S. Messa solenne per la Festa del patrono S. Michele Arcangelo
(Mestre – Duomo S. Lorenzo, 29 settembre 2020)
Omelia del Patriarca Francesco Moraglia
Innanzitutto rivolgo un saluto e un ringraziamento al parroco mons. Gianni Bernardi che ci ha introdotti bene, con le sue parole iniziali, a questo momento importante di preghiera; il credente sa che tante cose il Signore le delega agli uomini e tante altre alla preghiera degli uomini.
Mi unisco ai saluti rivolti alle autorità, in modo particolare al Sindaco. In Lei vediamo la nostra città; non è qui, infatti, come persona fisica ma come colui che rappresenta l’istituzione. E soprattutto in questi mesi – come ebbi modo di dire anche tempo fa, nella Bsilica del Santo a Padova, parlando agli amministratori locali – noi cittadini guardiamo con fiducia alle persone che sono chiamate a decidere; vogliamo però che decidiate e che ci aiutiate. Da parte nostra, assicuriamo tutta la collaborazione ed anche la preghiera perché crediamo che chi è chiamato a guidare gli altri abbia bisogno del sostegno di molta preghiera.
Un saluto, poi, va al Questore e in lui ringrazio gli uomini e le donne della Polizia di Stato che compiono un servizio quotidiano molto importante.
Carissimi fedeli,
avere per patrono un Arcangelo come san Michele è sempre, e insieme, dono da accogliere e responsabilità da assumere. È, quindi, bello e significativo che almeno una parte / una rappresentanza della comunità ecclesiale e civile della città di Mestre si ritrovi fisicamente, in questo Duomo, per celebrare l’Eucaristia – l’incontro con il Signore Risorto che rimane atto solenne e sommo bene della Chiesa – per invocarne, ad una sola voce e cuore unanime, l’intercessione e la protezione.
Non dobbiamo mai dare per scontata l’Eucaristia che è il gesto umile e il grandioso “evento” che ci ha salvati e continua a richiamarci all’Essenziale, ossia il Signore Gesù. Nei mesi scorsi, per un lungo periodo, celebrare l’Eucaristia col popolo non è stato possibile e queste stesse impalcature che avvolgono il Duomo di S. Lorenzo – per consentire gli importanti e necessari lavori di consolidamento e restauro – sembrano essere qui per ricordarci come fragilità e “provvisorietà” facciano parte integrante della vita umana e nulla o quasi può essere mai dato per acquisito per sempre; nessuna garanzia umana ci può, infatti, tutelare e “assicurare” fino in fondo.
Nella preghiera di Colletta – con cui abbiamo aperto questa celebrazione – ci è stato ricordato che gli angeli (e, quindi, il nostro Arcangelo Michele) stanno davanti a Dio per servirlo e contemplare la gloria del Suo volto per trasmetterla a noi uomini; noi abbiamo bisogno di riscoprire la gloria di Dio perché l’uomo è immagine di Dio e dobbiamo allora riscoprire quella gloria dell’uomo che si chiama rispetto: per ogni uomo, per qualsiasi uomo, non perché rappresenta qualcosa o ci può dare qualcosa ma, semplicemente, perché è un uomo.
Nello stesso tempo, gli angeli sono vicini a noi e sono grandi e veri amici dell’umanità pellegrina sulla terra, al punto che quella stessa preghiera evidenzia che angeli e uomini sono chiamati a cooperare per portare a compimento nella storia il disegno divino della salvezza.
Essere nei cieli – come accade per gli angeli – non vuol dire essere lontani o distanti; al contrario, significa essere là dove tutto si vede e tutto si abbraccia. Se vogliamo essere aderenti alle cose delle terra, alziamo di più lo sguardo in alto e riusciremo a coglierle meglio, se non altro in modo meno autoreferenziale.
E allora alzare gli occhi al cielo, ritornare a mettere Dio al centro del nostro orizzonte e al posto che gli spetta (il primo!) e chiedere – con un atto di umiltà che ci fa tanto bene – l’aiuto e la protezione degli angeli, in particolare di chi riconosciamo come nostro patrono, ossia di coloro che stanno davanti e vicini a Dio, non solo non ci sottrae dal nostro vivere terreno e dai nostri impegni (e doveri) quotidiani ma è, anzi, garanzia e sostegno forte per il nostro cammino, per discernere con sapienza e portare avanti al meglio quelle scelte che la realtà attuale, con le sue fatiche e difficoltà, ci richiede e ci impone.
