Gentili autorità, carissimi confratelli nel sacerdozio, diaconi, consacrate e consacrati, fedeli laici,
La prima lettura, tratta dal libro dell’Apocalisse, ci ha presentato il combattimento tra Michele e i suoi angeli e il drago e i suoi angeli.
La storia della salvezza si delinea da subito come una lotta, un campo di battaglia nel quale si fronteggiano due eserciti. Alla fine l’angelo – il cui nome
Mi Ka El significa
“Chi è come Dio?” – ha il sopravvento.
Dopo questa prima lotta in cielo, il combattimento si trasferisce sulla terra ed appartiene alla storia dell’umanità che ne sarà segnata fino alla fine dei tempi. Ciò che già si conosce è l’esito: Dio è il vincitore. Bisogna però subito aggiungere che non si tratta d’un combattimento fittizio; è una vera lotta e il suo esito è il senso stesso della storia.
Papa Francesco, parlando del Vangelo annunciato là dove viviamo e abitiamo ogni giorno, sottolinea: “
La proclamazione del Vangelo sarà una base per ristabilire la dignità della vita umana… perché Gesù vuole spargere, nelle città, vita in abbondanza (cfr Gv 10,10). Il senso unitario e completo della vita umana che il Vangelo propone è il miglior rimedio ai mali della città… vivere fino in fondo ciò che è umano e introdursi nel cuore delle sfide come fermento di testimonianza, in qualsiasi cultura, in qualsiasi città, migliora il cristiano e feconda la città” (Papa Francesco, Esortazione apostolica
Evangelii gaudium, n.75).
Ogni uomo, quindi, in modo più o meno consapevole, si trova coinvolto in questo confronto; il cristiano che ha ricevuto la parola di Dio – e al quale è stato rivelato che la vicenda umana, nel suo senso ultimo e vero, è storia della salvezza – sa d’esser chiamato a vivere nella fede.
L’apostolo Paolo, al termine della vita, non a caso afferma:
“Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione” (2 Tm 4, 7-8).
Tale combattimento riguarda la lotta contro il principio del male che appartiene alla storia del mondo ma che, originariamente, si manifesta a partire dal cuore dell’uomo. Ed è proprio dal cuore dell’uomo che tutto ha origine perché ciò a cui l’Avversario vuole è l’uomo, ad iniziare dove ha inizio la vita di fede dell’uomo. L’Avversario non si accontenta di meno.
Sempre Paolo ci ricorda: “
Vicino a te è la Parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore, cioè la parola della fede che noi predichiamo. Perché se con la tua bocca proclamerai: “Gesù è il Signore!”, e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza…. Infatti: Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato” (Rm 10, 8-10.13) .
Poter accedere al cuore dell’uomo vuol dire impossessarsi dell’uomo, di tutto l’uomo perché – come dice Gesù – è dal cuore dell’uomo che nascono le cose buone e le cose cattive.
Dopo gli importanti passi paolini ci serviamo ora di un testo del Concilio Vaticano II, il decreto
Apostolicam actuositatem che così si esprime circa l’impegno del cattolico nel mondo:
“L opera della redenzione di Cristo ha per natura sua come fine la salvezza degli uomini, però abbraccia pure il rinnovamento di tutto l ordine temporale. Di conseguenza la missione della Chiesa non mira soltanto a portare il messaggio di Cristo e la sua grazia agli uomini, ma anche ad animare e perfezionare l ordine temporale con lo spirito evangelico. I laici, dunque, svolgendo tale missione della Chiesa, esercitano il loro apostolato nella Chiesa e nel mondo, nell ordine spirituale e in quello temporale. Questi ordini, sebbene siano distinti, tuttavia sono così legati nell unico disegno divino, che Dio stesso intende ricapitolare in Cristo tutto il mondo per formare una creazione nuova: in modo iniziale sulla terra, in modo perfetto alla fine del tempo. Nell uno e nell altro ordine il laico, che è simultaneamente membro del popolo di Dio e della città degli uomini, deve continuamente farsi guidare dalla sua unica coscienza cristiana” (Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto
Apostolicam actuositatem, n.5).
