S. Messa per l’ordinazione presbiterale di don Bogumil Wasiewicz
(Venezia / Basilica di S. Marco, 18 giugno 2022)
Omelia del Patriarca Francesco Moraglia
Carissimi,
ritorniamo, dopo i due faticosi anni segnati dalla pandemia, a vivere le ordinazioni sacerdotali nella Basilica cattedrale dedicata all’evangelista Marco.
Il mio benvenuto è rivolto in modo particolare alla signora Barbara e al signor Waldemar, mamma e papà del nostro carissimo Bogumil, ai suoi fratelli e sorelle, ai familiari, agli amici e a quanti sono giunti dalla Polonia.
La prima lettura – tratta dal secondo libro delle Cronache (2Cr 24,17-25) – presenta uno spaccato della storia del popolo d’Israele, la storia della salvezza. Per l’autore sacro il re Davide si era impegnato a costruire il tempio affinché in esso venisse celebrata degnamente la liturgia; in realtà, egli potrà solo iniziare l’opera che sarà poi portata a compimento dal figlio Salomone, un re che inaugurò il suo governo all’insegna dell’umiltà e della sapienza ma che, in seguito, si lasciò dominare dalle passioni, dal gusto del lusso, del potere e del piacere (molte mogli e concubine), un re dispotico e sincretista, spesso tollerante verso i culti pagani.
Oggi si evidenzia, nella prima lettura, un fatto molto crudele che rimase nella memoria d’Israele al punto da essere menzionato nel Vangelo di Matteo (Mt 23,35).
Certamente il culto, la predicazione della Parola, la vita del tempio e l’adorazione dipendono, nel bene e nel male, e non poco, dagli uomini che – di volta in volta (anche oggi) – condizionano, nel bene e nel male, la stessa storia di salvezza. Per rimanere all’Antico Testamento: re e sacerdoti, profeti e falsi profeti, con i re che vengono meno nel loro compito di “luogotenenti” di Dio (Israele era una teocrazia) e con i sacerdoti che pensano di più al guadagno, al prestigio personale e familiare che al culto.
L’Alleanza è “evento salvifico”, annuncio e profezia ma, anche, sacrificio o culto liturgico. Così, quando Gesù si scaglia contro i venditori del tempio (cfr. Mc 11,17-19) intende colpire sia il culto ipocrita sia la falsa profezia che genera quel culto ipocrita; è errato, quindi, voler vedere nella condanna del culto un superamento del sacramento (Antico Testamento) da parte della parola (Nuovo Testamento).
Vi è piuttosto la denuncia di un culto falso e ipocrita e di una predicazione altrettanto falsa ed ipocrita; pensiamo al primo capitolo del profeta Isaia in cui Dio si dichiara “stanco” delle feste celebrate in mondo dissacrante e definisce “inutili” i sacrifici come il calpestare gli atri del tempio quando si ha il cuore è lontano da Dio e si attende solo il trascorrere della festa per poter tornare ai propri affari e tornaconti.
Gesù stigmatizza un culto ipocrita, privo di vera profezia, e lo fa però non in nome di una profezia liberata finalmente dal peso del culto.
Il Vangelo – la persona stessa di Gesù – è un dono che vive oggi nelle comunità dei credenti attraverso i membri che costituiscono le comunità e, in modo specifico, grazie a coloro che sono chiamati a servire guidando i fratelli, come ricorda la prima lettera di Pietro (cfr. 1 Pt. 5,2-3).
Carissimo Bogumil, le promesse sacerdotali che tra poco assumerai di fronte a Dio, alla comunità e a re stesso, chiamano in causa la tua libertà, la tua persona. Tu vieni ordinato presbitero perché la Chiesa lo chiede – lo abbiamo sentito poco fa – e così tu, oggi, inizi un nuovo cammino.
Gli impegni sacerdotali (obbedienza e celibato) che oggi assumi sono per sempre a favore di una reale consonanza tra il dono oggettivo della salvezza – il Vangelo, i sacramenti – e il tuo modo di viverli, come presbitero, nella Chiesa.
Carissimo Bogumil, vivendole giorno dopo giorno, le promesse sacerdotali ti custodiranno e ti condurranno a diventare “fedele cooperatore dell’ordine dei vescovi nel servizio del popolo di Dio”, ad “adempiere degnamente e sapientemente il ministero della parola”, a “celebrare con devozione e fedeltà i misteri di Cristo secondo la tradizione della Chiesa”, ad “implorare la divina misericordia per il popolo (…), dedicandoti assiduamente alla preghiera” e ad “essere sempre più strettamente unito a Cristo sommo sacerdote”.