Non dobbiamo aver paura, dunque, a fare di nuovo riferimento a Dio – anche nella vita pubblica – e non dobbiamo “arrossire” nel chiedere aiuto e protezione a Chi ci può offrire la luce e la forza necessarie per dirigerci verso ciò che è buono, giusto e vero. Tutti gli Stati dittatoriali hanno iniziato mettendo Dio da parte; porre Dio al centro della vita pubblica in termini laici, non confessionali, significa allora garantire quel limite che ogni uomo deve porsi non mettendosi mai come soggetto ultimo. Sta qui il senso ultimo del nostro essere qui stasera nel nome e nell’invocazione del patrono san Michele.
Tutto ciò vale soprattutto in questi tempi, ancora – e non sappiamo per quanto tempo – segnati dalla pandemia da Covid-19 e dalle sue pesanti ripercussioni sociali ed economiche che stanno colpendo duramente, come sappiamo, anche questo nostro territorio. Specialmente in tali momenti è opportuno richiamare alcuni essenziali punti di riferimento, valori fondamentali, attenzioni indispensabili per il nostro presente e futuro, per quella cosiddetta “ripresa” o “ripartenza” che tutti noi, nei vari ambiti di vita, speriamo di attivare.
Intendo qui, in particolare, quegli elementi che il Vangelo di Gesù Cristo, la Parola di Dio “annunciata” nella storia e la stessa dottrina sociale della Chiesa che ne discende ci suggeriscono e ci indicano con chiarezza, anche come principi su cui fondare la nostra convivenza sociale.
Un primo, fondamentale, aspetto: per ripartire bene e superare le difficoltà attuali – a livello locale e non solo – bisogna riconoscere la comune umanità che ci contrassegna e ci rende tutti corresponsabili nei confronti del mondo a partire dalla nostra città – la vita politica, sociale, economica – come pure dell’ambiente umano e naturale che ci circonda.
“Fratelli tutti” si intitolerà l’enciclica che Papa Francesco promulgherà il prossimo 3 ottobre ad Assisi e che ci inviterà a riscoprire la necessità vitale di rapporti più umani e fraterni che non escludano nessuno, non rendano nessuno “invisibile” o scartato” o schiavo dei pregiudizi ma sappiano includere e coinvolgere tutti, ricercando sempre la concordia (sociale) e mai lo scontro o il conflitto.
L’esperienza della fragilità umana – che abbiamo vissuto e stiamo tuttora vivendo (vengo da una “due giorni” con i sacerdoti del Patriarcato e lì abbiamo ascoltato da parte di un nostro prete, a Venezia da anni ma originario di Bergamo, una testimonianza commovente in proposito) – ci porti, infine, a rispettare di più l’uomo e il suo mistero, dall’attimo del concepimento al momento del morire. E mettiamo finalmente da parte quel tipo d’uomo – presuntuoso e saccente – che si illudeva di avere sempre la risposta ad ogni domanda e la soluzione ad ogni problema, sognando o anche arrivando a credere d’essere come Dio e di non averne più bisogno.
Ci siamo affidati quasi completamente alla scienza e alla tecnica – trasformandole in un surrogato della vera e unica Salvezza che, invece, solo in Dio si può trovare -, in una società sempre più plasmata dal pensiero tecnico-scientifico che, certo, ha prodotto indubbi successi ma ha evidenziato pure limiti evidenti e derive preoccupanti, come testimonia l’evoluzione delle tecnoscienze che generano un intreccio tale da mettere sempre più in rilievo (in posizione di dominio) la macchina, il mezzo, il sistema scientifico e tecnologico programmato e lasciando meno in risalto il fattore umano – la persona – con tutte le possibili e gravi forme di manipolazione di cui, al momento, riusciamo, solo in parte, ad intuire o comprendere la devastante portata, specialmente in termini di libertà, di responsabilità e, in fondo, di “umanità”. Tutto è, invece, parte di una visione più grande dove l’uomo è soggetto e non oggetto e la stessa comunità è fine e non è mezzo.
Ci sono anche alcuni passaggi (soprattutto il capitolo terzo) della “Laudato si’” di Papa Francesco che trattano questi temi. In uno di questi il Santo Padre rileva che “…all’origine di molte difficoltà del mondo attuale vi è anzitutto la tendenza, non sempre cosciente, a impostare la metodologia e gli obiettivi della tecnoscienza secondo un paradigma di comprensione che condiziona la vita delle persone e il funzionamento della società. Occorre riconoscere che i prodotti della tecnica non sono neutri, perché creano una trama che finisce per condizionare gli stili di vita e orientano le possibilità sociali nella direzione degli interessi di determinati gruppi di potere. Certe scelte che sembrano puramente strumentali, in realtà sono scelte attinenti al tipo di vita sociale che si intende sviluppare… Si riducono così la capacità di decisione, la libertà più autentica e lo spazio per la creatività alternativa degli individui” (Papa Francesco, Lettera enciclica Laudato si’, nn. 107-108).
