Solenne Veglia di Pasqua
(Venezia / Basilica Cattedrale di San Marco, 20 aprile 2019)
Omelia del Patriarca Francesco Moraglia
Cari fratelli e sorelle,
stiamo partecipando alla liturgia “principe” di tutto l’anno.
Se per assurdo andasse smarrito tutto della tradizione cristiana, se smarrissimo anche la Scrittura, ma rimanessero i testi e la liturgia di questa notte… noi potremmo vivere la pienezza della tradizione cristiana. È una grazia poter partecipare con fede alla liturgia della veglia, quella veglia che Agostino chiamava la “madre” di tutte le veglie, di tutte le liturgie, di tutta la preghiera cristiana.
Abbiamo – in rapida sequenza – percorso la storia della salvezza. Abbiamo di fronte a noi il progetto di Dio, il piano di Dio, la Sapienza di Dio. Un mondo che esce giovane, immacolato, pulito, buono dalle mani del Dio Padre creatore, tanto che Dio si compiace il sesto giorno delle cose che ha fatto e vede che anche l’uomo – corona del suo progetto – era una cosa molto buona.
Quando Dio si vuole esprimere nel tempo crea l’uomo, cioè progetta Gesù Cristo, perché la vera umanità è Lui, è Cristo. C’è il vero uomo, la vera umanità, nel Vangelo di Gesù di Nazareth.
In questa notte abbiamo percorso tutte le tappe della storia della salvezza: la chiamata di Abramo, l’esodo dall’Egitto, la predicazione profetica, Isaia, Baruc, Ezechiele, la nuova alleanza che si celebra nella croce e nel sepolcro vuoto di Cristo.
Le donne vanno al sepolcro ma non trovano il corpo di Gesù e si sentono dire qualcosa che io voglio lasciare come messaggio a ciascuno di noi: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo?» (Lc 24,5).
La nostra vita cristiana è, spesso, un continuare a cercare le cose morte… Invece dobbiamo tener vivo il nostro battesimo!
Pensiamo a quella parte del Vangelo che parla della corsa di Pietro al sepolcro (da Giovanni sappiamo, infatti, che Pietro corre assieme all’evangelista Giovanni verso il sepolcro): il cristiano vive la vita cristiana, vive il battesimo, vive la sua fede quando ogni giorno fa le cose quotidiane correndo verso il sepolcro, come colui che non si china a cercare le cose morte, a cercare tra i morti colui che vive.
E allora la notte di Pasqua è la notte che deve essere vissuta in tutti i giorni dell’anno. Il cristiano, anche quando è triste – e può avere motivi per essere triste – è sempre un uomo, una donna, una comunità che portano in sé questa riserva della Pasqua.
La Pasqua ridimensiona tutto nella vita del credente: il bene e il male, il successo e l’insuccesso, la gioia e la sofferenza. Tutto va sotto la cifra della Pasqua, che ci è stata consegnata, e oggi, caro Matteo, viene consegnata a te nel sacramento del battesimo. ti auguro che il tuo battesimo, come il mio e il nostro, possa essere proprio il vivere ogni giorno nelle vicende quotidiane quella corsa di Pietro al sepolcro verso il Vivente, verso Colui che rinnova tutte le cose, verso Colui che ha vinto la morte.
È triste essere cristiani, credere nella Resurrezione e cercare tra i morti colui che vive! I due discepoli di Emmaus, in fondo, siamo noi. Vicino a noi c’è il Risorto e noi siamo alla Sua presenza. Lui ci parla nella Scrittura, Lui ci parla nella liturgia, Lui ci parla nelle vicende di tutti i giorni, Lui ci parla nei poveri… E noi siamo tristi pensando che la morte è più forte della vita.
Riscopriamo la Pasqua, riscopriamo il Battesimo: riscopriremo un nuovo modo di vivere la fede cristiana!
Ringrazio, infine, la comunità neocatecumenale dei Frari che ha voluto partecipare e animare questa nostra liturgia.