Omelia del Patriarca nella S. Messa per il bicentenario della nascita del Beato Luigi Caburlotto (Venezia, Basilica S. Maria Gloriosa dei Frari – 7 giugno 2017)

07-06-2017

S. Messa nel bicentenario della nascita del Beato Luigi Caburlotto

(Venezia, Basilica S. Maria Gloriosa dei Frari – 7 giugno 2017)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

Carissime e carissimi,

ci ritroviamo, con il cuore colmo di letizia e gratitudine, a vivere questa celebrazione eucaristica nel giorno del bicentenario della nascita del beato sacerdote Luigi Caburlotto (avvenuta a Venezia il 7 giugno 1817) che, proprio in questa splendida basilica, fu portato dai suoi genitori al fonte battesimale per ricevere il dono più grande, quello della divina figliolanza.

Luigi nasceva da una famiglia profondamente religiosa che viveva nel contesto di una città – la Venezia di allora, sotto la dominazione austriaca – in situazione di declino e decadenza sotto tanti punti di vista; una città che come ben presto il giovane sacerdote dovette constatare, sin  dall’inizio del suo ministero, presentava zone di vero degrado sociale e spirituale, dove le famiglie vivevano in povertà o, meglio, in vera miseria; frequentemente ragazzi e ragazze erano abbandonati al loro destino già nella primissima infanzia.

Pochi anni dopo, infatti, come ricorda Domenico Agasso jr. nel suo libro dedicato a Caburlotto, il patriarca  Giovanni Ladislao Pyrker – 1820 al 1827 – descriverà con grande verismo il deterioramento morale e spirituale in cui versava la città negli anni della fanciullezza di Luigi Caburlotto: “Nelle chiese la profanazione, nelle strade l’immodestia del vestire, nei crocicchi la libertà del parlare e del conversare, nelle taverne la bestemmia e lo stravizio, nelle famiglie la discordia dei coniugi e dei congiunti, lo scandalo e l’abbandono dei figli, nelle coscienze l’indifferenza per la virtù e l’insensibilità per il peccato”.

Tutto ciò ci fa ancor più apprezzare la rilevanza “profetica” di quanto Luigi Caburlotto, sacerdote veneziano, riuscirà ad attivare attraverso la sua grande passione pastorale ed educativa che è auspicabile riviva oggi attraverso l’opera di chi ha il coraggio di raccoglierne il testimone.

Viviamo questa nostra celebrazione ormai al termine di un anno scolastico e di attività educativa e formativa, con le sue gioie e fatiche che affidiamo alla misericordia del Signore per le mani della Beata Vergine Maria.

In questo contesto è sempre utile tornare all’insegnamento del Caburlotto, reso in parole e anche in numerose e concrete realizzazioni che riguardano l’educazione, questione oggi delicata e urgente.

Nella nostra epoca – detta postmoderna o della tarda modernità – i contatti virtuali attraverso i social e la “rete” hanno, in gran parte, sostituito gli incontri reali fra le persone, così, la trasmissione di valori e della stessa fede risulta non solo problematica ma pure insufficiente.

Nella trasmissione dei valori e della fede siamo, infatti, chiamati a comunicare la realtà di una scelta che è scoperta con l’altro e a lui va offerta in un incontro reale; è questo un dovere che oggi gli educatori e, in modo particolare, i genitori hanno nei confronti dei loro allievi e dei loro figli. Avere tempo per l’altro vuol dire volergli bene.

Gli insegnanti e i genitori – primi educatori dei loro figli – devono saper toccare il cuore dei loro ragazzi e muoverne le energie più intime affinché possano reagire ai tanti messaggi – non di rado diseducativi – che ricevono ogni giorno, aiutandoli a maturare un sereno spirito critico e, insieme, a elaborare gli anticorpi necessari che consentano loro d’esser liberi e capaci di scelte cristianamente e umanamente mature in una società sempre più povera di valori di riferimento.

Per cuore – e siamo in linea col pensiero del Caburlotto – non si intendono soltanto i sentimenti e l’emotività, ma il centro intimo della persona con tutte le sue risorse di intelligenza, volontà, memoria, sentimenti, affetti, fantasia.

Spetta proprio agli insegnanti e, innanzitutto, ai genitori muovere il cuore dei ragazzi, ossia tutte le loro risorse – intelligenza, volontà, memoria, sentimenti, affetti, fantasia – affinché non rimangano prigionieri di messaggi inutili, diseducativi e vengano “anestetizzati” da un continuo rumore di fondo che li confonde e rende incapaci di aprirsi alla totalità del reale, cadendo in una forma di riduzionismo che li conduce a elaborare mondi virtuali o a seguire acriticamente l’opinione dominante. I diktat della moda – vestiti, taglio dei capelli, accessori scolastici ecc. –, per non parlare poi del linguaggio, sono la prova di tutto ciò.

