Omelia del Patriarca nella S. Messa solenne per la Festa della Madonna della Salute (Venezia, 21 novembre 2016)
21-11-2016

Festa della Madonna della Salute

(Venezia, 21 novembre 2016)

Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia

  

 

 

Autorità, confratelli nel sacerdozio, diaconi, persone consacrate, fedeli,

anche quest’anno siamo numerosi ai piedi della Madonna della Salute che, da quasi quattro secoli, è per il popolo e la città di Venezia aiuto, soccorso, protezione.

Il Vangelo di Giovanni, appena ascoltato, narra di un matrimonio avvenuto a Cana di Galilea e Gesù era tra gli invitati: “…vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino»” (Gv 2,1-3).

La Vergine Maria, quindi, interviene per aiutare due sposi e, come allora, anche oggi si fa presente alle donne e agli uomini del nostro tempo che s’impegnano nel cammino arduo, gratificante e meritorio del matrimonio, aprendosi al dono della vita come mamme e papà.

In una società che inventa formule sempre più “leggere” e “disinvolte”, in ordine al matrimonio e alla famiglia, è quanto mai attuale ciò che un secolo fa, con grande acume, scriveva Charles Péguy: “C’è un solo avventuriero al mondo, e ciò si vede soprattutto nel mondo moderno: è il padre (e noi possiamo aggiungere: la madre) di famiglia”. È proprio vero: la società attuale, con le sue chiusure individualiste, non comprende più il valore del sì dell’uomo e della donna detto per sempre.

Papa Francesco, nell’esortazione Amoris laetitia sulla realtà e sulle sfide delle famiglie, così si esprime: “…«bisogna (…) considerare il crescente pericolo rappresentato da un individualismo esasperato che snatura i legami familiari e finisce per considerare ogni componente della famiglia come un’isola, facendo prevalere, in certi casi, l’idea di un soggetto che si costruisce secondo i propri desideri assunti come un assoluto»” (Papa Francesco, Esortazione apostolica Amoris laetitia, n.33).

Come abbiamo visto, dal Vangelo di Giovanni, anche al tempo di Gesù il matrimonio era un evento significativo non solo per chi si sposava (un fatto personale) ma per tutta la comunità (gli amici e l’intero villaggio), di cui gli sposi erano soggetti vivi e che, di lì a poco, avrebbero abitato in modo nuovo come famiglia portandovi la novità dei figli, frutto del loro amore.

Il matrimonio era, anche allora, un impegno preso di fronte a Dio, a sé e alla comunità; una realtà da festeggiare, un bene che portava l’uomo e la donna – nel rispetto delle loro peculiarità –  a vivere una nuova pagina della loro esistenza nel dono di sé e che li avrebbe condotti là dove, da soli (in quanto maschio e femmina), non avrebbero potuto andare.

Il matrimonio, oltre alla sponsalità, si apre alla paternità e alla maternità ed è l’atto sorgivo della famiglia, piccola chiesa domestica e cellula fondante la società.

Siamo grati a Papa Francesco che nell’esortazione apostolica Amoris laetitia svolge un’ampia riflessione sulla famiglia, bene della Chiesa e della società. Oggi, le sue parole, ci ricordano che “il bene della famiglia è decisivo per il futuro del mondo e della Chiesa” (Papa Francesco, Esortazione apostolica Amoris laetitia, n.31).

Il nostro tempo è segnato, come detto, da un forte individualismo, per cui l’istituto della famiglia è in conflitto col pensiero comune dominante ispirato ad arte da taluni media. Così, spesso usiamo il pronome “io”, poco il pronome “noi”. E  Papa Francesco, dopo aver ribadito la necessità d’esser fedeli all’insegnamento di Cristo sulla famiglia, chiede di considerarla nelle sue luci e ombre (cfr. Amoris laetitia, n.32): la famiglia oggi risente di tante fragilità, pur rimanendo risorsa per la Chiesa e la società. Sì, torniamo a considerarla come bene per la Chiesa e il mondo.

Col matrimonio non si è più due singoli, due “io” posti l’uno di fronte all’altro o l’uno a lato dell’altro; due “io” che, ogni tanto, si incontrano. No, col matrimonio si è chiamati (vocati) a costruire un nuovo soggetto, ossia un “noi” che, rispettando le differenti personalità dello sposo o e della sposa, costruisca un “noi” condiviso e che sia promosso quotidianamente.

