S. Messa nel Mercoledì delle Ceneri
(Venezia – Basilica cattedrale di San Marco, 10 febbraio 2016)
Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia
Abbiamo ascoltato, poco fa, le parole della Colletta con cui ha avuto inizio la prima celebrazione eucaristica del tempo quaresimale: “Dio, nostro padre, concedi al popolo cristiano di iniziare con questo digiuno un cammino di vera conversione, per affrontare vittoriosamente, con le armi della penitenza, il combattimento contro lo spirito del male”. Vorrei soffermarmi oggi su due punti: 1) “concedi al popolo cristiano”; 2) “un cammino di vera conversione”.
“Concedi al popolo cristiano”: la Quaresima è un cammino ecclesiale. È un cammino fatto con e nella la Chiesa; è come membri della Chiesa che ci prepariamo alla Pasqua. Forse giova ricordare che, storicamente, il tempo di preparazione alla Pasqua era il tempo dell’ultima preparazione di coloro che accedevano al battesimo; poi divenne anche il tempo di coloro che terminavano il cammino penitenziale (in genere il giovedì santo) e venivano riammessi – dopo un serio cammino penitenziale, appunto – all’eucarestia. La Chiesa si è così compresa sempre più come comunità penitente, che deve riformarsi, che deve espellere dal suo intimo il peccato ricorrente. Ed allora la Quaresima è diventato tempo ecclesiale.
Come prima cosa, quindi, dobbiamo ricuperare all’inizio di questo tempo liturgico il “senso ecclesiale”, il nostro essere con gli altri l’unico corpo di Cristo. Gli altri mi appartengono in quanto appartengono a Cristo, come io appartengo a Cristo e, quindi, dobbiamo rivedere – all’inizio di questo cammino quaresimale – i nostri sentimenti interiori.
Il profeta Gioele ci ha ricordato che bisogna lacerare il cuore, non le vesti. E abbiamo detto che la Quaresima è “cammino di vera conversione”. E’ necessario, allora, lacerarsi il cuore; l’immagine è chiara. Bisogna operare la vera conversione, cambiare in noi quello che veramente è in opposizione a Dio, contro di Lui. Il Vangelo ci esorta ad avere meno preoccupazione del giudizio altrui e di tenere più in considerazione il giudizio di Dio. Quando fai l’elemosina, quando digiuni, quando preghi… non preoccuparti degli altri; l’importante è che tuo Padre, che vede nel tuo cuore, lo sappia. Recuperare il rapporto con Dio è l’inizio del vero cammino quaresimale. Non si possono compiere, per così dire, operazioni “diversive” evitando di intervenire là dove c’è bisogno, nel modo opportuno. In altre parole, la Quaresima non può consistere in una pratica di pietà in più rispetto alle altre lasciando però il nostro essere, la nostra vita e il nostro io esattamente come prima, magari dicendo un Rosario di più o facendo la Via crucis…
Conversione! Conversione è una parola seria che è l’equivalente del morire, del morire a noi stessi, soprattutto a ciò che in noi ci allontana da Dio. Conversione significa entrare nella realtà ultima e la realtà ultima per il cristiano è il Signore Risorto. Stiamo camminando verso il triduo pasquale che è un evento di morte e di vita.
La conversione cristiana è prima di tutto un atto di fede, non è un atto moralistico o di devozione. Iniziamo perciò il cammino quaresimale non con una conversazione, un convegno o una lezione di teologia, ma con l’atto liturgico per eccellenza – l’eucaristia – arricchito dal segno delle ceneri che dicono la precarietà dell’uomo; dicono che oggi ci siamo e domani non ci saremo più, che l’umiltà non è una virtù di qualcuno ma è il realismo cristiano ed umano.
Conversione, vincendo il peccato che più mi appartiene e più mi caratterizza. Conversione quindi, è morire alla colpa, ma il peccato è una realtà complessa e dirompente il peccato; non è solo colpa, è anche scandalo ed anche impoverimento degli altri, del corpo ecclesiale. Ecco perché la conversione richiede anche un cammino penitenziale di riparazione, morendo a noi stessi, entrando nella fede della resurrezione di Cristo.
La conversione è un morire, è un perdersi per ritrovarsi, come il grano di frumento nella zolla: se non muore non produce la spiga. Senza questo morire non nascerà mai la vita; non c’è conversione, allora, senza morte così come non c’è fede senza morte, perché credere è un morire fecondo, è un abbandonare la vita per riaverla. La conversione è il compimento ultimo dell’atto di fede, è come morire a noi per consegnarci a Cristo senza esitazione. Fede e conversione sono un vero morire, come dice il Vangelo: “…se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24). Sarà bene ricordare tutto questo all’inizio del tempo quaresimale, tempo penitenziale per eccellenza, tempo della morte e non delle piccole devozioni che, quasi sempre, lasciano le cose così come le hanno trovate.
Leone Magno – grande Papa e grande padre della Chiesa d’Occidente, in un suo discorso quaresimale diceva: “Immenso è il campo delle opere di misericordia. Non solo i ricchi e i facoltosi possono beneficare gli altri con l’elemosina, ma anche quelli di condizione modesta o povera. Così disuguali nei beni di fortuna, tutti possono essere pari nei sentimenti di pietà dell’anima” (Discorso 6 sulla Quaresima, 1, 2; PL 54, 285-287). E ricordiamo sempre il brano del vangelo della vedova povera (Mc 12, 41-44) che, oggettivamente, dà meno degli altri ma agli occhi di Gesù, cioè di Dio, ha dato più di tutti.
Ricordo allora – richiamando la bolla di indizione dell’Anno giubilare di Papa Francesco, le opere di misericordia che sono il frutto di una fede reale, una fede visibile, una fede che fiorisce: dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi, accogliere gli stranieri, alloggiare i pellegrini, visitare gli infermi, visitare i carcerati, seppellire i morti. Queste opere di misericordia corporale possiamo declinarle anche nel concreto del nostro tempo, magari con alcune variazioni, ma rimangono in tutta la loro sostanza.
E adesso vi ricordo le opere di misericordia spirituali, che sono le più difficili: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese ricevute, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti. Mi fermo solo su un esempio: consigliare i dubbiosi e insegnare a chi ignora richiede una grande preparazione. Non posso accostarmi ad una persona e dirgli: stai sbagliando… Devo creare le condizioni per condividere la verità con lei, devo creare un clima di fiducia per poter consigliare una persona angosciata, devo mettermi nei suoi panni, devo camminare nelle sue scarpe a lungo… Ecco perché le opere di misericordia spirituali non sono più importanti ma, in certi momenti, più difficili di quelle corporali. Buona Quaresima a tutti!