La dottrina sociale della Chiesa appartiene, quindi, a pieno titolo alla fede e a livello teologico è parte della teologia morale; per dirla con un’immagine, è lo sguardo del credente sulle realtà penultime.
Il credente è chiamato ad una fede che sia realmente tale, ovvero che sappia comprendere al suo interno l’uomo – tutto l’uomo -, ogni uomo inteso come persona in relazione con altre persone, sia nel rapporto
io-tu sia in quello dell’
io che si riferisce al
noi della società e in tale contesto sa d’essere, oggi, parte d’una società sempre più multiculturale. Poiché questo è un fatto, bisogna quindi vivere considerando la necessità del confronto e del dialogo interculturale.
La sfida che, oggi, sta innanzi a ciascuno di noi consiste nel saper dialogare con tutti coloro con cui entriamo in rapporto e camminare insieme a loro per aprirci alla totalità del reale, così come il reale si pone: senza rifiuti pregiudiziali, ma anche senza sincretismi e relativismi. Sono questi atteggiamenti che, di fatto, non sono rispettosi né delle persone né delle comunità.
Stare in modo cristiano, ossia come discepoli del Signore nel nostro tempo, chiede di aprirci alle altre culture senza smarrire la nostra, accogliere chi bussa alla nostra porta senza rinnegare se stessi, la propria storia, la propria cultura e quella del proprio territorio. Evitare i conflitti presuppone saper “comprendere” le differenze, affinché diventino arricchimento.
La dimensione interculturale non è una novità; è nuova, semmai, la crescita esponenziale del fenomeno dell’immigrazione che la accentua. Per questo, credo doverlo sottolineare, bisogna evitare di cadere in atteggiamenti di rifiuto pregiudiziale (esclusione) o di sincretismo (relativismo) secondo il quale tutto e tutti si livellano; è la logica del poligono – come ricorda papa Francesco – piuttosto di quella della sfera.
Il crescente carattere multiculturale della nostra società spinge necessariamente il cristiano ad esser “costruttore di ponti”, a promuovere relazioni interculturali profonde tra persone e gruppi, ad essere capace d’accoglienza nel rispetto della legalità. In tal modo si rende la società civile il luogo privilegiato in cui la
polis – la città – esercita l’importante e quotidiano dialogo interculturale, appunto senza chiusure, sincretismi o relativismi.
Qui è necessaria una precisazione: la religione cristiana e le altre religioni oggi presenti possono arricchire la
polis unicamente se Dio trova spazio nella vita pubblica, con specifico riferimento all’ambito culturale, sociale, economico e – non ultima – alla sfera politica.
“La dottrina sociale della Chiesa – ci ricorda l’enciclica
Caritas in veritate –
è nata per rivendicare questo « statuto di cittadinanza» della religione cristiana. La negazione del diritto a professare pubblicamente la propria religione e ad operare perché le verità della fede informino di sé anche la vita pubblica comporta conseguenze negative sul vero sviluppo” (Benedetto XVI, Lettera enciclica
Caritas in veritate, n. 56).
Sia nel caso del laicismo – quando la religione, cioè, non trova spazio e non viene accolta nella sfera pubblica – che in quello del confessionalismo – quando la fede viene imposta -, è impedito il reale incontro delle persone per un’azione comune che punti al vero progresso di una società e della città.
Quando confessionalismo e laicismo si impongono sull’uomo, non rispettandolo e bloccando ogni sua possibilità d’esprimersi liberamente nella sfera religiosa – nucleo fondante di ogni cultura che la rende pienamente umana -, allora anche la politica – obiettivamente – ne risulta impoverita e non tarda ad assumere un volto opprimente e aggressivo.
I diritti umani, a partire proprio da quello della libertà religiosa, sotto i colpi del confessionalismo e del laicismo non sono rispettati e non viene, neppure, rispettato l’uomo perché privato della facoltà d’esprimere la dimensione trascendente del vivere nel momento in cui non è pienamente riconosciuta la libertà personale. Nel laicismo e nel fondamentalismo si perde così la possibilità di un dialogo fecondo tra gli uomini e le religioni.
