Omelia del Patriarca nella S. Messa per la festa di S. Rocco, compatrono di Venezia (Venezia / Scuola Grande di S. Rocco, 16 agosto 2021)

16-08-2021

S. Messa nella festa di S. Rocco, compatrono di Venezia

(Venezia / Scuola Grande di S. Rocco, 16 agosto 2021)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

 

Gentili autorità, stimato Guardian Grando, confratelli della Scuola Grande di S. Rocco e fedeli tutti,

nella preghiera di colletta proclamata all’inizio della celebrazione abbiamo chiesto al Signore di custodire “i tuoi fedeli (tutti noi) con paterna bontà, perché, liberati da ogni male per intercessione di san Rocco, ti servano, imitandolo, nella carità verso i fratelli, e pellegrinando nella Chiesa verso di te, entrino con gioia nella beatitudine della tua casa”.

Sono qui subito richiamati i tratti fondamentali che accompagnano, da quasi sette secoli, la figura di san Rocco rendendolo così amato in tante parti della nostra amata Italia, dal Nord al Sud, oltreché qui a Venezia. Il popolo si rivolge a San Rocco chiedendo la liberazione dal male; è il santo taumaturgo invocato per eccellenza contro peste, pandemie e catastrofi naturali.

San Rocco eccelle come esempio di carità verso i più poveri (testimone di solidarietà e amore cristiano, di vicinanza nelle difficoltà, nella miseria e nella malattia) e, infine, come il “pellegrino”, ossia colui che va pellegrinando nella Chiesa e nel mondo per andare incontro al Signore e per testimoniarlo a tutti.

Vorrei soffermarmi oggi proprio su questo aspetto del giovane san Rocco che, a volte, rischiamo invece di trascurare. Nativo di Montpellier, in Francia, una parte significativa della sua esistenza (finita molto presto, presumibilmente attorno ai 32 anni) la passò in strada, sempre e continuamente in viaggio, anzi “pellegrinando”.

Le poche notizie storiche disponibili ci dicono che, intorno ai vent’anni, Rocco perse entrambi i genitori e decise di seguire Cristo fino in fondo, vendendo tutti i suoi beni e assumendo non solo l’abito – il bastone, il mantello e la conchiglia con cui è spesso raffigurato – ma anche lo spirito autentico del pellegrino, facendo voto di recarsi a Roma a pregare sulla tomba degli apostoli Pietro e Paolo.

Molti sono i luoghi, specialmente nell’Italia centrale, che hanno visto il “passaggio” di san Rocco; non a caso è diventato patrono o compatrono di molte città tra cui la nostra Venezia. Questo suo pellegrinaggio avveniva mentre l’intera Italia era alle prese con le terribili conseguenze di una delle tante epidemie di peste che l’hanno flagellata nei secoli.

A tutti il giovane pellegrino sapeva portare una parola e un segno di speranza: la parola e il segno della croce che Rocco tracciava in particolare sui malati, invocando nella preghiera la forza della Trinità di Dio per la guarigione degli appestati, diventando così umile strumento nelle mani di Dio per portare sollievo ed operare anche guarigioni. Sempre in cammino, sempre in movimento, sempre incontro ai fratelli e al Signore.

Nel suo essere pellegrino instancabile, Rocco entra a pieno titolo in una tradizione ecclesiale che annovera, in particolare, figure come l’irlandese san Colombano che, nel VI secolo, lasciò la sua famiglia e il suo Paese per diventare “pellegrino di Cristo”, monaco missionario ed evangelizzatore, capace (da abate) di fondare monasteri e costruire molte chiese, in un’Europa flagellata dalle invasioni barbariche e qui in Italia dove Colombano morì a Bobbio (vicino Piacenza).

Lo spingeva la “peregrinatio pro Domino”, ossia una sorta di missione continua ed appassionata, tesa a portare a tutti la buona notizia del Vangelo, per annunciare e insieme già edificare e testimoniare la vita nuova che Cristo immette nell’esistenza delle persone e delle comunità, nella società, nella cultura, nell’economia e nella politica.

Facendo un salto di secoli, potremo poi ricordare come anche nella biografia del santo curato d’Ars – Giovanni Maria Vianney – vi sia un riferimento in tal senso: la famiglia contadina da cui proveniva il curato d’Ars era molto religiosa e soprattutto aperta alla carità ed accogliente verso tutti, sia verso i poveri che non avevano di che mangiare o dove dormire sia verso figure singolari come colui che sarà conosciuto come san Benedetto Labre (1748-1783), noto come “il pellegrino di Dio”.

Di Labre si racconta che pellegrinava a piedi di santuario in santuario, vivendo di elemosine e dell’ospitalità dei buoni. Si calcola che in 14 anni percorse, a piedi, circa 14.000 chilometri; dormiva per strada e donava ad altri poveri quello che considerava superfluo. Si vestiva in maniera semplice, aveva un sacco sulle spalle con qualcosa da mangiare e le uniche cose che possedeva: il Vangelo, un breviario, il libro “Imitazione di Cristo”, qualche altro testo di devozione spirituale e il crocifisso che portava al collo.

