Omelia del Patriarca nella S. Messa per il 50° anniversario dell’Aqua Granda 1966/2016 (Venezia, Basilica Cattedrale di S. Marco - 4 novembre 2016)
04-11-2016

S. Messa nel 50° anniversario dell’Aqua Granda 1966/2016

(Venezia, Basilica Cattedrale di S. Marco – 4 novembre 2016)

Omelia del Patriarca di Venezia mons. Francesco Moraglia

 

Stimate autorità, illustrissimo Signor Sindaco, concittadini, fratelli e sorelle,

è difficile per chi non è veneziano o non conosce bene la realtà di Venezia, avere la percezione della gravità degli eventi che, nel 1966, mandarono a lungo sott’acqua la nostra città e ferirono parti significative del territorio di questa regione, causando danni ingenti e, purtroppo, anche molte vittime.

Cinquant’anni fa, il 4 novembre del 1966, proprio in queste ore si stavano consumando in città, nelle isole e nei territori circostanti la città di Venezia, e in differenti zone del Veneto, momenti drammatici e di vera angoscia.

I nostri vecchi – padri, madri, nonni – vissero uno di quei momenti in cui alcuni sono chiamati a portare sulle spalle il peso che altri neppure sono in grado di immaginare. In questi casi si è chiamati a dare il meglio di sé, chiamati a rispondere e ad essere coinvolti ben oltre la propria scelta personale; si tratta di portare un peso al di fuori dell’ordinario. Il ricordo della forza di questi uomini e donne suscita riconoscenza e ammirazione; noi ci siamo oggi anche perché loro non sono venuti meno. Fu grazie alla loro forza e alla loro determinazione che i nostri territori, così drammaticamente feriti e resi irriconoscibili dalla violenza degli elementi, poterono risorgere. Con questa celebrazione eucaristica, in loro suffragio, intendiamo dire loro il nostro “grazie” tramite la preghiera che passa la barriera del tempo per entrare nell’eternità e beneficare oltre a coloro per cui si prega anche coloro che pregano.

Ricordiamo qui la loro determinazione, la loro forza di volontà ma, anche, il loro attaccamento alla terra veneta. E, alla fine, fu proprio il loro personale attaccamento alla vita che diede, anche a quanti avevano perso tutto, il coraggio di rimanere e di non venire meno.

Il Veneto e il Nordest pagarono un alto tributo anche in vite umane; alla fine furono parecchie decine le persone che persero la vita e non fu la prima volta in cui la nostra terra si trovò a pagare un prezzo notevole.

La sofferenza della nostra terra passò quasi inosservata rispetto ad altri territori e città che provate anch’esse drammaticamente da quegli stessi eventi, ebbero ben altra considerazione e visibilità: “…in tutta Italia – sono le parole di uno che c’era – si parlava solo di Firenze e dei danni alla cultura! Nessuno parlava dei danni di Venezia e del Veneto. Basti solo pensare che a Bassano il Brenta era salito di due metri sopra il ponte degli Alpini! E a Pordenone il Noncello aveva invaso il centro storico e all’albergo Centrale era giunta al primo piano… Tutti i fiumi del Veneto erano straripati ed avevano esondato per le campagne… Il Veneto, come sempre, non interessava a nessuno! ” (Acqua alta del 4 novembre 1966. Il ricordo di Gigio Zanon, www.venicewiki.org).

Tra il 4 e 5 novembre 1966 l’anomalo combinarsi di eventi metereologici differenti portò le acque a salire e a non defluire secondo i ritmi fisiologici della nostra laguna e così la città, le isole e ampie zone del territorio lagunare rimasero ricoperte. “Aqua Granda”, appunto. Bisogna aver vissuto tali momenti o averli sentiti raccontare da chi ne fu, suo malgrado, protagonista per comprendere la vera misura del dramma. La sensazione provata in quelle rapide e insieme interminabili rimase indelebile nella memoria.

Chi, in seguito, ha fatto una simile esperienza, in epoche successive a quella dell’Aqua Granda, quindi, con mezzi tecnici evoluti rispetto a quelli di cinquant’anni fa, – alludo all’inondazione delle Cinque Terre e della valle del Vara e del Magra, in Liguria – sa che di fronte allo scatenarsi repentino e violento degli elementi della natura c’è ben poco da fare.

L’uomo, nonostante il progresso della scienza e i nuovi mezzi offerti dalla tecnica, di fronte alla forza della natura rimane e rimarrà sempre fragile, esposto, indifeso. Sì, nonostante l’uomo aumenti le sue conoscenze tecnico-scientifiche, rimane sempre a rischio di fronte alla forza schiacciante e all’imprevedibilità delle forze della natura e tristemente lo tocchiamo con mano anche in questi giorni con i ripetuti eventi sismici, non prevedibili, che colpiscono al di là dello stato di allerta.

