Omelia del Patriarca nella solennità dell’Epifania (Venezia - Basilica cattedrale S. Marco, 6 gennaio 2022)
06-01-2022

Solennità dell’Epifania

(Venezia – Basilica cattedrale S. Marco, 6 gennaio 2022)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

 

Carissimi,

inizio con le parole di san Giovanni Crisostomo, uno dei grandi Padri della Chiesa d’Oriente che, dell’odierna solennità, dice: “Diamo il nome di Epifania a questo giorno – scriveva san Giovanni Crisostomo – perché la grazia salutare del Signore si è manifestata a tutti gli uomini”.

Oggi noi viviamo questa grande festa, oggi il mistero “nascosto da secoli in Dio… è stato rivelato” (cfr. Ef cap.3). Sì, l’Epifania è esattamente la “manifestazione” di Gesù alle genti che, come ha detto san Paolo, sono “chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa…” (Ef 3,6).

In Oriente questa solennità importantissima è celebrata come “festa della luce”. E il riferimento alla luce e alle tenebre – lo abbiamo sperimentato non solo nella notte e nel giorno di Natale ma anche in tutto questo tempo di Natale – torna continuamente nella liturgia, evidenziando soprattutto il contrasto che esiste tra luce e tenebre come anche tra amore e odio, tra umiltà e affermazione di sé fino a dare la morte agli altri.

Questo elemento – il contrasto tra luce e tenebre – è presente in modo forte anche nelle letture che abbiamo appena ascoltato. Il profeta Isaia ha, infatti, annunciato: “Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te” (Is 60, 1-2).

E nel Vangelo (cfr. Mt 2, 1-12) è una luce particolare – una stella, evento anche storicamente attestato (alludo al calendario di Sippar) ma che indica la capacità interiore di discernimento – che conduce i Magi alla ricerca, alla scoperta e poi all’adorazione del Bambino nato a Betlemme.

La stella, nella Bibbia, è il segno glorioso del Messia e il libro dell’Apocalisse – che è il libro “aperto” perché parla del futuro della Chiesa e dei discepoli – definisce Cristo “stella radiosa del mattino” (Ap 22,16).

La luce è quella realtà che è fuori di noi, impalpabile e inafferrabile. ma che ci permette concretamente di vedere; al buio non vediamo le cose non perché non ci siano ma perché non siamo in grado di scorgerle. Allo stesso tempo la luce non è solo fuori di noi ma è anche dentro di noi, un fatto interiore che consente di vedere e discernere.

I racconti evangelici del Natale e di questo giorno dell’Epifania fanno emergere figure emblematiche e antitetiche, fortemente contrastanti fra loro. Alcune, in particolare, risaltano: da un lato troviamo Erode (che per i contenuti drammatici e tragici del suo operare può avere come figura simile, nel ciclo pasquale, la passione di Gesù, Giuda Iscariota) e dall’altro, invece, i Magi e Giuseppe.

L’incontro fra Dio e uomo avviene nel cuore dell’uomo; è lì che si gioca la partita fondamentale nella vita di una persona. Le figure appena indicate vivono questo incontro in modo opposto: in una, i Magi e Giuseppe, c’è tutta l’umiltà e la disponibilità di chi si apre a quest’incontro e quindi alla fede; nell’altra, in Erode e in Giuda, si dà invece un atteggiamento di chiusura ostinata che viene dall’amore solo verso se stessi, dalla ricerca esclusiva del proprio io, del proprio potere, della propria affermazione fino a giungere al disprezzo di tutto e di tutti.

Il criterio per incontrare Dio è sempre quello che già Maria, la Madre di Gesù, canta nel Magnificat: “…ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili” (Lc 1,51-52). L’umiltà è l’inizio – quasi il presupposto – della vita del discepolo del Signore.

La figura dell’umile e dell’orgoglioso ci stanno di fronte, come esempi emblematici, e si pongono come modelli di accettazione ed accoglienza – o, al contrario, di rifiuto – del Dio che si rivela.

Lo scontro tra luce e tenebre così continua. E le figure dei Magi e di Giuseppe sono in totale opposizione a quella di Erode.

Attorno al Divino Bambino nato a Betlemme – lo testimonia il Vangelo di oggi – si svolge il grande duello che in ogni epoca e ovunque attraversa la storia: da un lato il senso del bene, la ricerca della verità, l’amore, ossia i Magi e Giuseppe; dall’altro, il senso del male, la ricerca del potere, l’odio, la persecuzione, ossia Erode, il re divorato dall’orgoglio.

Molte volte, come discepoli del Signore, ci interpelliamo circa la nostra mancanza di amore, di carità, dimenticando che gli atti concreti d’amore e di carità sono un termine, un punto d’arrivo, l’espressione ultima della fede. La pienezza della fede, infatti, è la carità. Ma ci dimentichiamo che la fede ha un inizio e questo inizio è l’umiltà.

Il filone spirituale dell’umiltà è anche quello delineato ed approfondito da san Giovanni della Croce con il suo parallelismo tra “nada y todo” (il nulla e il tutto): “Per giungere al possesso del tutto, non voler possedere niente. / Per giungere ad essere tutto, non voler essere niente”.

I Magi, Giuseppe, Erode ci conducono a riflettere su questo incipit della vita spirituale – l’umiltà – senza il quale non ci può essere la fede che ha la sua pienezza nell’amore, la carità.