Proprio attraverso tale cammino, l’uomo e la donna si appartengono in modo nuovo. E così i due “io” sono uniti uno all’altro e, nello stesso tempo, s’impegnano per giungere alla pienezza del loro essere personale. L’individualismo è incompatibile col Vangelo sia in ambito spirituale, sia pedagogico, sia sociale, sia  politico.

Ecco, di nuovo, le parole del Santo Padre: “«Le tensioni indotte da una esasperata cultura individualistica del possesso e del godimento generano all’interno delle famiglie dinamiche di insofferenza e di aggressività». Vorrei aggiungere il ritmo della vita attuale, lo stress, l’organizzazione sociale e lavorativa, perché sono fattori culturali che mettono a rischio la possibilità di scelte permanenti” (Papa Francesco, Esortazione apostolica Amoris laetitia, n.33).

Il matrimonio fa parte del progetto di Dio sul piano della creazione (reciprocità uomo-donna) e della grazia (sacramento). E a chi si rifaceva alla legge di Mosè circa il divorzio, Gesù rispondeva: «Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli; all’inizio però non fu così…» (Mt 19,8).

Per Gesù il matrimonio appartiene all’uomo e alla donna, si radica nel loro essere e ne esalta la reciprocità; non è, quindi, realtà estemporanea che, di volta in volta, si lega arbitrariamente alla cultura dominante e destinata in poco tempo a passare; al contrario, il matrimonio esprime l’essere stesso dell’uomo e della donna.

È bello così riscoprire la grandezza del matrimonio che – prima di ogni altra cosa – è vocazione, è risorsa, è ricchezza per la Chiesa (sacramento) e anche per la società civile originando la famiglia (cellula originaria).

Di fronte alla domanda di sposarsi in Chiesa i pastori, gli stessi futuri sposi e l’intera comunità devono riservare più attenzione e un discernimento più accurato  per comprendere se le persone sono pronte.

È una decisione che richiede più attenzione e bisogna riflettere sullo stile di vita, perché coinvolge oltre alla nostra persona quella del coniuge; non bisogna avere fretta, ma riflettere su cosa facciamo e perché lo facciamo, sulla propria storia che ci plasma nel bene e nel male. Decidere, infatti, di sposarsi in Chiesa vuol dire sposarsi nel Signore, ossia fare alleanza con Lui.

È necessario, quindi, saper bene che cosa esige il matrimonio cristiano e che cosa vuol dire viverlo come Dio l’ha progettato; esso è sacramento, ossia segno della sponsalità tra Dio e il popolo, tra Cristo e la Chiesa.

Gesù ci rivela che nell’alleanza sponsale uomo-donna vi è un riflesso dell’alleanza fra Dio e Israele ma, soprattutto, fra Lui e la Chiesa sua sposa, per cui Egli ha dato se stesso amandola sino alla fine.

Sì, il sacramento significa che l’uomo e la donna s’impegnano e si donano  reciprocamente con tutto il loro essere (spirito, anima, corpo), così da costituire un’unità di vita a partire dal dono delle loro persone; tale dono chiede d’esser vissuto come segno e realtà del Regno, ossia in Cristo.

Col sacramento del matrimonio il cristiano – ossia il battezzato/a – si viene a trovare in una situazione ecclesiale nuova; il sacramento del matrimonio dona, infatti, un nuovo modo d’essere in Cristo.

Nel battesimo l’uomo e la donna assumono l’identità cristiana, esito della nuova relazione con Cristo che sgorga proprio da questo sacramento; una relazione che li cambia interiormente rendendoli, appunto, nuove creature.

Il cristiano è nuova creatura perché è in Cristo Gesù e tale espressione – in Cristo Gesù – indica coloro che vivono questa intima comunione con Cristo e con i fratelli e ciò avviene grazie al battesimo; i cristiani, infatti, sono uomini e donne che, nell’intimo, appartengono al Padre in quanto diventati figli nel Figlio.

Tutto, quindi, per il cristiano trae origine e senso dall’amore di Cristo che, proprio col suo amore, precede il nostro e ci rende capaci dell’amore di Cristo che, nella sua persona, è il progetto di Dio Padre nella storia (cfr. Ef 1,3-13; Col 1,13-20).

Gli sposi cristiani, allora, devono essere in maniera crescente, l’uno per l’altro, via privilegiata che conduce a Dio e, quindi, saper scoprire e risvegliare nell’altro il volto di Dio. Così – nonostante i propri limiti, le mutevolezze e il peccato – sono in Cristo sposi e, quindi, anche se non sembrano più esservi appigli umani, sarà sempre possibile – e anche ragionevole – attendere pazientando e, sull’esempio di Gesù Cristo, essere disponibili al perdono proprio in forza del “sì” detto in Cristo. Questo è il sacramento!

