Omelia del Patriarca nella S. Messa per i funerali di mons. Rino Vianello (Murano / Chiesa parrocchiale S. Pietro, 4 novembre 2022)
04-11-2022

S. Messa per i funerali di mons. Rino Vianello

(Murano / Chiesa parrocchiale S. Pietro, 4 novembre 2022)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Carissimi,

desidero esprimere le mie condoglianze, la mia vicinanza e quella della Chiesa che è in Venezia, ai nipoti, ai familiari, alla comunità muranese e a chi ha conosciuto e stimato don Rino e ora ne ricorda la figura di uomo e di sacerdote.

 

“La vita è un dono, e quando è lunga è un privilegio, per sé stessi e per gli altri… Nella Bibbia la longevità è una benedizione. Essa ci mette a confronto con la nostra fragilità, con la dipendenza reciproca, con i nostri legami familiari e comunitari, e soprattutto con la nostra figliolanza divina. Concedendo la vecchiaia, Dio Padre dona tempo per approfondire la conoscenza di Lui, l’intimità con Lui, per entrare sempre più nel suo cuore e abbandonarsi a Lui. È il tempo per prepararsi a consegnare nelle sue mani il nostro spirito, definitivamente, con fiducia di figli” (Papa Francesco, Discorso ai partecipanti al I congresso internazionale di pastorale degli anziani, 31 gennaio 2020): sono parole di Papa Francesco che ben si adattano a questo momento e alla lunga vita che Dio ha donato a don Rino il quale ha potuto superare la soglia del secolo di vita e si è spento a quasi 101 anni dopo oltre 77 anni di sacerdozio.

 

Due grandi doni – la vita e il sacerdozio -, doni che, per volontà di Dio, si sono protratti a lungo.

 

Anche le letture proclamate ci aiutano ad inquadrare la vita di don Rino, una sorta di pellegrinaggio in attesa della piena “rivelazione dei figli di Dio”, ce lo ha ricordato san Paolo (cfr. Rm 8,14-23), come creature che possiedono già “le primizie dello Spirito” ma attendono “la redenzione del corpo” e così di “entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio”.

 

La fede nella risurrezione, nell’incontro definitivo con il Signore, non ha mai abbandonato don Rino che ha potuto sperimentare, anno dopo anno, la dimensione della fede come vigilanza e speranza operosa nell’attesa di abbracciare il Signore Gesù al quale si era donato.

 

La stessa parabola evangelica delle dieci vergini (cfr. Mt 25, 1-13) ci ricorda che caratteristica di ogni cristiano è avere lo sguardo rivolto sempre al Signore, qui indicato come lo Sposo, in attesa della sua venuta. Il presbitero, poi, deve tenere vivo il senso della vigilanza e dell’attesa in modo speciale, perché la sua vocazione è servire i fratelli come pastore. Ogni cristiano e ogni comunità sono sempre segnate dalla tensione verso ciò che li precede e sta loro innanzi e, così, possono vivere in modo particolare il già e il non ancora della loro esistenza.

 

La presenza delle vergini stolte accanto a quelle sagge ci ricorda poi che, per i discepoli di Gesù, non esistono automatismi ma, nella vita del cristiano, tutto è verificato – ossia reso vero – dalla vigilanza e dalla fedeltà. Il Vangelo, quindi, ci dice che si può far parte del numero delle vergini ma essere vergini stolte. La stoltezza è la mancanza di vigilanza, l’infedeltà; la fedeltà quotidiana, invece, dice la vigilanza di una persona.

 

A ben vedere, di fronte a Dio, la vita – anche quando è molto lunga -, in realtà, è brevissima. Ora l’eternità la si costruisce, giorno dopo giorno, – nel lungo o breve cammino terreno, lungo o breve a seconda della prospettiva con cui guardiamo le cose – impegnandoci ad alimentare l’olio della fede, della carità e della speranza che ci rende pronti all’incontro più importante della vita.

 

Il Signore Gesù è lo Sposo che tutti dobbiamo attendere vigilanti, nella quotidiana fedeltà alla nostra vocazione, come ci ricordano le promesse battesimali e, in particolare, quelle del sacerdozio ordinato.

 

Ho conosciuto don Rino solo negli ultimi anni della sua lunga vita, quelli necessariamente più “ritirati”, mentre alcuni di voi hanno condiviso con lui tempi e momenti vivaci della vita pastorale che hanno scandito il suo ministero sacerdotale.

 

Di lui colpisce, intanto, il legame con l’amato luogo d’origine – la parrocchia di S. Pietro e l’isola di Murano – che don Rino non ha mai abbandonato e che ha accompagnato costantemente il suo sacerdozio.

 

Tra i molti servizi che don Rino ha svolto, soprattutto in ambito diocesano, spicca il lungo periodo che lo ha visto alla guida dell’Ufficio catechistico diocesano e quest’incarico gli ha permesso di esprimere la sua passione e la sua attenzione per una solida e qualificata formazione e cura delle persone, in particolare dei catechisti, degli animatori e degli insegnanti della religione cattolica nelle scuole, ossia di quanti hanno nella comunità ecclesiale compiti delicati e preziosi nella trasmissione della fede  e nella formazione di bambini, ragazzi e giovani.

 

In lui era ben chiara la forza (e l’importanza) del kerygma per la persona e per la comunità; sì, il kerygma – il primo ed essenziale annuncio cristiano che viene sempre prima di ogni altra cosa ed è il fondamento su cui tutto il resto si appoggia – è ciò che rimane nello scorrere delle vicende della storia, è ciò da cui ci si può lasciare afferrare, riaccendendo il desiderio di ricentrare continuamente la vita sul Vangelo, ossia sulla persona di Gesù Cristo, il Figlio eterno del Padre che, risorto da morte, dona lo Spirito per il perdono dei peccati e la divina misericordia.

Proprio alcune settimane fa, in occasione del momento di ringraziamento diocesano per la beatificazione di Albino Luciani, abbiamo anche ricordato gli inizi della bella tradizione del Mandato agli evangelizzatori e ai catechisti e tutto questo avvenne proprio negli anni in cui don Rino animava e guidava questo settore della pastorale diocesana.

Una lunga vita quella di don Rino, trascorsa nella fedeltà alla Parola di Dio ascoltata e annunciata, trasmessa e fatta risuonare nella comunità e in tutti gli ambienti di vita, una Parola creduta e celebrata nella liturgia e nell’Eucaristia quotidiana; penso qui anche alle sue messe dell’ultimo periodo, certo più faticose e “ritirate” di un tempo ma non meno ardenti e “partecipate”.

Il desiderio e la ricerca di Dio – ben presenti nell’animo di don Rino e raffigurate anche nelle parole del salmo 62 – trovano ora risposta e pieno compimento, diventando un perenne canto di lode: “…ti benedirò per tutta la vita: nel tuo nome alzerò le mie mani… con labbra gioiose ti loderà la mia bocca… esulto di gioia all’ombra delle tue ali”.

Affidiamo don Rino – per l’intercessione della Madonna della Salute – alla misericordia di Dio nella speranza che, dopo il lungo pellegrinaggio terreno, egli possa vivere la gioia dell’incontro col Signore Gesù, il Crocifisso risorto che ha vinto la morte.

Rinnovo ancora le mie condoglianze ai nipoti, ai familiari e a tutti coloro che, a diverso titolo, hanno voluto e vogliono bene a don Rino.