Solenne azione liturgica del Venerdì Santo
(Venezia, Basilica Cattedrale di San Marco – 19 aprile 2019)
Omelia del Patriarca Francesco Moraglia
Oggi la Chiesa non celebra l’eucaristia e pone al centro della sua preghiera la croce. Sì, la croce è la grande protagonista di questa giornata. Noi della croce abbiamo fatto pezzi di antiquariato, monili, oggetti preziosi di oreficeria mentre la croce è… semplicemente seguire Gesù e non seguire se stessi.
Tra le tante figure spiccano oggi quelle di Giuda e di Pietro. Giuda e Pietro, in fondo, sono due figure che si assomigliano nella fragilità ma sono, in realtà, profondamente diverse tra loro. Tutte e due sono fragili ma Giuda è colui che – a differenza di Pietro – pone se stesso, la sua persona, al centro di tutto.
Sta con Gesù, Giuda; è uno della compagnia di Gesù, è uno dei Dodici. Parla di Gesù, parla con Gesù, ma in realtà Giuda sta con se stesso. E Giovanni – l’apostolo della carità – lo definisce “ladro”. Giuda parla dei poveri ma in realtà si arricchisce lui. Ricordiamo il capitolo 12 del Vangelo secondo Giovanni con l’unzione di Betania, quando Maria bagna i piedi di Gesù con un unguento profumato e li asciuga. E Giuda domanda il perché di questo spreco, visto che si poteva vendere questo unguento e ricavarne (lui è esperto…) trecento denari e si sarebbero potuti dare ai poveri. Ma l’evangelista Giovanni commenta che non gli interessava nulla dei poveri; teneva la borsa e il denaro gli rimaneva fra le mani.
Pietro, invece, è diverso; è fragile come Giuda ed è fragile come tutti noi siamo fragili, però è profondamente diverso. È certamente un discepolo che non è ancora entrato nel vero cammino del discepolato; è ancora al di fuori dalla logica di Gesù, è ancora troppo umano. Ma, a differenza di Giuda vuole seguire Gesù. Lo vuole seguire a suo modo;: gli vuole bene, ma deve convertire il suo modo di amare Gesù.
Giuda no. Giuda vuole bene a se stesso, al denaro. E quando si accorge che Gesù non gli darà questo, segue la sua volontà e obbedisce a se stesso, al suo istinto di potere, di dominio, di ricchezza. Alla fine non gli interessa seguire Gesù. Fermiamoci però su Pietro.
Quando Pietro prende l’iniziativa, in quel modo umano che lo caratterizza, combina spesso dei disastri. Dirà a Gesù di non andare a Gerusalemme, che non è il caso di andare verso la croce e si sentirà dire: va’ lontano da me Satana, tu ragioni come Satana. Nell’ultima Cena – lo abbiamo visto ieri – non si vuol far lavare i piedi ma poi ci ripensa e vuol farsi lavare anche le mani e il capo. E Gesù gli dice che non è il caso.
Tutti questi elementi ci fanno capire la psicologia dell’uomo. Deve fare ancora tanta strada… Vuole seguire Gesù – ancora è il Vangelo di Giovanni che dice questo episodio sempre nell’Ultima Cena – e lo assicura che darà la sua vita per Lui. E si sente dire da Gesù: prima che il gallo canti mi avrai rinnegato tre volte…
Al Getsemani, lo abbiamo ascoltato, reagisce in un modo violento, taglia l’orecchio al servo del sommo sacerdote e Gesù lo invita a riporre la spada. Poi, mentre Giovanni – che era noto al sommo sacerdote – può entrare nel cortile dove hanno portato Gesù, Pietro rimane fuori, ma quando entra compie altri disastri.
Una giovane portinaia che dice a lui (che era un uomo maturo): tu sei uno di loro. E lui risponde: non lo sono. Poi si va a scaldare assieme agli altri per riuscire a capire cosa può fare per il maestro e gli dicono: ti abbiamo visto con lui. E risponde: ma io non lo conosco. La terza volta è addirittura un servo del sommo sacerdote, parente di quel Malco a cui aveva tagliato l’orecchio, lo interroga: sei uno di loro, ti ho visto nel giardino. Per la terza volta Pietro dice: io non lo conosco.
Questo è Pietro, il discepolo che non è ancora discepolo, il discepolo che deve ancora entrare al servizio del maestro, che deve ancora capire che cosa è la croce. Quanti finti discepoli si accalcano attorno al Signore e ne hanno sulla bocca il nome! Ma, come Pietro, pensano di essere loro a guidare il Signore Gesù o addirittura, come Giuda, di ricavare un guadagno dal Signore Gesù. Insomma, impegnati a fare la loro volontà.
Il trauma di Pietro avviene al canto del gallo. Chi va in Terrasanta trova anche questo spazio – Gallicantus – dove Pietro pianse amaramente. Pietro, in quel pianto, abbandona le sue sicurezze umane e i suoi progetti umani. Piange, non si dà più da fare per essere lui a guidare il Signore, ma si lascerà finalmente guidare dal suo Signore.
È allora emblematico l’incontro con Gesù risorto sul lago di Tiberiade. Per tre volte – aveva tradito tre volte, l’aveva rinnegato tre volte, aveva detto tre volte che non lo conosceva – Gesù gli chiede: mi ami più di costoro? Pietro, la terza volta, si rattristò; le prime volte aveva risposto: certo, Signore – ecco la sicurezza umana – che ti amo, sono io che ti amo. La terza volta si rattristò che gli chiedesse: mi ami più di costoro?. E allora non risponde più come prima ma gli dice semplicemente: Signore, a questo punto, tu sai tutto, io cerco di amarti, non ne ho le forze…
Gesù non fa sconti. Forse sarebbe stato più politicamente corretto non insistere tre volte a ricordargli il triplice tradimento e a dirgli: mi ami più di costoro? Ma la conversione non può prescindere dal pianto, dal cambio di vita. E allora ecco la croce, anche per Pietro: quando eri giovane andavi dove volevi, facevi quello che volevi, eri tu al centro della tua vita… D’ora in poi tenderai le braccia. La croce: sarai condotto dove non vorrai andare. E Giovanni annota: gli disse questo per dire con quale testimonianza avrebbe reso gloria a Dio. Non con le parole, non circondandosi di persone, ma facendo la volontà di Dio.
La croce è seguire il Signore Gesù. Continuiamo allora la liturgia della croce – l’azione liturgica della croce – e chiediamo al Signore di seguire non la nostra volontà, ma di seguire Lui, non dicendo a lui quello che dobbiamo fare o quello che Lui deve fare.