In tal modo, nonostante la nostra povertà, si tratta di un “sì” detto in forza del sacramento e che partecipa dell’amore di Dio. Mai si può, quindi, chiudere e irrigidirsi nel solco di una ristretta prospettiva umana.

In Cristo, infatti, si diventa capaci di un dono più grande, un dono d’amore e di perseveranza aprendosi  al “per sempre” e al perdono evangelicamente dato “settanta volte sette” (cfr. Mt 18,22). Ecco perché tutti ci dobbiamo interrogare su questo.

Tutti gli insegnamenti del Nuovo Testamento sono la nuova legge dello Spirito che, se accolta, dona la forza di Cristo. E il matrimonio ne è il caso emblematico.

Si deve, però, procedere a un radicale capovolgimento di fronte, per cui so che Gesù – Figlio di Dio – mi ama e ama personalmente e condivide l’alleanza matrimoniale. E così ci dà la forza per amarci, anche quando umanamente fatichiamo o ci sembra non esservi più alcun motivo per farlo.

Non si tratta di un’utopia (perché allora, con questo criterio, tutto il Vangelo lo sarebbe…) o di una strada per persone speciali; essa richiede semplicemente di far proprio, nella sua verità e realtà oggettiva, il sacramento del matrimonio che è, appunto, alleanza nel Signore; così si tratta di riscoprire la realtà del sacramento, andando oltre le difficoltà della vita non nascondendole e sapendo domandare perdono. ­

Ciò che un discepolo chiama amore sponsale, nel sacramento del matrimonio, non è solo un semplice sentimento umano o un puro atto di volontà, ma un lasciarsi raggiungere e portare dall’amore di Cristo; il sacramento del matrimonio è un piccolo ma realissimo riflesso dell’amore fedele di Cristo crocifisso per la sua Chiesa, donato a un uomo e a una donna che si amano.

Nel sacramento si vive una relazione personale con Cristo e la libertà dell’uomo è sostenuta, arricchita e stimolata a donarsi ulteriormente dalla grazia stessa del sacramento. Ogni atto di fede e di amore provoca – “chiama fuori” – a una nuova donazione: è la vita nuova di chi riceve la forza “vivificante” dallo Spirito. Così, chi è sposato nel Signore ha detto il suo “sì” in Cristo e ama perché Qualcuno lo ama per primo e proprio da questo Amore nasce il suo amore. Il sacramento è questo, anzi è solamente questo; il resto – a cui noi abbiamo dato troppa importanza – è pura conseguenza. Riflettiamo, allora, sui matrimoni ed anche su come li facciamo e dove li facciamo, in modo “turistico” o similia

È importante, però, giunti a questo punto, dire di nuovo, con chiarezza, che il sacramento del matrimonio chiede d’esser preparato, non improvvisato, celebrato al momento opportuno e non prima o in modo estemporaneo; è, infatti, il frutto di un cammino col Signore – personale e comunitario – e si tratta di capire che il dono d’amore dell’uomo e della donna, come lo intende Gesù, è diverso da come lo intende il mondo. È necessario saper distinguere per poter veramente unire e accogliere tutti!

La fede è, infatti, quel sapere critico – e anche rischioso –  che partecipa della sapienza della croce, evento in cui – una volta per sempre – si è attuata la sponsalità esemplare di ogni altra sponsalità, quella di Cristo per la Chiesa sua sposa; il sacramento del matrimonio si radica qui. E il cristiano è colui che prende sul serio la croce.

Affidiamo a Maria, Madre della Divina Misericordia, il Vangelo del matrimonio e della famiglia. Solo Lei, come fece già duemila anni fa a Cana di Galilea, può intercedere presso Gesù per ottenere le grazie necessarie e testimoniare la gioia dell’amore fecondo fra l’uomo e la donna.

Solo Lei può rivolgersi al Figlio con l’autorevolezza e la semplicità della Madre, autorevolezza  che l’evangelista Giovanni fissò – una volta per tutte – nel suo Vangelo e che ci fa comprendere quale è il potere di questa Madre verso il Figlio:  “Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela»” (Gv 2, 3-5).

La Madonna della Salute – come un giorno fece a Cana di Galilea – interceda oggi per la nostra Chiesa e per la nostra città, per i suoi governanti e per i suoi cittadini, per la Chiesa universale e, poi, in modo particolarissimo per il mondo intero che sembra, in questo periodo, averne una grande necessità. Buona festa a tutti!