Ore e ore lasciati davanti alla televisione o interi pomeriggi trascorsi alle prese con videogames o a navigare nella rete fanno perdere il contatto con la realtà, soprattutto il gusto delle relazioni umane che sono certamente più faticose del comodo “navigare in rete” ma che sono in grado di far maturare la persona umana nella fatica di un reale confronto, aiutandola a esser realmente libera.

I genitori, oggi più ancora che nel passato, non possono limitarsi a informare e a trasmettere nozioni ai loro figli ma devono impegnarsi toto corde nell’arte mai scontata dell’educare; in tal modo lasceranno a loro un’eredità che nessun frangente o sconquasso della vita potrà mai togliere.

Ricordo a me e a voi, carissimi educatori, religiose figlie del beato Caburlotto, genitori, insegnanti – alcuni pensieri di don Luigi, lui che fece dell’educazione dei giovani il cardine del suo agire e della sua missione in questa città di Venezia e nel più ampio territorio del nostro Veneto.

Agli educatori, in particolare, egli ricorda quali siano le sole “armi” necessarie e preziose per educare che – beninteso – specifica sempre essere “un’arte del cuore”. Tali armi sono dunque: “Dolcezza, discrezione, perseveranza”. E in un altro passo, poi, aggiunge: “La virtù distintiva di un educatore è senza dubbio la pazienza”.

Traspare evidente anche la sua scelta e  metodo educativo: “Solo carità e dolcezza conquistano il cuore e persuadono al bene… Se l’educatore associa dolcezza e autorevolezza, non serve il castigo”.

Soprattutto gli educatori, a cominciare dai genitori, non devono dimenticare che “si addossano non solo la cura della mente degli allievi, ma anche dell’anima e del cuore, cosa assai delicata, perciò si devono rivestire di Gesù Cristo”. Ecco perché, per educare, ci vuole non solo competenza ma soprattutto amore gratuito, affetto autentico e disinteressato.

Per la perspicacia e attualità riprendo il noto pensiero del Caburlotto che delinea il profilo del “buon educatore” che “vede tutto, corregge poco, castiga pochissimo”. Non possiamo dimenticare anche un altro suo prezioso insegnamento: “Si può considerare valido un educatore quando all’intelligenza e alla preparazione associa la passione di condurre gli allievi al loro perfezionamento”.

Non è un caso, allora, che la figura di san Giuseppe risulti così fondamentale nella vita e nella spiritualità, oltreché nel metodo educativo, di don Luigi tanto da proporlo come riferimento diretto alle sue suore – il cui istituto è denominato, appunto, “Figlie di S. Giuseppe” – ed anche come modello per la vita apostolica e per i compiti educativi: “Giuseppe è in ginocchio davanti al Figlio di Dio, è in umile e rispettoso servizio, pur non rinunciando a fargli da modello, giuda ed educatore. Così dev’essere per ogni educatore. In ogni bambino, in ogni ragazzo in crescita, e in ogni uomo, velato, ma reale, è presente il Figlio di Dio…” (Domenico Agasso jr, L’impronta della carità e della dolcezza. Luigi Caburlotto, San Paolo 2015).

Ma Caburlotto sa offrire direttamente consigli e suggerimenti importanti anche ai più giovani, agli allievi, agli educandi: “Fin dalla scuola si impara a vivere da cittadini, ad assumere responsabilità, a trattare con cortesia… Il tuo avvenire è nelle tue mani: con propositi fermi puoi costruirlo sicuro… Lo studio non è esercizio pesante, ma mezzo opportuno per costruire futuro… Dedicati alla studio non per costrizione, ma come al tuo dovere di oggi… Oggi, nella scuola, ti prepari ad essere il cittadino di domani”. Quanto possono essere preziosi, anche oggi, questi richiami!

Il beato don Luigi ci ricorda, con la sua parola, che dobbiamo esser riferimenti certi per i nostri giovani in quella che è la ricerca fondamentale della loro vita: scoprirne il senso. Ma non si possono aiutare gli altri a scoprire il senso della propria vita o vocazione se, per primi, noi non abbiamo scoperto e non viviamo la nostra personale vocazione che siamo chiamati a conoscere, amare e testimoniare con semplicità e coerenza. Allora saremo loro di aiuto.

Questo è richiesto ai papà, alle mamme, agli insegnanti, alle religiose e ai preti e questa è la prima domanda che un educatore deve porsi ogni giorno incontrando chi il Signore gli ha posto dinanzi.

Ripeto: possiamo aiutare gli altri a scoprire la loro vocazione solo se, per primi, abbiamo scoperto e viviamo la nostra, ossia se la conosciamo, la amiamo e la testimoniamo con semplicità e coerenza.

Carissimi e carissime, solo la fedeltà alla nostra vocazione fa nascere, in chi ci guarda, il desiderio di scoprire la sua. E questo è il dono più grande che genitori ed educatori possono fare ai propri figli e ai propri allievi.

 

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