Solennità del Corpus Domini
(Venezia / Basilica Cattedrale di San Marco, 19 giugno 2022)
Omelia del Patriarca Francesco Moraglia
Carissimi,
se la devozione al Santissimo Redentore, come quella Madonna della Salute, assume anche una valenza civile accanto a quella religiosa, la festa odierna, invece, si caratterizza come prettamente ecclesiale; oggi, insomma, la Chiesa si concentra sull’essenziale e l’essenziale è Gesù.
Chi conosce veramente il dono inaudito del pane spezzato e del vino effuso? Solo chi ama, solo chi apre il suo cuore alla conoscenza del Mistero. D’altra parte, solo chi conosce nella fede cos’è il mistero eucaristico può amare in modo degno e conseguente a tale dono che eccede le umane possibilità.
Solo la fede mi dice – è in grado di dirmi – cos’è la Santissima Eucaristia, ma solo la carità – ossia l’amore cristiano, mi dischiude la vera comprensione del gesto di Gesù che prende un po’ di pane e un po’ di vino, pronuncia su di esse le parole e le distribuisce ai suoi. “Questo è il mio corpo, che è per voi… Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue”. E poi, consegnando se stesso a quel gesto per sempre, aggiunge: “Fate questo in memoria di me” (cfr. 1Cor 11,23-26).
Da questa conoscenza di fede, da questo amore di carità nasce la comprensione che la Chiesa ha dell’Eucarestia e nasce la nostra fede; è l’incontro con il Signore Risorto, con il pane spezzato, con il vino effuso e con le parole di Gesù che abbiamo appena ascoltato.
Con queste parole Gesù si sostituisce all’antico sacrificio – l’agnello pasquale – e compie, ossia porta a termine in modo definitivo, l’alleanza. La cosa drammatica – e uso la parola “drammatica” nel suo senso etimologico – è che tra il calvario e l’evento pasquale, nella nostra celebrazione eucaristica, non c’è differenza, è la stessa cosa, cambia la modalità in cui noi viviamo questo incontro.
Gesù è al posto dell’agnello pasquale e al posto di tutti i sacrifici dell’Antica Alleanza; nella prima lettura (Gen 14,18-20) abbiamo ascoltato di Melchisedek che benedice Abramo quando ancora l’alleanza deve ancora storicizzarsi nella fede di Abramo. Subentra il dono del suo corpo e del suo sangue, ossia il dono di se stesso fatto da Gesù.
Per la concezione semita il corpo indica la persona nella sua debolezza e fragilità e, insieme, nella sua capacità di avere legami con altri; il sangue è la vita e dare il sangue è sinonimo di dare la vita.
L’Eucaristia è la vita che nasce dalla morte e l’Eucaristia – Gesù eucaristico – è, per noi, il Gesù accessibile e che si dona a noi nel sacrificio di sé (il corpo) e ci dono la vita (il sangue), una nuova vita.
La festa di oggi – solennità del Corpo e Sangue del Signore – ci ricorda che il nuovo culto cristiano si fonda sul fatto che Dio fa un dono a noi e questo dono è qualcosa di permanente; è l’incarnazione che continua e si rende realtà permanente nella nostra Chiesa e nei nostri tabernacoli dove Gesù attende la nostra visita e tutto trasforma in dono, in grazia, in presenza.
L’Eucaristia è l’incontro con Gesù che ci fa suoi; guardandolo, nella fede, ci scopriamo e diventiamo progressivamente suoi. L’adorazione eucaristica, lo stare con Lui, è allora il dono più grande che possiamo concederci in vista o come compimento della celebrazione.
Egli è Colui che realmente, durante la celebrazione ma anche al di fuori di essa, continua sempre a dire, attirandoci a sé: “Questo è il mio corpo… Questo è il mio sangue…”.
Celebrazione e adorazione eucaristica, cibarsi di Lui e stare alla sua presenza, non sono gesti fra loro contrastanti; al contrario l’uno richiede l’altro, l’uno presuppone e completa l’altro. Chi celebra bene avverte il bisogno di adorare e chi adora veramente si apre sempre al gesto del celebrare.
Solo una conoscenza separata dall’amore non comprende questa intrinseca unità; solo una teologia troppo “intellettuale” e priva d’amore pone distanza tra celebrazione e adorazione. L’adorazione accompagna sempre una vera celebrazione ed è ciò a cui una celebrazione, compiuta in spirito e verità, riconduce.
L’Eucaristia è una presenza reale, anzi realissima, ma non di tipo spazio-temporale, che è l’unica presenza di cui noi abbiamo esperienza. È una presenza reale e sacramentale che non può essere minimizzata o ridotta a presenza puramente simbolica, ossia non vera e non reale.
Chiediamo come Chiesa che è in Venezia, come presbiterio, come consacrati e come fedeli laici, di entrare di più nel mistero dell’Eucaristia. E allora vedremo come tante dinamiche e questioni assumeranno tutta un’altra logica, un’altra misura, un’altra profondità!
L’iniziazione cristiana raggiunge la pienezza nell’Eucaristia (Battesimo e Cresima, infatti, sono in vista dell’Eucaristia) poiché la Chiesa vive il suo momento più “ecclesiale” proprio nella celebrazione eucaristica: “Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, e in modo speciale nelle azioni liturgiche. È presente nel sacrificio della messa, sia nella persona del ministro, essendo egli stesso che, «offertosi una volta sulla croce, offre ancora se stesso tramite il ministero dei sacerdoti», sia soprattutto sotto le specie eucaristiche” (Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 7). Queste solo le parole del Concilio Vaticano II a cui tutti dobbiamo ritornare sempre.
Questa è la realtà sintetica e ultima della Chiesa, questo è essere Chiesa!
Riscopriamo, allora, il valore della celebrazione eucaristica quotidiana e dell’adorazione perpetua che, in Diocesi, è presente stabilmente a Venezia nella parrocchia di S. Silvestro e a Mestre nella parrocchia di S. Maria Goretti.
E adesso, subito dopo questa celebrazione, disponiamoci a partecipare – dopo due anni di pandemia nei quali non si è potuta fare – alla processione eucaristica.
Facciamolo con spirito di fede, di gioia e di coraggio, pensando soprattutto che oggi, molto più di 50 anni fa, è una testimonianza di fede per noi che vi partecipiamo e per chi ci vede, magari intento a riprendere il tutto con il cellulare.
Alcuni ci guarderanno forse come “animali strani” ma che almeno rimanga in loro il ricordo di un Vescovo, di preti, di religiosi e di laici che, in quel momento, stanno pregando e credono nel gesto che compiono.