Omelia del Patriarca per la Commemorazione dei fedeli defunti nella S. Messa al Cimitero di Venezia / Chiesa S. Michele (2 novembre 2023)
02-11-2023

Commemorazione dei fedeli defunti

S. Messa al Cimitero di Venezia / Chiesa S. Michele (2 novembre 2023)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

 

Desidero soffermarmi su un pensiero tratto dal Vangelo e poi fare una piccola riflessione che ci aiuti a comprendere lo specifico di questa celebrazione eucaristica in suffragio dei defunti.

Il Vangelo è quel libro che, molte volte, non riusciamo a capire secondo la sua profondità; il Vangelo è un libro semplice e la semplicità è portatrice di verità più che la complicatezza perché la semplicità, molte volte, è sinonimo di libertà e di verità.

La parabola che abbiamo appena ascoltato (Mt 25,31-46) ci dice che la cosa più importante non è “quando” ci presenteremo di fronte a Dio ma “cosa” ci verrà chiesto in quel momento. Se abbiamo chiaro il fine, l’obiettivo, e se una persona è ponderata e di buon senso, allora sa dove deve andare e si attrezza per arrivare lì.

Alla fine della vita saremo interrogati semplicemente su questo: se abbiamo pensato solo a noi stessi o se, in ogni stagione della nostra vita, gli altri sono entrati nel nostro modo di vedere le cose, di giudicare le cose, di vivere le cose. Alla fine della vita ci sarà, quindi, chiesto: hai pensato solo a te stesso? Ecco l’immagine metaforica di questa pagina del Vangelo.

A volte banalizziamo le cose semplici, dicendo che sono per bambini… Cosa semplice è uguale a cosa banale e, invece, no: cosa semplice è uguale a cosa vera e libera.

Nel Vangelo ci viene detto che ci sono due scelte. Una farà dire a chi ci giudica: bene, vieni!. L’altra: male, allontanati da me! Chi ci dirà questo sarà colui che ci ha creato e colui che ci ama di un amore eterno. Non credere nell’eternità, nella vita eterna – qui dobbiamo essere molto consequenziali -, vuol dire non credere in Dio perché chi non crede nella vita eterna non crede neanche in Dio. E la vita eterna è il fatto che noi, amati da Dio, siamo sorretti da un amore eterno.

Tutti abbiamo fatto questa esperienza visitando i cimiteri: vi troviamo delle ali storiche, con tombe anche del secolo precedente e molte volte sono le tombe più disadorne, più trasandate, meno curate e, più lasciate andare perché le persone che volevano bene a quel defunto non ci sono più. Le tombe più recenti, invece, sono più spesso tenute in ordine, visitate e con i fiori perché in quel momento c’è ancora un vivente che ama quel defunto e porta in sé il ricordo e la vita del defunto. Noi siamo portati dall’amore eterno di Dio, dobbiamo scoprire prima di tutto questo.

Il tempo è un modo di permanere nell’essere ma ci sono vari modi di permanere nell’essere. Certamente se voglio mettervi in imbarazzo, o voi volete mettere in imbarazzo me, potete dire: mi faccia un discorso senza dire mai: oggi, domani, la prossima settimana, fra un mese, fra dieci minuti… E poi mi complicate ancora di più la vita se mi dite: non mi parli della dimensione spaziale (qui, a Venezia, a Roma…).

Noi siamo “costretti” dallo spazio e dal tempo mentre l’eternità è continuare a vivere a prescindere dallo spazio e dal tempo che sono due categorie per noi vincolanti ma non sono assolute; l’essere è più dello spazio e più del tempo, i nostri morti sono portati da “Colui che è” (così Dio si rivela a Mosè).

La nostra vita appartiene all’essere che è Dio, che è un essere di comunione. Molte volte noi diciamo di essere cristiani ma bypassiamo sistematicamente quello che è il mistero fondamentale: Dio non è una solitudine, è una comunione di amore ed entrare in Dio vuol dire entrare in questa comunione. Ecco perché il giudizio che ci consente di entrare nell’eternità è questo: hai voluto fare comunione con gli altri, hai saputo essere misericordioso, hai declinato sempre e solo il pronome “io” o hai avuto attenzione a declinare il pronome “noi”?

Oggi stiamo celebrando la vita, la vita vera, quella vita verso la quale ci stiamo incamminando e quegli elementi che abbiamo presentato sono gli elementi fondamentali per vivere bene il nostro Battesimo. In Cristo siamo figli dell’eterno Padre e viviamo nello Spirito Santo, un amore eterno che non è legato allo spazio e al tempo ma che, nella creazione, ha generato lo spazio ed il tempo. Il corpo ci appesantisce: siamo qui e non possiamo essere in un altro luogo; con l’anima io posso essere in un’infinità di posti che conosco e, soprattutto, posso essere vicino alle persone care.

Ringrazio le autorità per la loro presenza perché questa celebrazione ha anche la caratteristica di un momento celebrativo pubblico e allora lasciatemi ricordare due eventi particolari che hanno riguardato il nostro territorio proprio qualche settimana fa.

Il primo è l’incidente sul cavalcavia di Mestre in cui la morte, in modo inatteso, è entrata nel nostro territorio e ci ha fatto toccare con mano quanto – nonostante la tecnica e la scienza – noi rimaniamo fragili.

L’altro ricordo mi porta a Longarone, dove mi sono recato per celebrare i 60 anni della tragedia del Vajont in cui duemila persone, in quattro minuti, hanno visto spegnere la loro vita. Anche qui ci sono i limiti umani ma c’è stata forse, almeno da quello che è stato acclarato in sede giudiziaria, anche qualche defezione da parte degli uomini. Tra queste duemila persone – sono esattamente poco più di millenovecento quelle ritrovate – c’erano quattro o cinquecento bambini.

Ecco perché questa celebrazione ci ricorda che la morte ha anche una valenza sociale.

E rivolgiamo anche una preghiera particolare per tutti coloro, civili e militari, che sono morti e muoiono nelle guerre; guerre che da qualche anno, e da qualche settimana ancor di più, bussano alla porta dell’Europa mentre molte volte noi ignoriamo un’infinità di guerre che non sono memo cruente di quelle che oggi stiamo vivendo in Ucraina e in quella che noi chiamiamo Terra Santa.