Omelia del Patriarca nella solennità di Ognissanti durante la S. Messa nel Cimitero di Mestre (1 novembre 2023)
01-11-2023

Solennità di Ognissanti

S. Messa nel Cimitero di Mestre (1 novembre 2023)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

 

Mi unisco al saluto iniziale del vicario foraneo don Natalino Bonazza verso tutta l’assemblea e le autorità e saluto, in particolare, i confratelli parroci di Mestre che vedo numerosi e ringrazio della presenza.

Siamo nella celebrazione della solennità di Tutti i Santi e incominciamo già a guardare la Commemorazione di tutti i Fedeli defunti che sarà domani.

È bella questa sintesi liturgica che la Chiesa ci propone, perché ci dà un messaggio chiaro: la morte non è qualcosa da esorcizzare, non è qualcosa di tetro; la morte non va rimossa banalizzandola o temendola oppure giocandoci o fuggendola; la morte è – secondo la liturgia della Chiesa – un momento della vita, un momento arduo, complesso e difficile a cui ognuno di noi arriverà in modo diverso. Si arriva alla morte tutti in modo differente e dipende sempre da come abbiamo vissuto.

La grazia che ha un prete è, tra l’altro, quella di avere un osservatorio particolare per cui anche un prete giovane riesce a fare (in breve tempo) esperienze di gioia come anche di dolore e sofferenza legate alla sua comunità e dei membri della sua comunità.

Uno che conosciamo tutti – san Francesco d’Assisi – è riuscito a dire: “sorella morte”.

La morte non è mai una sorpresa: “Sicut vita mors ita”. Così come vivi, così morirai. E noi confidiamo nella grazia del Signore che ci accompagna con mani paterne e materne, mani che ci indicano sempre qualcosa che noi – con la nostra corta vista umana – non riusciremmo a scorgere.

Voglio soffermarmi brevemente sulla solennità di oggi. Chi erano, chi sono i santi? Possiamo pensare a madre Teresa di Calcutta, a don Pino Puglisi o a Rosario Livatino e ho qui citato una santa e due beati santi che, vedendo il volto di molti di noi, sono stai nostri contemporanei. Ora, se noi avessimo condiviso una giornata con madre Teresa, con don Pino Puglisi o con Rosario Livatino, avremmo detto: ma è tutto qui, è così normale?

La lor vita per certi versi non appare così diversa dagli altri e forse non avremmo percepito nulla di inusuale, forse ci saremmo anche annoiati e la stessa impressione l’avremmo provata anche se avessimo trascorso una giornata con don Bosco, con Bernadette Soubirous o san Carlo Borromeo…

Chi sono allora i santi? E da che cosa li distinguiamo? Sarebbero tante le cose da dire, ma io mi soffermo su una sola: sono state persone che non avrebbero voluto imporre se stesse, persone che, parlando, non si sarebbero mai citate, persone che non avrebbero voluto in nessun modo sopravanzare gli altri.

Ricordo un particolare che riguarda don Puglisi, a proposito del “sicut vita mors ita” di cui ho detto prima. Noi sappiamo che l’ultimo giorno di vita di don Pino Puglisi fu un giorno normale di un prete normale che non cerca la ribalta ma era il suo giorno di compleanno e ci fu anche un po’ di festa con i ragazzi. Poi, alla sera, si avvicinò verso la canonica e si sentì chiamare: don Pino! Lui si voltò, vide in volto il suo killer e chi lo accompagnava – perché la mafia aveva detto che non dovevano sbagliare e che sarebbe stato un omicidio “impegnativo” e – come racconterà lo stesso killer che lo uccise – Salvatore Grigoli, una volta convertito – “ci guardò con un sorriso che non mi toglierò più dalla testa e dal cuore e disse semplicemente: vi aspettavo”.

Qual è il segreto dei santi? Fare la volontà di Dio. Che cosa vuol dire rispondere all’invito di Gesù, qual è l’invito di Gesù? Fare quello che Lui ha fatto e, concretamente, vuol dire non continuare a guardare sempre se stessi e quello che stiamo facendo, non essere sempre preoccupati che accada ciò che decidiamo e desideriamo che accada nella nostra vita perché altrimenti così saremo sempre presi da una perenne preoccupazione e, infine, non saremo mai contenti e chi non è mai contento rende la vita difficile a se stesso e agli altri, perché sempre alla ricerca di qualcosa. Gesù ci dice: lascia a me le tue preoccupazioni, sono io a preoccuparmi di te, non temere.

Ecco che cosa c’è dietro il sorriso di un santo ed ecco che cosa c’era dietro il sorriso di don Puglisi: non la volontà di fare, organizzare e ridire tutto quello che si fa, puntualmente e meticolosamente, ma affidarsi alla volontà del Signore. Si potrà allora sorridere anche di fronte ad un’arma spianata di fronte a te e che ti sta per uccidere; dietro a questo sorriso, che forse non capiamo, c’è la vita di chi non è preoccupato di affermarsi o di piacere.

La morte è un passaggio, non qualcosa da celebrare in modo ludico o macabro; è l’atto ultimo di culto e di obbedienza che noi diamo a Dio obbedendo in quello che è più radicale: Signore, ti restituisco la vita, la metto nelle tue mani.

Desidero ricordare qui i tre sacerdoti defunti in quest’anno: don Giuseppe Rizzieri Bacci, mancato nel gennaio scorso; don Armando Trevisiol – che ricordiamo anche nell’ultima sua fase fino a quando mi disse che non aveva più le forze di gestire questa bella realtà cimiteriale in cui profuse tutti gli ultimi suoi anni al punto che io gli scrissi: mi rimetto alla tua volontà, fai quello che ritieni. Lo ringraziamo per questo, per la sua pastorale nel cimitero -; don Luigi Tonetto, missionario veneziano fidei donum per cinquantasette anni in Brasile.

Ricordo anche, oltre a questi tre confratelli sacerdoti, tutti i vostri cari defunti che osiamo dire e sperare veramente nella comunione dei santi.