L’arcangelo Michele – nostro patrono – ci aiuti a far sì che l’uomo non si sostituisca mai a Dio né lasci che altri idoli ne prendano il posto. Riscopriamo e riaffermiamo, invece, la gioia e la bellezza di essere creature libere; torniamo a considerare il valore e il senso del limite, nella nostra persona e nei comportamenti sociali; acquisiamo finalmente la consapevolezza che abbiamo bisogno degli altri – siamo affidati gli uni agli altri – e che da soli non possiamo andare avanti né essere del tutto felici.
Come ho avuto modo di ribadire altre volte in questi mesi, non nella sola intelligenza umana, non nell’efficientismo o nella performance c’è la piena riuscita e la felicità dell’uomo, ma nell’incontro con l’Altro e con gli altri, nel camminare insieme, nel ricercare e costruire insieme il bene delle nostre comunità ecclesiali e civili, lasciandoci amare di più da Dio e dal prossimo e amando di più Dio e il prossimo.
Soprattutto dopo i giorni più difficili del Covid-19 dobbiamo, quindi, andare oltre il pensiero e l’azione puramente strumentale ed efficientista. E riprendiamo in mano – soprattutto nel nostro mondo occidentale e più “evoluto” – le domande e le questioni fondamentali che sono alla base dell’esistenza umana e del vivere civile; mi riferisco alle domande sul senso della vita e alla necessità che ci sia un’anima etica in tutto quello che facciamo poiché, altrimenti, una società senza questo respiro e cuore più grande, senza un’umanità autentica e consapevole, senza un’etica non può avere un buon presente e, tantomeno, un buon futuro.
Il cristiano, in particolare, ha presente – e deve sempre ricordarlo – che la scienza e la tecnica, l’economia e la finanza, l’organizzazione dello Stato, le istituzioni, lo stesso welfare ecc. hanno sì delle leggi proprie e autonome (siamo per uno Stato laico!) ma si muovono anche e soprattutto all’interno di una visione complessiva dell’uomo, buona o meno buona che sia. Ecco perché, nel momento in cui alla scienza, alla tecnica, all’economia, alla finanza e allo Stato si riconoscono le rispettive autonomie, è fondamentale, però, che non diventino degli “assoluti”, ma siano a servizio reale della persona, soggetto dotato di una propria e insopprimibile dignità, con diritti e doveri, all’interno di un tutto (il quadro sociale, la vita civile) che chiamiamo “bene comune” e che si nutre tra l’altro di solidarietà e sussidiarietà.
Specialmente i cristiani laici – insieme a tutti gli uomini e le donne di buona volontà – sono oggi chiamati a rileggere e tradurre, nel rispetto di una sana laicità, i valori umani che discendono dal Vangelo di Gesù Cristo in criteri, proposte e indicazioni concrete per costruire il bene comune qui e ora. L’ispirazione cristiana del pensare e dell’agire non può venire meno senza un parallelo retrocedere anche del livello di umanità e dignità del vivere e, allora, è richiesto a tutti – specialmente a chi ha doti o un mandato popolare o un compito “pubblico” – uno sforzo di creatività, di riflessione, di discernimento, di proposta, di scelta ed anche di buona prassi. E tutto questo perché si ha a cuore il bene comune, il bene di tutti, il bene che sa comporre gli interessi legittimi, che sa ridimensionare gli interessi (troppo) di parte e sa costruire una strada comune lungo la quale ciascuno può mettersi in gioco, crescere e dare il suo contributo.
Il futuro di Mestre – città e luogo fondamentale per lo sviluppo e il benessere di quest’area metropolitana -, il futuro di Venezia, della laguna e della terraferma (con tutte le domande “aperte” circa la salvaguardia e la tutela dell’ambiente e le questioni legate alle esigenze del lavoro, dell’economia e del turismo, settore così vitale per il nostro territorio), il futuro del Veneto e del nostro Paese richiedono esattamente questa ampiezza di “visione”, di attenzioni e di orizzonti ma anche una limpidezza di obiettivi e dei riferimenti solidi.
L’Arcangelo Michele, nostro patrono, ci accompagni e ci aiuti in questo percorso – personale e comunitario – sostenendo e animando in particolare la fede, la carità e la speranza della città di Mestre e della nostra Chiesa.
Buona festa di san Michele a tutti!