C’è un bel testo – “Dignità del cristianesimo e indegnità dei cristiani” di Nikolaj A. Berdjaev (Torino 2020) – che ci ricorda proprio questo intreccio tra dignità e indegnità, tra fedeltà e fragilità umane, che ci tocca tutti perché riguarda, evidentemente, tutti i battezzati.
È un bel cammino da compiere e, insieme, una grande conversione a cui è chiamata la comunità cristiana in tutti i suoi membri, i battezzati, e in modo specifico, i vescovi e i presbiteri, destinati ad essere “forma” del gregge: “…pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non perché costretti ma volentieri, come piace a Dio, non per vergognoso interesse, ma con animo generoso, non come padroni delle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge” (1Pt 5,2-3). Presiedere l’Eucaristia, per un presbitero, vuol dire essere anche e sempre espressione del sacrificio eucaristico.
Lo stesso Vangelo che è stato appena proclamato (Mt 6,24-34) ci porta alla costante “tensione” che deve pervadere i discepoli del Signore nella storia: “Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza” (Mt 6,24). Ma la pericope evangelica di oggi contiene, soprattutto, un forte messaggio di fiducia.
A ciascuno di noi, ed anche a te Bogumil, può capitare di avvertire il peso della propria inadeguatezza, come è successo ai grandi profeti biblici. Pensiamo al profeta Geremia: “«Ahimé, Signore Dio, ecco io non so parlare, perché sono giovane». Ma il Signore mi disse: «Non dire: Sono giovane, ma va’ da coloro a cui ti manderò e annunzia ciò che io ti ordinerò»” (Ger 1,6-7). Dio, insomma, non fa venire meno il suo appoggio, la sua grazia, la sua protezione e sprona così Geremia: “…àlzati e di’ loro tutto ciò che ti ordinerò; non spaventarti di fronte a loro, altrimenti sarò io a farti paura davanti a loro. Ed ecco, oggi io faccio di te come una città fortificata… io sono con te per salvarti” (Ger 1,17-19).
Lo stesso Mosè aveva protestato la sua incapacità a parlare: “Perdona, Signore, io non sono un buon parlatore… sono impacciato di bocca e di lingua” (Es 4,10). Ed anche la scelta di Davide (cfr. 1Sam 10) emerge dopo che, inizialmente, all’interno della famiglia di Iesse, non veniva neppure considerato tra i “candidabili” all’unzione e alla consacrazione da parte di Samuele.
Quello che conta veramente è, allora, il fidarsi e l’affidarsi a Dio. Il Vangelo di oggi ci rimanda alle belle immagini degli uccelli del cielo e dei gigli del campo per poi arrivare a dire più volte: “Non preoccupatevi…” (Mt 6,31.34). Non preoccuparsi e cercare prima di tutto il Regno di Dio; non ci mancherà nulla e tutto il resto ci sarà dato in aggiunta (cfr Mt 6,33).
Ciò che conta è il rapporto personale con Dio. Se si rimane sempre uniti a Lui, il Suo amore sostiene, converte, cambia e allarga il cuore del discepolo e del presbitero. L’amore di Dio ci cambia (converte) rispetto a quello che rimane, in noi, dell’uomo “vecchio”.
Noi siamo solamente strumenti nelle mani di Dio, strumenti, però, consapevoli dei doni di Dio e memori delle parole di Gesù: “…senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5). Strumenti liberi nelle mani del Signore.
Carissimo Bogumil, ti siano di riferimento nel tuo ministero anche le belle figure di santi che – nella tua terra natale, la Polonia – hanno saputo esprimere – in tempi spesso difficili per la Chiesa – una straordinaria fedeltà ed insieme la capacità di toccare il cuore delle persone, chiamandole a conversione e rendendo trasparente, con la loro spiritualità e il loro profilo personale (e morale), quell’efficacia che è sempre intrinseca nel sacramento ricevuto ma che ha bisogno di un contributo personale ed originale da parte del singolo presbitero con la sua santità e il suo particolare zelo nell’annuncio del Vangelo. Ricordo qui san Massimiliano Maria Kolbe, sant’Alberto Chmielowski e il beato Stefan Wyzynski, cardinale primate di Polonia.
Oggi, così, possiamo fare nostre e indirizzare a te le parole che san Paolo rivolgeva a Timoteo: “…ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante l’imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza” (2Tm 1,6-7).