Omelia del Patriarca nella S. Messa solenne per la Festa del patrono S. Michele Arcangelo (Mestre - Duomo S. Lorenzo, 2 ottobre 2022)
02-10-2022

S. Messa solenne per la Festa del patrono S. Michele Arcangelo

(Mestre – Duomo S. Lorenzo, 2 ottobre 2022)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Stimate autorità, cari confratelli nel sacerdozio, diaconi, persone consacrate, fedeli laici,

celebriamo questa volta nel contesto della domenica il solenne appuntamento liturgico per la festa del patrono della città di Mestre che, come sappiamo, ricorre il giorno 29 settembre, festa dei Santi Arcangeli tra cui spicca san Michele.

Stiamo, quindi, vivendo questa festa nel giorno del Signore – il giorno della convocazione ecclesiale per eccellenza, l’Eucaristia – e allora vogliamo porre la nostra attenzione anche sui richiami che vengono dall’odierna celebrazione – dalle letture che sono state proclamate – e che illuminano la festa del nostro patrono.

L’arcangelo Michele è colui che ci rimanda immediatamente a quella lotta senza quartiere che accompagna da sempre la vita dell’umanità, dall’inizio alla fine: è la lotta perenne tra il bene e il male, tra l’unico e vero Dio e chi, invece, non è Dio. Lo stesso nome “Mi-ka-El” – come è noto – significa proprio: “chi è come Dio?”.

Chi è come Dio? È questa, in fondo, la grande domanda che dovrebbe accompagnare la nostra vita di credenti, soprattutto di fronte alle grandi difficoltà che appartengono alla vita di ogni uomo, di ogni donna, di ogni famiglia e comunità, di fronte alla Provvidenza, alle prove, al bene e al male, all’ingiustizia personale e sociale che molte volte ci accompagna.

Michele è colui che Dio mette tra noi ed il male e ci avvisa di una cosa: tra il bene ed il male c’è una lotta e il bene (personale, sociale) non è mai qualcosa di automatico e di acquisito; è qualcosa che va conquistato. Michele ci ricorda che Dio vuole accompagnarci non in una regata, in uno specchio di mare tranquillo, ma attraverso un mare burrascoso.

È una lotta che la storia della salvezza – con la sapienza della divina rivelazione che è antica e credente – cerca di scrutare e presentare, indagando i motivi fondamentali e i tratti profondi della vita dell’uomo e della sua relazione con Dio, mettendoli in evidenza già nelle prime pagine del libro della Genesi. Pensiamo in particolare al capitolo 3 (il dramma del peccato, la rottura del rapporto di fiducia con Dio, la cacciata dell’uomo e della donna dal giardino di Eden) in cui si evidenzia la libertà dell’uomo, fino alla libertà di opporsi a Dio.

Sì, Dio vuole l’uomo libero e l’uomo può esercitare tale libertà anche opponendosi a Lui e perseguendo un progetto estraneo a quello che Dio aveva per l’umanità.

La lotta tra il bene e il male è annunciata già in quel passo del capitolo 3 della Genesi in cui Dio si rivolge al serpente con queste parole: “Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno” (Gen 3,15).

La festa di san Michele e degli Arcangeli ci porta inevitabilmente a pensare e parlare delle realtà ultime quando la storia entra nell’eternità ed ecco che troviamo san Michele – impegnato contro “il serpente antico” – nel capitolo 12 del libro dell’Apocalisse che contiene la “rivelazione” sulle ultime cose della storia.

E proprio qui si parla di una guerra che “è scoppiata nel cielo” e di Michele che, con i suoi angeli, combatte contro il drago (versetto 7); è, appunto, la lotta che, con diverse modalità e sfaccettature, attraversa tutta la storia dell’umanità – dall’inizio alla fine – come assistiamo anche in questo nostro tempo.

Ma veniamo alle letture di questa domenica. La prima è tratta dal libro di Abacuc: siamo alla fine del VII secolo a.C. e un impero umano – quello di Assiria – sta per tramontare mentre al suo posto subentra un altro impero, Babilonia; un nome questo (Babilonia) che poi andrà ad identificare la città-sede del potere umano che si oppone a Dio, tanto che l’apostolo Pietro chiuderà la sua prima lettera, da Roma, con queste parole: “Vi saluta la comunità che vive in Babilonia e anche Marco, figlio mio – è il nostro san Marco – (1Pt,13).

Mentre un profeta di nome Naum “cantava” la rovina degli Assiri, il profeta Abacuc contempla l’inizio del nuovo impero che mostra già la propria potenza e forza. Il messaggio di questo profeta può essere racchiuso nelle ultime parole della prima lettura: “Ecco, soccombe colui che non ha l’animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede” (Ab 2,4).

Anche qui si accenna ad un “soccombere” che, evidentemente, presuppone una lotta in corso. E ciò che il profeta ha cura di dirci è che, al di là delle apparenze e di quanto la storia umana sembra proporci, a “soccombere” sarà chi “non ha l’animo retto” e non sta dalla parte di Dio. Il giusto, invece, non soccombe; “vive” grazie alla sua fede.

Il tema della fede ritorna nella seconda lettura che raccoglie il pensiero di Paolo al discepolo prediletto Timoteo: “…ti ricordo di ravvivare il dono di Dio – la fede –, che è in te mediante l’imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza. Non vergognarti dunque di dare testimonianza al Signore nostro… ma, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo” (2Tm 1,6-8).

