S. Messa nella solennità dell’Annunciazione del Signore nei 1600 anni dal tradizionale dies natalis della città di Venezia
e in unione spirituale con il Papa per l’atto di consacrazione della Russia e dell’Ucraina al Cuore Immacolato di Maria
(Venezia / Basilica cattedrale S. Marco, 25 marzo 2022)
Omelia del Patriarca Francesco Moraglia
Un saluto cordiale a Sua Eccellenza Boghos Lévon Zékiyan, Arcieparca di Costantinopoli degli Armeni, alle autorità civili e militari, alla rappresentanza dei fedeli ucraini che partecipano a questa celebrazione, accompagnati da padre Yaroslav.
Un ricordo va al nostro Sindaco per chiedere al Signore un rapido ristabilimento delle sue condizioni di salute.
Viviamo un momento importante della storia e la preghiera è la grande arma a cui aggrapparci per invocare dal Signore di intervenire là dove gli uomini fanno danni. Speriamo che le armi presto tacciano e inizino veri colloqui di pace che partano dal rispetto del diritto internazionale e in cui si distingua aggressori e aggrediti.
Ci stringiamo al Santo Padre e con lui questa sera ci uniremo nella recita della preghiera di affidamento al Cuore Immacolato di Maria della Russia e dell’Ucraina, come la Madonna aveva chiesto a Fatima all’inizio del secolo breve, all’inizio di un’epoca travagliata che troppo presto abbiamo creduto di poter archiviare.
Era il 1917 e questi nostri territori veneti erano percorsi dalle bombe e dai colpi di mortaio. Morivano civili, morivano soldati. Questa lezione, a 105 anni di distanza, pare non essere servita.
Carissimi fratelli e sorelle, ci ritroviamo in questo giorno, solennità dell’Annunciazione del Signore, che a Venezia assume rilevanza particolare per il dies natalis della città. Nel corso di quest’anno è stato ricordato il 1600° anniversario dalla sua nascita; si tratta, come sappiamo, di una data simbolica. Ma i simboli – se non sono retorici (e lo possono diventare) – hanno un valore importante nella memoria delle persone e dei popoli.
Tale anniversario ci sprona a guardare con rinnovata speranza al futuro di Venezia, ricordandoci come anche la vita civile della città abbia trovato ispirazione dall’evento cristiano.
Il 25 marzo 421 è – come sappiamo – la data che ci riporta ai primi insediamenti dell’odierna Venezia nell’isola di Rialto e all’edificazione in quella zona di una chiesa che corrisponde all’attuale San Giacometto.
Il 25 marzo è, innanzitutto, il giorno dell’Annunciazione alla Vergine e lega le origini della città a tale mistero trascendente. Venezia si è così voluta unire in modo speciale alla Madre di Gesù, vista come Colei da cui viene la salute, ossia il Signore Gesù: quel Bambino che è Figlio di Dio e Figlio dell’Uomo nasce da Lei, l’Annunziata.
La solennità liturgica dell’Annunciazione, non avendo risonanza civile come ad esempio il Natale, non è percepita nel suo valore e nella sua importanza ma è evidente che non avremmo il Natale e non avremmo la Pasqua se non ci fosse l’Annunciazione, giorno situato nel calendario a nove mesi esatti dalla data del Natale, anch’esso individuato con un intreccio tra teologia e storia – dove teologia non vuol dire fantasia ma un sapere aperto a ciò che supera la ragione – in quanto corrispondeva ad una festa pagana dedicata al Deus Sol Invictus, poi divenuta la festa cristiana della nascita di Gesù Redentore, vera luce e unica Speranza del mondo.
Non avremmo insomma la nascita di Gesù, non avremmo la morte e risurrezione di Gesù nel suo vero corpo se non ci fosse stata l’Annunciazione descritta nel brano, appena proclamato, del Vangelo di Luca (Lc 1,26-38), cifra complessiva dell’intera storia della salvezza. Noi siamo dei perdonati, dei salvati, e il battesimo è l’atto di perdono con cui inizia la vita del cristiano.
Il fatto qui raccontato capita, per usare il linguaggio di san Paolo, “quando venne la pienezza del tempo”, ossia quando “Dio mandò il suo Figlio, nato da donna” (Gal 4,4). Il Vangelo ci presenta il dialogo tra l’angelo – messaggero di Dio – e una ragazza – Maria, della regione (dimenticata) della Galilea – che riprende quello che si era interrotto nella Genesi.
