Dio che hanno rifiutato il Padre!

Ma il vangelo, dopo la morte di Gesù, ha proclamato la sua risurrezione. E il credente sa che Cristo risorge ‘come primizia’ di coloro che sono morti, perché tutti coloro che muoiono in Cristo risorgeranno, come Lui è risorto: ‘Io sono la risurrezione e la vita’, dirà Gesù alle sorelle di Lazzaro. ‘Chi crede in me, anche se è morto, vivrà e chiunque vive e crede in me non morirà in eterno’ (Gv 11,25-26).
Questa è la nostra fede. Questa è la fede che Vittore Branca, senza esibizioni e con disarmata semplicità, ha professato e vissuto. Questa fede lo ha sostenuto quando ha preso consapevolezza che era giunta l’ora di passare da questo mondo al Padre. Egli se ne è andato due giorni prima che la Chiesa, con la Pentecoste, conchiudesse le sue feste di Pasqua. Noi crediamo e speriamo che Vittore Branca ora sia nella Pasqua che non conosce tramonto.

E’ ora che noi ci congediamo da lui. E questo ci rattrista. Canta però una dolcissima melodia gregoriana: ‘Subvenite sancti Dei, occurrite angeli Domini”, ‘Venite, santi di Dio, accorrete, angeli del Signore. Accogliete la sua anima e presentatela al trono dell’Altissimo. Ti accolga Cristo, che ti ha chiamato, e gli angeli ti conducano con Abramo in paradiso’.

Così, caro Professore, noi ci congediamo da te nella fede, sorretti dalla speranza che tu sia presso quel Padre che non divide, ma unisce. Presso di Lui tu sarai intercessore e consolatore per i tuoi cari e per tutti noi, per questa Città che hai tanto amato e per la nostra Patria che hai onorato.
Caro Vittore, sposo affettuso, padre e nonno tanto amato, riposa in pace.