Il discepolo e la comunità sono chiamati a non “soccombere”, a non avere uno spirito timido ma tenace, forte, resistente – “resiliente” come si dice oggi -, che si caratterizza comunque, e sempre, come forza capace di carità e prudenza.

Quello della “battaglia spirituale” è un tema che si disattende e trascura spesso nell’annuncio cristiano. Si accusano situazioni e sensazioni di delusione perché le cose non sono andate come ci si aspettava ma invece, semplicemente, non si è stati in grado di ascoltare e cogliere la verità dell’annuncio del Vangelo che chiede d’essere fedeli al proprio Battesimo e saper mettere in campo quella forza che è sempre da ravvivare – come Paolo chiede a Timoteo – attraverso l’esercizio della fede e dell’amore.

Il Vangelo di Luca (Lc 17,5-10) ci presenta un’immagine di Dio che può sembrarci inusitata e non gradita; infatti, nello stesso Vangelo al capitolo 12, ci veniva data un’immagine di Dio del tutto diversa. Ma la Sacra Scrittura va letta insieme, considerando tutte le tessere del mosaico della storia della salvezza, per giungere ad una immagine di Dio sensata e vera – seppure sempre inadeguata – e, insieme, a capire meglio chi è l’uomo e in che cosa consista la salvezza.

Consideriamo la pericope tratta dal capitolo 12 del Vangelo Luca; qui Dio viene paragonato ad un padrone che, nel momento in cui rientra a casa in un’ora inaspettata, trova i servi ancora svegli e in sua attesa: “…in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli” (Lc 12,37). Dio è buono, ti sorprende e si mette al tuo servizio

Nel Vangelo di oggi, invece, la situazione descritta sembra opposta e Dio è descritto come un padrone che chiede di essere servito anche se i suoi servi hanno lavorato tutto il giorno e sono appena rientrati affaticati e stanchi: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu” (Lc 17,8). Dio è, quindi, esigente e non si accontenta di poco.

Sono, queste, due parabole ma – come sappiamo – le parabole non sono da prendersi alla lettera in tutte le loro affermazioni e nelle singole parti che le costituiscono, ma vanno considerate nel loro senso complessivo; la prima parabola, quindi, vuole mettere in evidenza specialmente la bontà generosa di Dio mentre la seconda pone l’accento più sulla fede intesa come servizio e dedizione assoluta al Signore e al Regno.

Poco prima, infatti, Gesù aveva detto: “Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo” (Lc 14,26). E, non a caso, qui tutto parte dalla richiesta, che i discepoli rivolgono a Gesù, di accrescere la loro fede e che suscita la risposta: “Se aveste fede quanto un granello di senape…” (Lc 17,6).

La Parola di Dio va letta non come parola di uomini ma quale è veramente: è la Parola del Dio vivente che dice qualcosa a me oggi e, se la so ascoltare, entra nei meandri più profondi della mia vita; è una Parola viva che va ascoltata e fatta nostra nel silenzio (di cui, spesso, abbiamo paura).

Lo stesso san Paolo, il missionario per eccellenza, alla fine proprio della seconda lettera a Timoteo fa un bilancio della propria vita e si esprime in questi termini: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede” (2Tm 4,7).

La “buona battaglia” della fede – dice l’apostolo Paolo – è esattamente quella che va condotta, in ogni tempo, senza timidezza ma con forza, prudenza e carità; è la “buona battaglia” a cui sono quotidianamente chiamati i discepoli e le comunità cristiane per opporsi al male – ad ogni male – e alla violenza. E la rivelazione ci avvisa che la prima forma di male e di violenza è legata al rifiuto di Dio e alla volontà di costruire un progetto alternativo a quello che era il disegno di Dio.

L’arcangelo Michele si presenta anche oggi, a ciascuno di noi, come il difensore della fede e del progetto di Dio per la nostra umanità, ponendoci una domanda che viene prima di ogni altra: “chi come Dio?”.

I mesi che stiamo vivendo e ancor più quelli che ci attendono – a livello locale, nazionale ed internazionale – sono carichi di interrogativi e di problemi che ci assillano e rischiano di pesare enormemente sulla vita di tante persone, famiglie ed imprese. Dopo la pandemia e la guerra (tuttora in corso) siamo chiamati ad affrontare una crisi economica, ambientale ed energetica che richiederà sacrifici e non risparmierà difficoltà. Ci sarà bisogno di forza, saggezza, prudenza ed equilibrio in tutti, anche e soprattutto in chi è chiamato a svolgere particolari compiti e responsabilità di carattere politico e sociale.

All’intercessione di san Michele e dei Santi Arcangeli affidiamo le sorti della nostra città di Mestre e di tutti noi perché sappiamo condurre la “buona battaglia” della fede e possiamo rispondere al meglio alle sfide e alle difficoltà del momento presente.

Uno speciale saluto, carico di riconoscenza e gratitudine per il servizio svolto ogni giorno – 24 ore su 24 – a beneficio di tutta la comunità civile, rivolgo alle donne e agli uomini della Polizia di Stato che hanno in san Michele il loro riferimento e patrono. Buona festa a tutti!