Omelia del Patriarca nella solennità del Corpus Domini (Venezia / Basilica Cattedrale di San Marco, 11 giugno 2023)
11-06-2023

Solennità del Corpus Domini

(Venezia / Basilica Cattedrale di San Marco, 11 giugno 2023)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Carissimi fratelli e sorelle, stimate autorità,

la Chiesa cammina nel tempo sotto la guida dello Spirito Santo che, nella fedeltà alla Parola di Dio, le permette di comprendere le profondità, le sfumature e le altezze della Divina Rivelazione che, in un primo momento, non riusciva a cogliere e a vivere in pienezza.

Conoscere, quindi, l’origine della festa del Corpus Domini – la solennità odierna – è utile e necessario, soprattutto per quanti faticano a coglierne il senso e la specificità.

Ci potrebbe essere una domanda: ma non c’è già la Messa del Giovedì Santo con cui ha inizio il Triduo Pasquale? Non è quello il luogo idoneo per la sua celebrazione? Non è in concorrenza proprio con la Messa in Coena Domini? Non risulta un doppione e, quindi, qualcosa di inutile?

È importante, allora, notare come – sul piano liturgico e teologico – la solennità del “corpo” e del “sangue” del Signore si caratterizza per alcuni aspetti “suoi”, “propri”; insomma, il mistero eucaristico, qui e oggi, si illumina di una luce particolare.   Ed è proprio la ricchezza “sovrabbondante” del mistero del “corpo dato” e del “sangue effuso” che ha richiesto una nuova celebrazione nel corso dell’anno liturgico per essere fedeli alla pienezza del mistero eucaristico.

La festa del Corpo e Sangue del Signore esprime così – ed è – una maturazione della fede della Chiesa, che cammina pellegrina nel tempo, nei confronti del dono che Gesù ha fatto di Sé nel segno del pane e del vino.

La Chiesa, in epoca medioevale, è giunta – attraverso approfondimenti teologici e pronunciamenti del Magistero – a comprendere di più e meglio l’Eucaristia non solo nel momento celebrativo ma come sacramento della presenza reale, ossia sacramentum permanens.

È interessante scoprire che gli inizi della festa liturgica del Corpus Domini ci conducono in quella parte d’Europa che, allora, era tutta denominata Francia; siamo nel XIII secolo.

Ci aiutano a comprendere quanto intendiamo dire le parole di san Francesco d’Assisi che – da anima profondamente eucaristica quale era – durante il Capitolo di Pentecoste dell’anno 1217 (siamo agli esordi del Francescanesimo), dovendo scegliere un luogo ove dimorare, al di fuori dell’Italia, disse: “…io eleggo la Provincia francese… innanzitutto perché quei cattolici portano grande venerazione al Corpo di Cristo… e perciò io amerei passare la mia vita tra di essi”.

Con Provincia francese, Francesco intendeva la Custodia Francescana di Liegi, ossia la Gallia Belgica. Ma come mai Francesco prediligeva proprio quella parte d’Europa tanto da eleggerla a sua dimora se avesse dovuto lasciare l’Italia? Il motivo era semplice: la fede e la devozione eucaristica che lì erano vivissime. E come mai avveniva questo, in quei luoghi?

Certamente anche là, come in altre regioni, erano note le dispute teologiche sulla reale presenza di Gesù nel santissimo sacramento dell’altare (dispute che erano vivaci nella cristianità fin dal IX secolo). I nomi dei teologi cimentatisi in tali dispute erano quelli di Pascasio Radberto (+ 850), Ratrammo (+ dopo 868), Berengario di Tours (+ 1088), Lanfranco di Bec (+ 1089), Guitmondo di Anversa (+ 1095). Nella Gallia Belgica erano, poi, ovviamente, noti anche gli interventi del Magistero (i Sinodi Romani del 1059 e del 1079 e il Concilio Lateranense IV del 1215).

Ma qui, nella Gallia Belgica, si dava qualcosa di proprio, di unico, di specifico che attirava Francesco in modo particolare. Qui, infatti, lo Spirito Santo – vera guida della Chiesa – aveva suscitato un “movimento mistico” che, sotto la guida della Provvidenza, si sarebbe progressivamente diffuso, secondo i disegni di Dio, in tutta la Chiesa diventando, infine, patrimonio comune della cattolicità.

È interessante notare che, come anche per altre devozioni (ad esempio quella del Sacro Cuore), tutto inizia non nel clamore e sotto la luce dei riflettori; infatti, l’incipit del movimento mistico-spirituale si ebbe nella città di Liegi con le visioni mistiche di una monaca, la beata Giuliana di Mont-Cornillon, umile suora agostiniana che in comunità svolgeva le mansioni più modeste, come quella di stalliera.

La spiritualità di questa religiosa era tutta incentrata sull’Eucaristia – la S. Messa, la comunione sacramentale e la comunione spirituale -; la sua lettura preferita era san Bernardo (In Canticum Canticorum).

Alla beata Giuliana capitò che, durante l’adorazione del Santissimo Sacramento, le si manifestasse la luna nel suo splendore, intersecata però ed anzi ferita da una striscia scura che le dava opacità.

