Omelia della domenica delle Palme (4 aprile 2004)
04-04-2004

BASILICA PATRIARCALE DI SAN MARCO
DOMENICA DELLE PALME

PROCESSIONE DA S. MARIA FORMOSA ALLA BASILICA E S. MESSA

OMELIA DEL PATRIARCA DI VENEZIA, CARD. ANGELO SCOLA

Venezia, 4 aprile 2004

1. «Accompagniamo con fede e devozione il nostro Salvatore nel Suo ingresso nella città santa, e chiediamo la grazia di seguirLo fino alla croce, per essere partecipi della Sua risurrezione». Così abbiamo pregato all’inizio di questa solenne celebrazione, agitando le palme e i rami d’ulivo come la folla che lo accolse festosa duemila anni fa. Nel gesto che insieme abbiamo compiuto è racchiuso il senso di tutta la nostra vita.
La Domenica delle Palme, che in un certo modo concentra in anticipo tutta la Settimana Santa, spiega il vero significato di tutte le settimane dell’anno. Perché? Perché i riti della croce e Risurrezione di Gesù nostro redentore che, a cominciare da oggi, vivremo nei prossimi giorni, ci offrono il significato del tempo. Se con la Risurrezione la vita vince la morte, allora in essa l’eterno salva il tempo, strappandogli ogni sapore di condanna. Il nostro tempo non va verso la fine, e noi non precipitiamo nel nulla, ma il tempo diviene, mediante il rito liturgico, il terreno fecondo dell’abbraccio del Padre eterno alla nostra libertà.
Gesù, deciso e consapevole – «rendo la mia faccia dura come pietra» (Is 50,7) – fece il suo ingresso a Gerusalemme per consegnare la Sua vita al Padre sulla Croce e per esservi da Lui esaltato nella risurrezione. Anche noi, ognuno di noi, entra nella vita per consegnarsi al Padre attraverso il dipanarsi delle circostanze e dei rapporti ai fini di ricevere dalle Sue mani il proprio compimento.
Accompagnare con fede e devozione il nostro Salvatore come stiamo facendo non è partecipare ad una sacra rappresentazione, ma vuol dire decidere positivamente, attraverso questa azione eucaristica, di aver parte con Gesù, in ogni istante della nostra esistenza. Egli è nello stesso tempo la vittima, il sacerdote e l’altare.

2. Il racconto dell’Istituzione dell’Eucaristia propostoci dalla passione secondo Luca (Lc 22,14-20), appena proclamata, ci fa comprendere anzitutto che sulla Croce Gesù, il Vivente, è la vittima, l’offerta viva, che si è sacrificata per riconciliare l’uomo con Dio. Ma qui sta la differenza abissale con ogni altra vittima di ogni altro sacrificio: la vittima-Gesù non è un’offerta viva presentata a Dio da un altro. Egli ‘ pane spezzato e sangue versato ‘ si dona da sé liberamente (sponte): «Poi, preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi”» (Lc 22, 19-20).
In questa Sua consegna al Padre Gesù, l’Innocente che si lasciò trattare da peccato, manifesta fino in fondo la propria identità: «Io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22, 27). Nel comando «fate questo in memoria di me» (Lc 22, 19) Egli chiede a noi di fare altrettanto. In ogni circostanza, in ogni rapporto siamo vittime (offerta viva) che partecipano alla Sua opera di salvezza se ci lasciamo «prendere a servizio» da Gesù. In famiglia, nel quartiere, nel lavoro, nell’edificazione della civitas il cristiano è colui che è preso a servizio. È in permanente offerta di sé (vittima) come il suo Signore. I non pochi martiri cristiani, anche ai nostri giorni, ce lo richiamano con forza.

3. Davanti all’oceano di iniquità che ci sommerge fuori e dentro di noi ‘ penso evidentemente agli attentati terroristici di questo ultimo mese, penso alle guerre, soprattutto a quelle dimenticate, che devastano intere popolazioni, o alle ingiustizie che non cessano di lacerare i rapporti tra uomo e uomo, tra popolo e popolo’ ma penso anche alla rabbia e alla violenza che si scatena nel nostro cuore davanti al disprezzo della vita innocente, alla nostra totale incapacità di perdonare, di concedere un’altra possibilità a chi ci ha fatto del male’- noi ci sentiamo impotenti e, come i discepoli nell’Orto degli Ulivi, siamo tentati di lasciarci sopraffare dall’angoscia. «’ e li trovò che dormivano per la tristezza» (Lc 22,45).
Invece Gesù si lascia condurre come un agnello al macello (cfr Is 53,7), per poter dire al malfattore crocifisso con lui, un istante prima di esalare l’ultimo respiro, «oggi sarai con me nella vita definitiva» (cfr Lc 23,43). La vittima innocente, che ha compassione della nostra debolezza, delle nostre menti ottenebrate, giunge fino a farsi nostro avvocato presso il Padre: «’Perdonali, perché non sanno quello che fanno’» (Lc 23,34). Egli si rivela, pertanto, in questa azione eucaristica, come Colui che rende ad ogni cosa la sua profonda verità. La mette in relazione con Dio, la fa sacra. Egli, la vittima, è, nello stesso tempo il sacerdote (Colui che ‘rende sacro’). Egli è il ponti-fex della Nuova Alleanza, colui che riconcilia con Dio Padre ogni uomo che si pente.
Noi ora siamo il suo popolo santo, un popolo sacerdotale. Perciò i cristiani sono chiamati ad essere nella Chiesa e nel mondo questo ponte di verità, di unità, di bontà, di bellezza, di pace e di giustizia. Devono esserlo in ogni circostanza, felice o avversa.

