Omelia del Patriarca nella solennità dell'Epifania (Venezia, 6 gennaio 2016)
06-01-2016

Solennità dell’Epifania

(Venezia – Basilica cattedrale di San Marco, 6 gennaio 2016)

Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia

 

 

Carissimi fratelli e sorelle,

Gesù non è un tesoro geloso per qualcuno; è il dono che Dio fa ad ogni uomo e ad ogni comunità, che possono dire di aver veramente incontrato il Signore solo quando incominciano ad annunciarlo agli altri.

Abbiamo ascoltato san Paolo e dobbiamo riconoscere che ogni uomo – non solo qualcuno – davvero è stato pensato, voluto, scelto e predestinato da Dio in Gesù Cristo e chiamato a fare parte della Chiesa. Questo è il piano di Dio.

Se il Figlio di Dio è stato inserito nel mondo tramite la storia di un popolo minuscolo, tenuto in vita unicamente dalla forte e amorevole provvidenza di Dio, è perché ogni uomo doveva incontrare il Signore. San Paolo, in modo particolare, ebbe la missione di annunziare che, al di là del popolo ebreo, la promessa della salvezza in Cristo è il dono che Dio fa ad ogni uomo. E qui la nostra riflessione, il nostro esame di coscienza, può iniziare: che uso stiamo facendo, nella nostra vita, del dono di Gesù?

L’Epifania è, insieme, rivelazione alle genti ed esaltazione della universalità, della signoria, del carattere primaziale di Gesù Cristo nel mondo. L’annuncio della Pasqua ci dice che per il cristiano non esiste più un tempo profano ma il senso ultimo del tempo è l’incontro con Gesù Cristo. La Chiesa, la nostra Chiesa edificata da tutte le nazioni, è quello spazio in cui si manifesta Cristo. Il Vangelo di oggi ci illustra la venuta e l’adorazione dei Magi – l’adorazione è molto sottolineata dal Vangelo – l’adorazione dei Magi e quindi il senso universale e missionario della Chiesa e della salvezza cristiana.

I pagani non sono degli intrusi; anzi, forse, certi movimenti della storia – al di là della volontà di certi uomini – corrispondono con i tempi di Dio e con la logica di Dio, corrispondono forse proprio a questa visione di integrazione. I Magi non sono degli intrusi; vengono da lontano e non esprimono solo una cultura ma la lontananza della loro cultura da Israele. Eppure, sono a pieno titolo invitati a Betlemme. Sono i primi chiamati che si sentono già pervasi dalla grandissima gioia del tempo messianico, il tempo di Natale. E noi siamo stati almeno sfiorati in questi giorni da quel senso di gioia, di pace, di serenità, di sapienza e di calma che corrisponde all’incontro con Dio oppure il nostro Natale è stato un Natale – nonostante tutto – molto secolarizzato?

Incomincia con la venuta di questi saggi dall’Oriente a profilarsi la “sostituzione” di Israele con chi, non avendo l’alleanza, non avendo i profeti, non avendo la promessa, mostra però una disponibilità che almeno una parte di Israele – rappresentata da Erode e dai sapienti di Erode – non ha saputo dimostrare.

Di fronte al Natale non serve quindi far parte di una storia, di una tradizione; a Natale quello che conta è il mio sì al progetto di Dio che si manifesta in quel Bambino. E il Vangelo di oggi ci dice che il mondo che sembrava lontano invece era più vicino di quel mondo che sembrava vicino. Israele – che aveva la promessa e la profezia – rimane indifferente e in un suo tristo rappresentante trama addirittura di sopprimere il piano di Dio.

Nell’immagine, nella figura di questi saggi che vengono dall’Oriente, siamo chiamati a contemplare, a toccare con mano le risorse di Dio ma anche le risorse di quegli uomini che – con una vita disinteressata, onesta, semplice e capace di sacrificio – diventano il “ricettacolo” della provvidenza di Dio. Dio è sempre provvidente e la provvidenza di Dio vuole manifestarsi in umano modo.

La liturgia di oggi mette in evidenza e ci rende consapevoli di questa chiamata universale. Tutti sono chiamati in Cristo a partecipare allo stesso dono. Siamo chiamati, allora, a rileggere gli eventi piccoli e grandi della nostra storia perché, vedete, se è vero tutto il progetto di Dio nella nostra storia, allora anche le cose più insignificanti si confrontano con la presenza di Gesù nella nostra vita. “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare…” (Mt 25,35), ma quando? E anche di ogni parola non cattiva, ma inutile, dovremo rendere conto al Signore Gesù (v. il Vangelo di Matteo, capitolo sesto).

Il Natale – che oggi ha un momento di pienezza e di comunione anche con la Chiesa d’Oriente, con i nostri fratelli d’Oriente – ci rende insieme attenti alla nostra storia di uomini. Noi, molte volte, non abbiamo la capacità di mettere in questione il progetto di Dio, non come increduli ma come credenti. Dio avrebbe potuto salvarci e visitarci in un altro modo… Ha scelto, invece, di visitarci e di salvarci nella storia pienamente umana di un bambino che nasce, cresce, vive, compie delle scelte, esprime un rapporto con Dio e con i fratelli, muore.

La fede cristiana è una fede profondamente umana. Andando a fondo della fede cristiana noi “visitiamo” tutti gli angoli della nostra vicenda umana. Ed è proprio questa concretezza lo splendore della fede cristiana.

Dobbiamo riflettere, dobbiamo considerare, dobbiamo guardare questi uomini che vengono da lontano. E dobbiamo considerare la loro scelta di vita all’inizio dell’Anno giubilare. Lasciano tutto. Non avevano i libri sacri, ma colgono un segno – una stella – e poi, seguendo quella stella, incontreranno anche i libri sacri, la parola di Dio. Ma già quella stella nella loro vita è parola di Dio.

Cosa voglio dire? Apriamo gli occhi, come credenti, nelle nostre giornate. Chi crede al Natale non pensa più che esistano momenti insignificanti nella sua vita di credente ma, partendo proprio dai momenti umani, riuscirà a leggere la parola di Dio non secondo le nostre durezze di cuore o secondo le nostre ideologie e le nostre precomprensioni ma partendo dall’incontro tra quella parola e la nostra vita.

Il Natale deve “incendiare” la nostra quotidianità. Bisogna essere capaci, come i Magi, di lasciare tutto, seguire quei segni ed acquistare una saggezza ed una sapienza che ci permettano di annunciare il Signore Gesù. Solo un uomo e una comunità che annunciano il Signore lo hanno veramente incontrato.