Queste situazioni di precarietà appartengono all’esperienza che non pochi di noi hanno fatto e aiutano a comprendere che per quanto l’uomo progredisca nelle conoscenze e dispieghi attraverso gli strumenti della scienza e della tecnica un crescente controllo sulla natura, mai potrà considerarsi totalmente sicuro e protetto.

A distanza di 50 anni, è importante ricordare sofferenze e vicissitudini dell’epoca – non smarrire la memoria è fondamentale – ma soprattutto è essenziale e utile interrogarsi e ragionare con pacatezza e con mente più libera e “purificata”.

I cinque decenni che ci separano dai tragici fatti del 1966 permettono di avere una visione più ampia e, almeno in parte, svincolata da steccati politici e culturali e da appartenenze che hanno dato origine a veti incrociati e si sono perpetuati, nel corso degli anni, prendendo forma anche in sterili confronti sulla salvaguardia e sulla crescita di Venezia.

Cari politici, oltre al doveroso confronto e dialogo, bisogna anche saper decidere. Questo risponde al bene comune, altrimenti passano i decenni e la città inesorabilmente corre verso il suo declino. Bisogna che tutti ci liberiamo dai pregiudizi e dalla sindrome del “primo della classe”, ossia di colui o di coloro che sanno già tutto e, con malcelata superiorità, partecipano alle discussioni sopportando a mala pena l’interlocutore poiché pensano di non avere nulla da imparare ma solo da insegnare. Le auspicate scelte condivise – che riguardano la città che è bene comune – sono frutto della vera disponibilità di tutti al dialogo e frutto del coraggio di chi, di volta in volta, è chiamato a governare. Qui, veramente, chi è senza peccato scagli per primo la pietra.

Forse proprio oggi si può chiedere una cosa a coloro che – a vari livelli (locale, nazionale, europeo e mondiale) – sono coinvolti nella difesa, nella tutela, nello sviluppo della città: che dopo le parole diano seguito ai fatti, almeno muovendosi un po’ più coordinati fra loro, evitando reciproche delegittimazioni, verificando con serenità e realismo (le due cose vanno insieme) i passi compiuti – significativi, contraddittori o parziali che siano – e pianificare quelli da intraprendere per compiere ulteriori passi in avanti e fare il bene di Venezia e del territorio circostante.

E così sollecitarne il rilancio, in un equilibrio sempre nuovo tra i differenti elementi che la compongono e influenzano: la particolarità dell’ambiente e la necessità di rispettarlo, il rapporto vitale tra turismo, cultura, grandi eventi, economia, attività industriali / imprenditoriali e residenzialità quotidiana.

Il dato decrescente degli abitanti non può lasciarci solamente pensosi ma deve portare a una politica che finalmente sia a favore della famiglia, luogo di promozione del bene comune che garantisce il ricambio generazionale, attraverso il dono dell’amore fedele dell’uomo e della donna. La famiglia, inoltre, si pone come primo e significativo ammortizzatore sociale, tanto nei confronti dei giovani quanto degli anziani.

Bisogna mettere insieme intelligenze, competenze, risorse e disponibilità, impegno e passione, studi e strumenti tecnologici avanzati per costruire il bene comune di questa città, sapendo anche osare nel modo giusto e al momento opportuno e  rompendo qualche incrostazione di troppo. Se Venezia è città del mondo e “casa comune” – luogo che appartiene ai veneziani e a tutti gli uomini (seppur in modo differente) – come tale va vissuta, salvaguardata, difesa e fatta crescere.

Non pensiamo solo al grande Mose che, per motivi differenti, rimarrà nella storia della città ma, anche, al notevole sforzo progettuale della Procuratoria di San Marco per la messa in sicurezza dell’intera insula marciana. Il miglior modo per celebrare l’Aqua Granda, allora, è coglierne fino in fondo la lezione per avere uno sguardo attento, delicato e audace nei confronti della città e del suo territorio metropolitano.

Desidero anche prospettare –  come prima accennato – un cammino comune che abbandoni ogni senso di superiorità nei confronti degli altri. Si tratta di stipulare una nuova “alleanza” per Venezia, condividendo un progetto per il bene della città e del territorio e che riguardi i prossimi  anni. Solo così si creerà consenso e si faranno sia i piccoli che i grandi interventi necessari per Venezia, in modo da dare un “futuro veneziano” ai vostri figli e nipoti.

Di ciò le generazioni future saranno profondamente grate all’attuale. Quando nel 2066 si celebrerà il centenario dell’Aqua Granda – e pochi dei presenti vi saranno per ovvie ragioni -, spero davvero che i futuri cittadini di Venezia siano allora in grado di riconoscere nei politici, negli imprenditori, negli uomini di cultura e nell’intera nostra generazione gli iniziatori di questo cammino nell’interesse della nostra città – veramente la più bella del mondo – e non solo per noi veneziani.