Certo, la ragione necessita sempre d’esser purificata dalla fede e questo vale anche per la politica, che non deve ritenersi onnipotente. E, d’altra parte, anche la religione ha bisogno di purificarsi nel confronto con una ragione che non pretende d’esser un assoluto e che mostra il suo autentico volto umano ossia, come ricorda Pascal, riconoscendo i suoi limiti.
La rottura di questo dialogo comporta un costo grave per lo sviluppo dell umanità nel nostro periodo storico; basta ascoltare e vedere i nostri telegiornali.
Le migrazioni, poi, sono la cifra più eloquente della rottura di questo equilibrio; tutto quanto è stato qui detto va ricuperato e diventa essenziale per una buona vita della
polis.
Ciò di cui il mondo ha necessità per poter fronteggiare gli attuali grandi sconvolgimenti geopolitici – prima delle conoscenze scientifiche e delle competenze tecniche – è il dono della santità, che nasce da una fede coraggiosa e amica dell’uomo.
Il fenomeno migratorio è solo la punta dell’
iceberg di questi sconvolgimenti epocali che, in alcun modo, possono esser abbracciati e governati con la sola forza del pensiero; si tratta, infatti, di avvenimenti che ci schiacciano e ci superano da ogni parte. Eppure, nonostante ciò, il cristiano – e con lui ogni uomo di buona volontà – è chiamato a farsene carico.
Non è da cristiani chiamarsi fuori da tali problemi umani o arrendersi di fronte ad un compito che, in qualche modo, la Provvidenza ci affida giorno dopo giorno.
I santi, nel loro agire, sono sempre stati capaci di profezia, anche se talvolta tale termine si usa in modo improprio, ogni volta, per esempio, che si equipara profezia a parole e gesti che portano in sé novità ma solo di tipo sociologico, culturale e non evangelico.
Basta guardare a Giovanni Bosco, a Luigi Caburlotto, a Leonardo Murialdo, a Giuseppe Benedetto Cottolengo, a Carlo Gnocchi, a Pietro Claver e alla loro opera in favore dei ragazzi abbandonati, degli operai sfruttati, delle persone disabili-gravi, degli orfani, dei piccoli mutilati e anche degli schiavi-neri d’America.
Soltanto la fede che guarda all’uomo concreto, come figlio di Dio e “altro” Gesù Cristo che ti si pone dinanzi, insieme alla forza di una carità umile che sa chinarsi sul singolo uomo, è in grado di costituire l’alternativa ai grandi poteri che nella finanza, nell’economia e nelle politiche internazionali degli Stati agiscono a prescindere dall’uomo concreto che, invece, viene prima degli accordi finanziari, economici e politici.
Papa Francesco nell’
Evangelii gaudium, a tale proposito, così si esprime:
“Si rende necessaria un’evangelizzazione che illumini i nuovi modi di relazionarsi con Dio, con gli altri e con l’ambiente, e che susciti i valori fondamentali. È necessario arrivare là dove si formano i nuovi racconti e paradigmi, raggiungere con la Parola di Gesù i nuclei più profondi dell’anima delle città” (Papa Francesco, Esortazione apostolica
Evangelii gaudium, n.74).
Abbiamo bisogno di santi, ossia di uomini e donne che non abbiano paura e non disperino di fronte al compito sovrumano di una salvezza che, come Gesù ha fatto, si vuole far carico delle ferite che gli uomini infliggono ad altri uomini, a causa del loro peccato.
In questa festa di san Michele Arcangelo, patrono di Mestre, riflettiamo su quanto sia necessario tener insieme sia gli insegnamenti sociali della Chiesa sia la santità, che è sintesi di fede e amore. Tutto questo è necessario affinché la santità sia portatrice di un sapere reale e concreto e la dottrina sociale cristiana non rimanga pura teoria che non trova riscontro nella realtà di ogni giorno.