Dal nulla che siamo si arriva al dono di Dio; riconoscendo che siamo nulla si diventa tutto, ossia possiamo accogliere e trovare il tutto. È nel momento in cui ci si libera del proprio io che, allora, si diventa padroni di se stessi e, in un certo senso, “padroni” del mondo proprio perché si è divenuti liberi da se stessi e non può più desiderare e temere nulla.

Il luogo in cui giungono i Magi è Betlemme, la città di Davide, che si pone quasi in naturale opposizione a Gerusalemme, la città di Erode. Ma nel piano di Dio Gerusalemme è il crocevia della storia perché a Gerusalemme si manifesterà la luce vera del Signore che brillerà pienamente nella Pasqua che è passione, morte e risurrezione in quei giorni che saranno insieme tenebrosi e luminosi, come i vangeli mettono in evidenza.

La prima lettura di Isaia (Is 60,1-6) – che parla di un grande movimento e di un accorrere delle creature e delle genti verso la città di Dio – narra come già nell’Antico Testamento vi fosse una progressiva e decisa apertura all’universalità e all’incontro con gli altri popoli.

Di tutto ciò abbiamo una bella testimonianza nel libro di Rut; qui Rut – donna della terra e del popolo di Moab (e, quindi, non appartenente all’ebraismo) – esprime dedizione, carità e servizio disinteressato nei confronti della anziana suocera Noemi e, così, entra, in modo misterioso ma realissimo, nella genealogia di Gesù poiché sarà la bisnonna del re Davide (cfr. Mt 1,5; Lc 3,32). E Betlemme, dove nasce Gesù, è proprio la città di Davide e il Bambino che i Magi vengono ad adorare appartiene alla discendenza del Re Davide.

Anche la figura e la storia di Giobbe, che è un patriarca idumeo, non appartiene ad un ambiente ebraico ma orientale. Se Rut ci dice che la carità può aprire alla fede e all’Alleanza, in Giobbe vediamo come la pazienza apre ad una fede che diventa riconoscimento e adorazione del Dio vivo e vero.

Non dimentichiamo, infine, la vicenda del profeta Giona che viene mandato da Dio a predicare la conversione agli abitanti di Ninive. Il profeta ci andrà contro la sua volontà e dopo molti rifiuti. Finalmente, giunto a Ninive, si rattristerà per la conversione degli abitanti della città e giungerà ad arrabbiarsi con Dio perché una pianta di ricino che gli faceva ombra si era seccata… Anche questo libro diventa testimonianza del progressivo, seppur faticoso, aprirsi di Israele all’universalità e oggi noi parliamo della Chiesa come “cattolica” perché “universale” e, quindi, intrinsecamente missionaria.

L’Epifania è, per sua essenza, una festa che richiama la dimensione universale e missionaria della Chiesa e, per questo, oggi, vogliamo tenere presenti – nella vicinanza spirituale, nell’affetto e nella nostra preghiera – i missionari che dalle nostre terre veneziane e venete sono impegnati e vivono in varie parti del mondo per annunciare e testimoniare il Vangelo di Gesù Cristo, portatori della Sua luce, della Sua pace, della Sua verità.

Un ricordo particolare va alla missione “veneziana” di Ol Moran, in Kenya, che in questi giorni festeggia anche i 25 anni dalla sua costituzione come parrocchia – intitolata a san Marco, per ricordare il legame forte con la realtà di Venezia – ed è guidata tuttora da un nostro sacerdote diocesano, don Giacomo Basso.

In questo contesto si inserisce il rito – che vivremo tra breve – di benedizione e consegna del crocifisso e, quindi, il mandato missionario al nostro giovane diacono don Bogumił Wasiewicz che prossimamente – in preparazione e in vista dell’ordinazione sacerdotale – vivrà un’esperienza “missionaria” proprio nella parrocchia di San Marco a Ol Moran, nella Diocesi di Nyahururu in Kenya come succede, da qualche tempo, per tutti i seminaristi che sono incamminati verso il sacerdozio.

Poco fa – come avviene sempre nel giorno dell’Epifania – il diacono ha proclamato, dopo il Vangelo, il solenne annuncio del giorno della Pasqua che è la grande “domenica” dell’anno liturgico mentre la domenica è la piccola Pasqua settimanale.

Tale proclamazione ci ha ricordato che “la gloria del Signore si è manifestata e sempre si manifesterà in mezzo a noi fino al suo ritorno” e ci ha invitato a vivere e ricordare “nei ritmi e nelle vicende del tempo i misteri della salvezza”. E, quindi, che il tempo non è solo lo scorrere cronologico delle lancette dell’orologio ma è soprattutto grazia – kayros – “luogo” ed “evento” di salvezza.

Il ciclo liturgico dell’Avvento e del Natale si è mostrato così finalizzato e indirizzato all’evento della Pasqua che prevale su tutto – è, infatti, il vertice dell’anno liturgico – e da cui tutto scaturisce.

Carissimi, la solennità dell’Epifania ci pone di fronte – come abbiamo visto – due diversi campi, due distinti modelli: da una parte i Magi e Giuseppe e dall’altra re Erode. Sta a noi decidere e percorrere la via dell’umiltà, della fede e della ricerca autentica del Signore, per giungere a conoscerLo e ad adorarLo con “con purezza di fede” e gustare, così, “con fervente amore” (cfr. Colletta dopo la comunione) il mistero che oggi ci è stato rivelato ed è stato rivelato a tutte le genti.