Omelia della Domenica di Pasqua (Venezia, 16 aprile 2006)
16-04-2006

BASILICA PATRIARCALE DI SAN MARCO
DOMENICA DI PASQUA
At 10,34.37-43; Sal 117; 1Cor 5,6-8; Mc 16,1-8
Venezia, 16 aprile 2006

OMELIA DEL PATRIARCA DI VENEZIA, CARD. ANGELO SCOLA

1. «Chi ci rotolerà via il masso dall’ingresso del sepolcro?» (Vangelo) si chiedono preoccupate Maria di Magdala, Maria di Giacomo e Salome recandosi, di buon mattino e di buon passo, per prime al Golgota.
Sono venute con gli oli aromatici per prendersi cura del corpo del Maestro tanto amato e sono lontane anche solo dall’immaginare quello che poi, loro malgrado, saranno costrette a constatare. Il masso, benché fosse molto grande, è già stato rotolato via e un giovane sfolgorante, seduto sulla destra annuncia loro: «Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano deposto» (Vangelo).

2. Di fronte al succedersi dei fatti le donne provano paura. «Videro un giovane’ vestito di una veste bianca ed ebbero paura»’ «Fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e di spavento» (Vangelo). Invece di andare a «dire ai suoi discepoli e a Pietro» che «Gesù li precede in Galilea»’ «non dissero niente a nessuno perché avevano paura» (Vangelo).
La ragione di tanta paura è il progressivo imporsi del dato sconvolgente della Risurrezione. Ora si profila chi è veramente Gesù. L’Ecce homo, indicato da Pilato alla folla, è il Crocifisso-Risorto.
La paura delle donne non è la stessa che cominciò ad attanagliare i discepoli nei giorni della passione e che li fece fuggire. È una paura diversa. Non è quella che si prova davanti all’annunciarsi di un tragico scacco, come fu per l’arresto, la condanna e la morte di Gesù; ma quella che nasce da un evento gratuito, naturalmente impossibile anche se pieno di positività. Di fronte allo svelarsi compiuto dell’Ecce homo – il Crocifisso-Risorto – le donne, prima, e gli Apostoli, poi, barcollano per un timore che farà, lentamente ma progressivamente, spazio alla gioia piena. Non la paura alimentata aall’angoscia di una fine tragica che chiude una storia, ma il timore trepido per un inizio sconvolgente che apre ad una più potente avventura (ad-ventura).

3. Carissimi, come non vedere che in quel singolare uomo ormai risorto la storia chiude con la morte intesa come cifra di civiltà, per sostituirvi la Risurrezione?
La Risurrezione è ora la chiave con cui leggere la storia. L’Ecce homo così inteso, quello che, colma di gioia, oggi la Chiesa ci annuncia, diventa il fattore decisivo per comprendere l’uomo del Terzo millennio.
Le civiltà pre-cristiane, anche quelle profondamente religiose, rispondevano all’oltraggio della morte con una pietas che si sforzava di prolungare il ricordo del trapassato dando durata al cadavere con gli unguenti, gli oli, l’imbalsamazione. Con il Risorto tutto questo perde di significato. Inutili gli oli per il cadavere. Egli viene unto da Maria a Betania sei giorni prima di Pasqua. I due principali processi di imbalsamazione non hanno alcuna ragione di essere. Non servono aghi con cui svuotare il cervello. Il suo capo è trapassato dalla corona di spine all’inizio della Passione. Né ha senso togliere le interiora. Dal costato squarciato del Crocifisso erano sgorgati sangue ed acqua.
La morte di Cristo non chiude la vita nella tomba del passato ma, al contrario, la apre ad un futuro pieno di speranza.
A comprendere questa esaltante verità ci aiuta, molto più efficacemente delle parole, uno dei mosaici più belli della nostra Basilica: La discesa di Gesù agli inferi per ‘liberare’, in Adamo ed Eva, tutti i ‘giusti’. Cristo, aprendo anche «a noi il passaggio alla vita eterna» (Orazione di Colletta), ci trascina nel potente vortice della sua risurrezione.

