Omelia del Patriarca nella solennità dell’Epifania (Venezia - Basilica cattedrale S. Marco, 6 gennaio 2019)
06-01-2019

Solennità dell’Epifania

(Venezia – Basilica cattedrale S. Marco, 6 gennaio 2019)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Carissimi fratelli e sorelle,

siamo giunti ad un punto culminante del tempo di Natale, la solennità dell’Epifania; questo tempo durerà ancora una settimana e poi domenica prossima terminerà con la celebrazione liturgica del Battesimo del Signore.

Vale la pena soffermarsi un attimo sul senso della liturgia odierna, durante la quale abbiamo ascoltato l’enunciazione delle tappe fondamentali dell’anno liturgico. La prima riflessione che dobbiamo fare, se non vogliamo solo partecipare a dei riti ma vogliamo celebrare il mistero della Salvezza, è che per il cristiano il tempo non è solo uno scorrere cronologico / temporale (kronos) ma è grazia (charitas).

Il tempo, allora, non è più segnato dall’equinozio di primavera ma… da Cristo. E il centro di tutto – l’abbiamo appena ascoltato – è la Pasqua. E dalla Pasqua prende significato ogni altro momento dell’anno liturgico, con la particolare sottolineatura della domenica.

Non si tratta qui di farne una questione sociologica ma quando si perde il senso della domenica, giorno del Signore, vuol dire che abbiamo perso il senso degli altri giorni. E allora la Chiesa ci ricorda, in questa celebrazione solenne, che il tempo è grazia e che il tempo si misura su Cristo, sulla Pasqua. Tutto prende significato da Lui.

La nostra vita cristiana, d’altra parte, inizia col Battesimo che ci immerge nella sua morte e nella sua risurrezione. Se non teniamo conto di questo, noi partecipiamo solo a dei riti e adempiamo a dei doveri. Ma la vita scorre e non possiamo a 40, 50 o 60 anni essere fermi al punto in cui (spiritualmente parlando) eravamo nell’età dell’iniziazione cristiana.

Oggi cosa ricordiamo? Ricordiamo il tema della universalità della salvezza. Gesù non è di qualcuno, Gesù non è di un popolo. Oggi a tutti noi, attraverso la figura dei Magi – che non erano degli apprendisti stregoni ma delle persone che cercavano il senso della vita e delle cose, che cercavano la salvezza -, viene ricordato che tutte le etnie sono chiamate al Signore ed anche qualcosa di più: l’attesa universale della salvezza.

Il Vangelo secondo Matteo è molto chiaro: quando viene chiesto ad Erode dove doveva nascere il Messia, Erode sa dove mettere le mani e subito chiama gli scribi e i farisei i quali non hanno difficoltà a trovare il libro di Michea dove si fa riferimento esplicito (al capitolo V) alla cittadina di Betlemme. Il punto discriminante, allora, è saper ricercare il senso delle cose.

Questi uomini – che erano lontani dalla Terra Promessa e non conoscevano l’Antico Testamento – sono mossi a venire e a cercare il Bambino. E chi, invece, aveva tutti gli strumenti adatti, necessari e sufficienti per poter sapere quando come e dove sarebbe nato quel Bambino, quando viene a sapere che quel Bambino è nato a Betlemme di Giudea non si preoccupa nemmeno di andarlo a trovare.

Cari amici,  la stella  probabilmente – con buona pace degli esegeti o, almeno, di alcuni esegeti –  corrisponde a delle congiunzioni astronomiche particolari (documentate in un piccolo calendario ritrovato a Sippar e in cui si parla di tre congiunzioni particolari a maggio, ottobre e  dicembre) che provocavano una luce particolare in questa parte dell’emisfero.

Ma, al di là di tutto questo, la stella indica la grazia, quella grazia che Dio non fa mancare a nessuno. Quando si dice che la fede è un dono si dice una cosa vera ma manca ancora un pezzo; la fede è un dono che Dio fa a tutti gli uomini. E la stella è il simbolo di quella cura che Dio ha nei confronti di ciascun uomo – anche dei più lontani, anche di quelli che a noi sembrano più lontani -per chiamarlo a sé.

Nel giudaismo la stella è già segno del Messia futuro ed Erode, gli scribi e i farisei lo sapevano. L’Apocalisse parla di Gesù come della stella del mattino. Ma la stella è quella grazia, quella presenza, quelle domande, quei confronti, quei “perché” che Dio suscita nel cuore di ogni uomo. Noi siamo fatti di libertà e grazia.

Sarebbe interessante vedere come tutta l’antropologia moderna – che si è separata dalla teologia – nasce da una questione fondamentale che Agostino ha portato avanti in Occidente con una visione buona ma limitata: il problema della libertà e della grazia. Noi siamo fatti di libertà e grazia.

Questo insieme ci costituisce – e qui ognuno di noi deve dire il suo nome e il suo cognome -, questa libertà e questa grazia costituiscono i Magi e costituiscono Erode: gli uni e gli altri sono fatti di libertà e di grazia ma la grazia non è accolta proprio dove ci sarebbero state tutte le premesse umane perché quella grazia venisse accolta. È accolta, invece, da questi uomini che non avevano la Scrittura e non avevano l’Alleanza ma avevano il cuore, il cuore! E avevano tempo per Dio. E noi abbiamo tempo per Dio? Quante cose ci impegnano, quante! Possiamo dire troppe. E quanto tempo per Dio? Ecco il tema grande della preghiera.

Prima abbiamo parlato della Scrittura. Sarebbe molto triste arrivare alla fine della vita – e  per ognuno di noi sia il più lontano possibile –  e dover dire: se mi fossi accorto del dono grande della parola di Dio… come avrei vissuto meglio, come avrei fatto vivere meglio gli altri, quanto bene sarei riuscito a fare di più!

Questo grande dono – la parola di Dio – è veramente democratica: basta scegliere di aver tempo e lasciare ogni giorno un po’ di minuti leggendo e interrogandosi sulla Scrittura. E, allora, succede una cosa: quei minuti non vi basteranno più e potrete rinunciare a tante cose nella giornata ma non a quel momento col Signore.

Vorrei dire, infine, una cosa molto semplice: il nostro cuore è fatto di Erode, dei Magi, di Giuda, di Pietro… È molto bello leggere la Passione di Gesù nella Settimana Santa perché lì ci siamo tutti noi: c’è chi rinnega, chi tradisce, chi si lava le mani, chi deride… E allora scopriremo  che i Magi crescono nel nostro cuore e quelle cose che ci sembravano importanti a un certo punto diventano insignificanti e quelle cose che ci facevano perdere il sonno magari le vedremo come piccole cose.

L’Epifania deve parlare alla nostra vita e farci riscoprire che quella stella non è un fenomeno lontano nel tempo: è la grazia di Dio che mi accompagna non solo dal mattino quando mi alzo fino alla sera quando vado a dormire ma anche mentre, grazie a Dio, dormo godendomi del meritato riposo. Siamo fatti di libertà, siamo fatti di grazia. E il senso della nostra vita è fatto di quattro lettere: Gesù.