È, infatti, il perenne dialogo tra Dio e l’uomo vivo e reale, iniziato con la creazione e che, poi, si è spezzato con la disobbedienza (il peccato originale), quando Dio cercò Adamo ma Adamo fuggì e si nascose da Lui. Poi c’è stato lo scambio di accuse reciproche con l’uomo che incolpa la donna e la donna, a sua volta, che rimanda al serpente…
È, insomma, un dialogo drammatico quello che si sviluppa tra Dio e l’uomo ma questo dialogo riparte, in modo nuovo e impensato, nella “pienezza dei tempi” e tramite una giovane donna, Maria, a cui si rivolge l’Arcangelo Gabriele con un “nome” preciso – è la “piena di grazia” (Lc 1,28), è l’amata – perché, ancora una volta e in maniera definitiva, si intenda come la realizzazione della salvezza è opera di Dio, è Sua iniziativa. Noi siamo degli amati: un po’ più di amore nelle nostre vite!
È bello risentire le prime parole che Dio rivolge a Maria, ad ogni uomo e a tutti coloro che entrano a far parte della storia della salvezza: “Rallegrati… Non temere… Il Signore è con te” (cfr. Lc 1,28-30). Sì, non c’è da temere perché Dio è il sostegno ultimo della storia ed opera la salvezza.
Nel dialogo con l’angelo si inserisce anche la domanda di Maria: “Come avverrà questo…?” (Lc 1,34). L’umanità è stata creata libera e la salvezza si lega alla grazia di Dio e alla libertà umana. La domanda esprime consapevolezza e corresponsabilità; non siamo strumenti inermi nelle mani del Signore ma persone libere e partecipi, come viene esplicitato con l’ “Eccomi” nella risposta successiva di Maria: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38).
Quel “sì” di Maria farà in modo che Dio manifesti tutta la sua onnipotenza e confermi che davvero nulla per Lui è impossibile (cfr. Lc 1,37). Dio ha voluto aver bisogno del “sì” di Maria per procedere e dare compimento alla sua opera di salvezza per l’umanità. La grandezza della solennità dell’Annunciazione è tutta racchiusa qui.
Viviamo tempi difficili. L’anno scorso, in questo stesso giorno e in occasione dell’apertura delle celebrazioni per i 1600 anni di Venezia, eravamo usciti da poco dall’acqua granda che aveva travolto la città ed eravamo immersi in una pandemia che, ad oggi, non ci lascia ancora del tutto tranquilli e in grado di riprendere la piena “normalità”.
Ora, a tutto questo, si è aggiunta la guerra in Ucraina che ha martirizzato un popolo e colpito l’Europa; una guerra preannunciata in questi anni e sottovalutata ma, nello stesso tempo, inspiegabile ed inattesa nella sua carica di tragedia per milioni di uomini, donne, bambini.
Vogliamo vivere questa celebrazione in profonda unità con Papa Francesco che oggi pomeriggio consacrerà al Cuore Immacolato di Maria la Russia e l’Ucraina. Lo stesso atto sarà oggi compiuto a Fatima dal Cardinale Elemosiniere, inviato del Santo Padre. Torniamo a chiedere protezione e rifugio a Lei, Madre di Dio e nostra!
Ricordiamo ancor’oggi le intense parole della preghiera con cui, proprio a Fatima (dove la Madonna nel 1917 suggerì e domandò tale consacrazione nel corso delle sue apparizioni ai tre pastorelli Lucia, Giacinta e Francesco in cui confidò loro segreti che avrebbero riguardato la politica e la storia degli anni successivi), san Giovanni Paolo II si rivolse esattamente quarant’anni fa alla Vergine Maria: “Madre degli uomini e dei popoli, tu che conosci tutte le loro sofferenze e le loro speranze, tu che senti maternamente tutte le lotte tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre, che scuotono il mondo contemporaneo, accogli il nostro grido che, come mossi dallo Spirito Santo, rivolgiamo direttamente al tuo Cuore e abbraccia, con l’amore della Madre e della Serva, questo nostro mondo umano, che ti affidiamo e consacriamo, pieni di inquietudine per la sorte terrena ed eterna degli uomini e dei popoli. In modo speciale ti affidiamo e consacriamo quegli uomini e quelle nazioni che di questo affidamento e di questa consacrazione hanno particolarmente bisogno” (Giovanni Paolo II, Preghiera del Santo Padre di affidamento e consacrazione alla Vergine, Fatima 13 maggio 1982).
Anche noi, oggi, da Venezia, ci rivolgiamo con fiducia alla Madonna Nicopeia – che è “vincitrice” – e affidiamo a Lei i dolori, le sofferenze, le ansie delle persone e dei popoli, i tanti morti di queste settimane di guerra e sempre a Lei consegniamo la nostra preghiera e il desiderio di una pace che, forse, sappiamo di non meritare.