Dopo aver chiesto a lungo di poter comprendere il motivo di tale fascia oscura, le fu manifestato che la luna – ossia la Chiesa terrena – portava una ferita, un vulnus; il motivo che le fu rivelato era che il ciclo annuale liturgico, nei misteri cristologici, mancava qualcosa: una festa che facesse memoria della Santissima Eucaristia sottolineando la grandezza di tale mistero come realtà permanente, come sacramento della presenza reale del Signore.

La Chiesa non è fatto solo del Papa e dei vescovi o delle facoltà teologiche ma è fatta anche di mistica, è fatta anche del popolo di Dio. Qui il carisma è stato data ad una suora umile che in comunità faceva la stalliera…

Era nei piani della Divina Provvidenza che Giuliana, insieme ad altre anime eucaristiche, fosse lo strumento scelto da Dio affinché tale ferita si rimarginasse e la festa mancante entrasse a far parte delle celebrazioni liturgiche annuali della Chiesa.

Non è frutto del caso poi che, proprio in quel periodo, vivessero a Liegi – e ne respirassero il clima teologico spirituale – personaggi destinati a ricoprire posti di guida nella Chiesa e in grado, quindi, di diffondere a livello di Chiesa universale l’intuizione mistica della beata Giuliana.

Fra questi il vescovo Roberto di Torote che – con la lettera Inter alia mira (giugno/ottobre 1246) – istituì per la sua Diocesi di Liegi la festa del Corpus Domini.

 L’estensione della festa all’intera “cattolicità” sarà, invece, opera di Papa Urbano IV – Giacomo Pantaleone di Troyes – che, negli anni precedenti alla elezione a Sommo Pontefice, era stato proprio arcidiacono della cattedrale di Liegi e aveva collaborato col vescovo Roberto affinché le visioni della beata Giuliana fossero conosciute.

Urbano IV, già arcidiacono di Liegi, istituì nel 1264 – con la bolla Transiturus de hoc mundo – la festa del Corpus Domini; tutto questo non era che uno sviluppo di quanto, quindici anni prima, il vescovo Roberto aveva stabilito per la Chiesa di Liegi sulla scorta dei fenomeni mistici della beata Giuliana.

Qui si manifesta la similitudine con quanto, più recentemente, è avvenuto con san Giovanni Paolo II che, il 30 aprile dell’anno 2000, ha istituito per la Chiesa universale la festa della Divina Misericordia nella seconda domenica di Pasqua.

In gioventù Karol Wojtyla, a Cracovia, aveva conosciuto le rivelazioni mistiche di suor Faustina Kowalska e, in seguito, divenuto Papa, volle estendere tale rivelazione alla Chiesa universale istituendo, appunto, la Festa della Divina Misericordia.

Abbiamo qui due diversi esempi, ma simili tra loro, che riguardano l’istituzione di due feste per la Chiesa universale.

Si tratta di esempi reali di un cammino ecclesiale che possiamo definire di tipo sinodale e in cui vediamo come la fede di anime semplici, seppure sorrette da grazie mistiche particolari, si accompagna a chi, nella Chiesa, ha il carisma della teologia e, infine, all’azione del Magistero.

È proprio l’assommarsi di tali doni che permette al popolo di Dio di approfondire e vivere in profondità la Divina Rivelazione, sia per quanto riguarda il sacramento dell’Eucaristia sia per l’attributo supremo della Divina Misericordia.

La Chiesa cammina nel tempo sotto la guida dello Spirito Santo che si serve degli uomini e delle donne, dei diaconi, degli arcidiaconi, dei presbiteri, dei vescovi, dei Papi… Ma la Chiesa rimane dello Spirito Santo e nel tempo continua a camminare tra le tribolazioni e le consolazioni dello Spirito che, nella fedeltà alla Divina Rivelazione, la fa entrare progressivamente nelle profondità, nelle sfumature e nelle altezze della Divina Rivelazione che, in un primo momento, non riusciva a cogliere e a vivere. Sì, perché la fede chiede d’essere professata e vissuta con gioia e sobria solennità, sia personalmente sia nella propria comunità.

Ritorniamo a riscoprire l’Eucaristia, soprattutto nel momento del silenzio, dell’adorazione che si concretizza nel gesto umile e semplice (finché uno lo può fare e l’età glielo consente…) del genuflettersi. Se non vogliamo genufletterci di fronte al mondo, che ci adula o ci minaccia a seconda di come ci trova, allora inginocchiamoci di più e in silenzio di fronte alla Santissima Eucaristia che non è una cosa, non è un’icona; è una presenza particolare che l’umanità di Cristo glorificata realizza in alcune specie – il pane e il vino – da Lui donate il giorno e la notte della sua passione, una passione destinata alla gloria.

Nell’Eucaristia è presente il Cristo risorto nell’atteggiamento paziente e sofferente di chi ha vinto la morte, è il Cristo dell’Apocalisse che, da risorto, mostra e continua a portare le sue piaghe perché ci ha salvati a caro prezzo. L’Eucaristia è Gesù, non è altro. E la Chiesa ce lo dice anche con l’istituzione della solennità del Corpo e del Sangue del Signore.