4. La Passione del Signore è il più grande dramma che si attui sul palcoscenico della storia perché in essa Gesù, pagando di persona, scioglie l’enigma della storia. La storia allora si concentra, in un certo senso, in Gesù. Egli è quindi l’altare su cui il sacerdote Gesù compie il sacrificio, facendosi Egli stesso vittima (offerta viva). Nell’azione eucaristica che stiamo vivendo Gesù rende altare della storia anche noi, cristiani, gli agni novelli, coinvolgendoci nel suo sacrificio e nel suo sacerdozio.
Se Gesù con la croce gloriosa ed i suoi aprono la storia al suo significato, allora essi sono l’altare, cioè il luogo sacro in cui ogni storia personale e sociale si lascia concentrare per divenire offerta pura, santa ed immacolata al Padre. Qui sta la vera radice della carità. Di quello svuotamento (Kenosi) di cui ci ha parlato la Lettera ai Filippesi. I bisognosi, il prossimo, perfino i nemici devono trovare in noi cristiani l’altare dell’amore che li accoglie. Così i cristiani diventano costruttori della civiltà perché risplenda, nella verità, la dignità di ogni uomo ed il suo inestimabile valore.

5. Cristo Gesù ‘ vittima, sacerdote ed altare ‘ è il protagonista della storia. Un protagonista che invita all’azione dei co-agonisti. Come è avvenuto duemila anni fa, anche oggi ciascuno di noi è chiamato a stare sulla scena in maniera personale e singolare. La nostra libertà deve decidere: che parte scegliamo? Quella di Pietro che, pur non sapendo resistere alla propria fragilità, non si sottrae allo sguardo amoroso di Gesù: «Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto: ‘Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte’ E, uscito, pianse amaramente» (Lc 22,61-62). O quella della perversa curiosità di Erode – «Erode, con i suoi soldati, lo insultò e lo schernì, poi lo rivestì di una splendida veste» (Lc 23,11) ‘ o del borghesismo arroccato a difendere la propria posizione di Pilato: egli «rilasciò colui che era stato messo in carcere per sommossa e omicidio e che essi richiedevano, e abbandonò Gesù alla loro volontà» (Lc 23,25). Quella del cattivo ladrone che rabbiosamente insulta il Crocifisso ‘«’Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!’ (Lc 23,39) ‘ o quella del buon ladrone, che riconosce il proprio male e implora la misericordia dell’Innocente condannato: «’Neanche tu hai timore di Dio, benché condannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male’ (Lc 23,41-42).

6. Gesù accetta di prendere il nostro posto: «Egli, che era senza peccato, accettò la passione per noi peccatori e, consegnandosi a un’ingiusta condanna, portò il peso dei nostri peccati. Con la Sua morte lavò le nostre colpe e con la Sua risurrezione ci acquistò la salvezza» (Prefazio). Abisso d’amore solidale proprio della sostituzione vicaria! Egli, che poteva non morire, ha scelto liberamente di consegnarsi alla morte perché noi potessi accompagnarlo nel Suo ingresso nella città santa, seguirLo fino alla croce, ed essere partecipi della Sua risurrezione.
Risurrezione: la grande prospettiva che sulla soglia di questa Santa Settimana già riempie il nostro cuore di letizia. Amen.

(AL TERMINE DELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA, PRIMA DELLA BENEDIZIONE FINALE)

Jesus agrees to take our place. He who could choose not to die, chose freely to give himself up to death that we may share His Resurrection.
Resurrection: the great prospect that on the threshold of the Holy Week already fills our hearts with gladness. Amen!

Jésus accepte de prendre notre place. Lui, qui pouvait ne pas mourir, a choisi librement de se livrer à la mort pour que nous puissions avoir part à Sa résurrection.
Résurrection: la grande perspective qui, au seuil de cette Semaine Sainte, remplit déjà notre c’ur de joie (laetitia). Amen

Jesus tritt freiwillig an unsere Stelle. Er, der nicht sterben mußte, hat freiwillig den Tod auf sich genommen, damit wir an seiner Auferstehung teilnehmen können.
Auferstehung: an der Schwelle zur Karwoche ein grandioser Ausblick , der uns schon jetzt mit Freude erfüllt. Amen .

Jesús acepta ocupar nuestro puesto. El, que podía no morir, ha elegido libremente entregarse a la muerte para que nosotros participando ahora de su cruz, mereciésemos un día tener parte en su resurrección.
Desde el umbral de la Semana Santa, llena el corazón de leticia. Amén.