4. Oggi, nell’epoca delle biotecnologie, guardare al Risorto diventa decisivo per comprendere le trasformazioni radicali cui sono sottoposte le stesse nozioni di nascita, di vita e di morte.
In che modo? Facendo spazio nella nostra esistenza all’esperienza di vita di Gesù Cristo. In cosa consiste concretamente? Nell’amore vero che vince la morte, nella vita eterna che comincia quaggiù mediante la fede delle comunità cristiane e nella nuova parentela che Gesù inaugura sulla croce tra Maria e Giovanni. Una parentela più potente di quella della carne e del sangue.
Questi sono i tratti dell’uomo nuovo: Gesù morto e risorto. Sono utopistici? No. Solo che per realizzarli dobbiamo riconoscere che, come per Cristo, anche per noi, l’essere è indivisibile dal dovere, impegna la nostra volontà. Non però come esibizione di potenza, ma come risposta al dono d’amore che dallo Spirito del Risorto ci viene continuamente elargito. «Non sapete che un po’ di lievito fa fermentare tutta la pasta? Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi» (Seconda Lettura).
A noi uomini del Terzo Millennio, ormai in grado di intervenire sui processi della sessualità, della nascita, della vita e della morte, il Risorto – l’uomo riuscito, alla cui esperienza ci è dato di partecipare – chiede di vincere la tentazione titanica che si nasconde dietro l’imperativo tecnologico ‘se si può fare si deve fare’: Dobbiamo invece aprirci alla forza edificatrice dell’amore vero. Nella potenza del Risorto che con delicatezza si mostra alla Maddalena, alle donne, ai suoi, c’è l’energico invito alla nostra libertà perché i risultati spettacolari delle scienze e delle tecnologie siano posti al servizio di questa prospettiva di eternità che sola è in grado di rispettare pienamente la dignità di ogni singolo uomo? Anche se tecnicamente è possibile separare differenza sessuale, amore e procreazione, questi tre fattori sono indisgiungibili sul piano del valore. Separarli è un di meno, un’involuzione dell’umano, destinata alla fine ad abolirlo.
Anche in questi decisivi aspetti dell’umana esistenza i figli del Risorto, i cristiani, insieme a tutti gli uomini di buona volontà, debbono con ferma delicatezza testimoniare a tutti la bellezza dell’amore che si impara da Gesù.

5. «Non morirò, resterò in vita e annunzierò le opere del Signore» (Salmo responsoriale). Nel Risorto noi siamo stati strappati alla morte. Incorporati in Lui, «fusi insieme in un’unica esistenza» (Deus caritas est, 14), siamo stabilmente immersi in un dinamismo di libertà carica di verità e di speranza.
Possiamo annunciare le opere del Signore perché Egli è all’opera nella nostra vita personale e comunitaria, rendendo accessibile quel bene che il nostro cuore non cessa di desiderare. Ogni vita umana, dal concepimento fino al suo termine naturale, è affermata e custodita. Le relazioni costitutive dell’esistenza di ogni uomo ‘ tra l’uomo e la donna, tra genitori e figli, tra amici, tra compagni di lavoro’ – per la forza rigenerante del perdono si aprono al ‘per sempre’. All’umana famiglia è donata un’indomabile energia di edificazione perché sappia finalmente coniugare la giustizia e l’amore, condizioni di vera pace. Al rapporto con il creato è restituita la possibilità di ritrovare l’equilibrio originario.

6. Pieni della speranza che il gioioso evento della Risurrezione suscita in noi rivolgiamoci quindi a Maria, «la Vergine, la Madre che ci mostra cos’è l’amore» (Deus caritas est, 42).
O Maria, noi affidiamo a Te le nostre persone, le nostre famiglie, la nostra città e l’intero nostro mondo, così spesso confuso e lacerato ma pieno di fascino, Tu «con la speranza rendi salde le nostre menti vacillanti, rinvigoriscile con la carità: rendici concordi, allontana le meschinità, perdona le colpe» [spe labentes firma mentes caritate robora: fac concordes, pelle sordes, excusa facinora (Inno pasquale: Isti sunt agni novelli)]. Amen.