Chiediamo a Dio il dono della pace ben sapendo che pace e diritto, pace e giustizia, pace e verità sono strettamente connessi – non si può volere l’una senza gli altri elementi – e che la pace è compromessa da ogni atto che va contro il diritto internazionale, che si traduce in forme di ingiustizia e semina morte tra gente innocente ed inerme (bambini compresi). E non può lasciare indifferenti o insensibili anche di fronte ai molti interrogativi che questa guerra, come d’altro canto ogni guerra, suscita.
Bisognerebbe rileggere e riflettere su quanto, con saggezza, il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa scrive – ad esempio al n. 500 – quando tocca tra l’altro le questioni della “guerra di aggressione intrinsecamente immorale”, delle condizioni per l’uso “lecito” della forza, del “diritto alla difesa” e dell’obbligo “a fare tutto il possibile per garantire la pace in tutto il mondo”.
Abbiamo tutti bisogno di mente, cuore e occhi nuovi per discernere i segni dei tempi e costruire i tempi nuovi, nuovi perché il passato, i paradigmi e le caratteristiche che segnavano l’Europa nel Novecento – secolo breve e terribile con i suoi totalitarismi e le sue guerre mondiali – sono e vanno consegnati alla storia, come avviene alla chiusura di un ciclo. Ma su di essi bisogna riflettere a lungo per evitare di ripetere, con modalità nuove, gli stessi errori che hanno determinato – con le due guerre mondiali che sono state come un’unica guerra mondiale in due tempi distinti – più di 70 milioni di morti.
Si è pensato a ripartire esclusivamente da una logica umana – in prospettiva di un’influenza geopolitica, economica e (sia pure in misura minore) militare, privilegiando la scienza e la tecnica – e non si è dato spazio sufficiente per valorizzare la ricchezza della storia, della spiritualità e della cultura dei popoli che vi fanno parte e che rendono l’Europa unita, dall’Atlantico agli Urali per usare una nota ed efficace immagine, in una “vocazione di fraternità e solidarietà”. Tale immagine fu usata espressamente da Giovanni Paolo II (cfr. Discorso ai partecipanti al V Simposio del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa, 5 ottobre 1982).
Lo stesso Papa, nell’esortazione apostolica Ecclesia in Europa, aveva ricordato a tutti i valori fondamentali del nostro continente – come l’affermazione della dignità della persona, l’importanza della libertà, il valore della ragione, il contesto di vita democratica, la distinzione tra politica e religione -, valori acquisiti anche e soprattutto attraverso le radici cristiane. Non vergogniamoci di dirlo, non abbiamo complessi di inferiorità. Certo, non sono le uniche: ci sono le radici di Atene, di Roma e dei popoli germanici. Ma pensare all’Europa senza le influenze e le aderenze cristiane sarebbe un falso storico.
E, a proposito dell’allargamento dell’Unione Europea che stava avvenendo, osservava: “È da auspicarsi che tale espansione avvenga in modo rispettoso di tutti, valorizzando le peculiarità storiche e culturali, le identità nazionali e la ricchezza degli apporti che potranno venire dai nuovi membri, oltre che nel dare più matura attuazione ai principi di sussidiarietà e di solidarietà – parole oggi veramente profetiche – …l’unione non avrà consistenza se fosse ridotta alle sole dimensioni geografiche ed economiche, ma deve innanzitutto consistere in una concordia dei valori da esprimersi nel diritto e nella vita” (Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Europa, nn. 109-110).
Cari fratelli e care sorelle, da Venezia, città dell’incontro, dell’ascolto, dei cammini condivisi, città dei legami tra Oriente e Occidente, si levi allora – nel giorno ormai del suo compleanno n. 1601 – un grido e una preghiera di pace, in sintonia con i numerosi e accorati appelli di Papa Francesco che – anche in questi ultimi giorni – ha parlato della guerra come “una crudeltà disumana e sacrilega”, come “una sconfitta per l’umanità” perché, come avevano detto anche i suoi predecessori, “con la guerra tutto si perde, non c’è vittoria in una guerra, tutto è sconfitto”.
Invochiamo che si fermino al più presto i massacri in corso nella terra ucraina. Dio converta i cuori e purifichi le volontà in vista della pace. Anche la nostra città – fedele ai richiami delle sue origini – si rinnovi e cresca sempre più in umanità, in fede, in concordia e in pace.
Esprimo, infine, un ringraziamento a Dio – attraverso l’intercessione della Beata Vergine Maria Nicopeia – per i dieci anni dal mio ingresso nella Diocesi di Venezia come Patriarca.