In questi mirabili esempi di pellegrini di Cristo c’è sicuramente anche il nostro san Rocco, immagine dell’uomo giusto descritto poco fa nel salmo responsoriale: “Beato l’uomo che teme il Signore e trova grande gioia nei suoi comandamenti… Spunta nelle tenebre come luce per i giusti, buono, misericordioso e giusto… Egli non vacillerà in eterno: il giusto sarà sempre ricordato. Non temerà annunzio di sventura, saldo è il suo cuore, confida nel Signore. Egli dona largamente ai poveri, la sua giustizia rimane per sempre…” (Sal 111).

Pellegrino nel mondo – tra le persone più fragili e abbandonate, che non aveva paura di avvicinare – e sempre orientato ad annunciare e a testimoniare la forza e la potenza che non venivano da lui (uomo) ma da Dio, dal Signore Gesù, il Crocifisso Risorto, Rocco ha lasciato una scia di santità, di bene, di amore, di fede, di speranza, di salute e di salvezza che è arrivata fino a noi oggi.

Come tutti i santi, infatti, anche Rocco di Montpellier – nella sua originale vicenda personale – è luminosa espressione della fecondità della Pasqua di Cristo nella storia. Il suo peregrinare ne è segno eloquente, il segno di chi, ancora su questa terra, già è rivolto – con tutto se stesso, anima e corpo – alla meta finale. Egli dimostrerà oltretutto, una volta di più, il suo sguardo concentrato sul futuro di Dio quando, nella totale consegna di sé, accetterà d’essere ingiustamente imprigionato, scegliendo di non manifestare il suo nome e di rivelare chi era; in tal modo, non riconosciuto, non potrà essere liberato e verrà identificato ormai soltanto in punto di morte. Anche nel tempo della prigionia, il santo pellegrino volle essere identificato per la sua appartenenza a Dio e secondo la sua definizione di “umile servitore di Gesù Cristo”.

Nella seconda lettura – tratta dalla prima lettera di san Giovanni apostolo – abbiamo ascoltato queste parole: “Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte… Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Cristo ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli… non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità” (1Gv 3,14.16.18).

Troviamo qui – ed anche nella pagina del Vangelo di Matteo sul giudizio finale – la risposta alle scelte fondamentali del nostro santo: il pellegrinaggio come dimensione continuativa del vivere, una carità senza limiti e senza calcoli che lo porterà a chinarsi, anche a prezzo della vita, su quanti – evitati da tutti – recavano nel loro corpo i segni del morbo, allora invincibile, della peste, la ricerca di Dio e delle “cose di lassù” prima di tutto per amare quel Dio che non si vede a partire dai fratelli che s’incontrano ogni giorno, soprattutto se sono in difficoltà e nel bisogno.

Carissimi, siamo tutti chiamati a rendere la nostra buona testimonianza e siamo invitati a farlo con le parole ma, anche e soprattutto, con i gesti e lo stile della vita di san Rocco che – con la sua esistenza movimentata, generosa ed eroica fino al dono totale di sé – risponde alla logica di una vita sempre in cammino, tutta “spesa” per l’Altro (A maiuscola) e per gli altri, pienamente offerta al Signore come è stato per gli antichi profeti e per altri santi, vissuti prima e dopo di lui.

Guardiamo allora a san Rocco, soffermandoci sulle caratteristiche tipiche delle immagini con cui l’iconografia popolare ce lo consegna, ossia l’abbigliamento del pellegrino: cappello a falda larga per proteggersi dalla pioggia gelida e dal sole cocente, mantello a mezza gamba – il tradizionale sanrocchino – e, in mano, il lungo bastone mentre, appesa al collo, c’è la conchiglia per poter bere lungo il cammino a qualche sorgente o fontana. Un’immagine degna di un antico profeta ma, per chi cerca Dio, attualissima, immersa nel momento presente e proiettata nel futuro.

Chiediamo alla sua intercessione la grazia di seguirlo lungo questo cammino, di percorrere nella nostra città sentieri di carità e misericordia, di giustizia e di pace ed essere cristiani più coraggiosi, non dimentichi della fede e della speranza che ci hanno segnati fin dal battesimo, di recare sollievo e aiuto a chi è più in difficoltà per la pandemia di oggi e per le tante sofferenze che la vita può presentare. Ci conceda di “progredire sulla via della carità per possedere l’eredità eterna” (cfr. Orazione dopo la comunione) e di imitarlo nel suo amore e nel suo peregrinare verso Dio e verso le sorelle e i fratelli più nel bisogno o dimenticati e abbandonati.

Anche per ciascuno di noi, per la nostra città che ha san Rocco come compatrono, per il nostro Paese e per il mondo, “allora – sono le parole della prima lettura – la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà… brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio. Ti guiderà sempre il Signore, ti sazierà in terreni aridi, rinvigorirà le tue ossa; sarai come un giardino irrigato e come una sorgente le cui acque non inaridiscono” (Is 53,8.10-11).

 

 

 

 

 

condividi su