Omelia del Patriarca nella S. Messa per i funerali di don Serafino Tenderini (Venezia - Chiesa parrocchiale dei Carmini, 10 aprile 2015)
10-04-2015
(Venezia – Chiesa parrocchiale dei Carmini, 10 aprile 2015)
Cari confratelli e fedeli diamo il nostro affettuoso arrivederci, nel Signore, al carissimo don Serafino qui ai Carmini, la sua ultima e amata comunità parrocchiale.
 Il suo “grazie”, sempre detto e ribadito, era per lui una necessità dell’anima e rimane una caratteristica di questo sacerdote buono, umile, zelante.
Personalmente, ringrazio il Signore di avergli potuto amministrare l’unzione dei malti la domenica di Passione, in ospedale, subito dopo la celebrazione delle Palme. Abbiamo potuto parlare, era cosciente, affabile, grato di poter ricevere il sacramento; l’ho rivisto, poi, il giorno di Pasqua, era ormai assopito, abbiamo recitato la corona della divina misericordia, gli ho impartito l’assoluzione e l’indulgenza in articulo mortis.  
E’ un fatto, quindi, che i giorni di Natale e Pasqua abbiano segnato l’inizio e il termine del sacerdozio di don Serafino.
Don Serafino ha esercitato il ministero per quasi sessantacinque anni e – com’è tradizione di molto clero veneziano – sapeva e amava stare vicino alla gente; soprattutto ebbe sempre a cuore le vocazioni al sacerdozio e taluni confratelli sono stati indirizzati proprio da lui sulla strada del sacerdozio; personalmente so di don Alessandro, don Andrea, don Giovanni, don Gino e – come abbiamo sentito dalla sua testimonianza – anche lo stesso don Beniamino, oggi Vescovo di Vicenza.
Era un uomo che amava la pace, ma non si limitava a desiderarla; era un costruttore di pace, disposto ad ogni sforzo personale per ridurre e appianare i contrasti. Di fronte alle incomprensioni e alle divisioni s’impegnava con tutto se stesso a trovare una soluzione.
 Ci sono differenti modi di tirarsi indietro dinanzi a una richiesta, dai più perentori ai più morbidi e diplomatici; il motivo che rendeva don Serafino sempre disponibile era il sì che aveva detto a Dio, di fronte alla Chiesa, nelle mani del Vescovo, il giorno unico e irripetibile dell’ordinazione.
Ci ricorda l’evangelista Luca: “In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda” (Lc 1,40). Certo, il ministero presbiterale di don Serafino ebbe una durata non comune – quasi sessantacinque anni – ma l’aver servito in così tante comunità della Diocesi dice di lui una cosa importante, il suo cuore libero; evidentemente i superiori si rivolgevano a lui volentieri perché erano certi di trovare in lui un sì sereno, gioioso, libero.
Sull’esempio del sì di Maria, il suo sì fu pieno e totale. E così don Serafino fu mandato a Dese, a Carpenedo, a Treporti e Ca’ Vio, a San Gerardo Sagredo, a San Andrea di Favaro, a Favaro – Altino, per breve tempo a San Raffaele e San Nicolò dei Mendicoli e, infine, parroco qui ai Carmini; più volte fu vicario foraneo e membro del Consiglio Presbiterale, della Commissione per la Formazione Permanente del Presbiterio, del Collegio Urbano dei Parroci, della Commissione per l’Educazione e la Scuola, del Consiglio dei Consultori.
Mi è stato detto che don Serafino era “un sacerdote che sempre ha amato molto la Madonna: entrando e uscendo dalla chiesa si fermava davanti alla Madonna in trono per fare una sua preghiera. Anche nel periodo di ospedale seguiva muovendo le labbra la mia recita del rosario…”.
L’anno dell’ordinazione di don Serafino – come già detto – fu l’Anno Santo 1950 che Pio XII volle caratterizzare come “anno del gran ritorno e del gran perdono”. Le ferite della seconda guerra mondiale erano ancora aperte e l’orizzonte internazionale era carico di gravissime tensioni ed incognite; era necessario un grande ritorno a Dio e tutti dovevano ritornare a Dio attraverso la domanda di un perdono ricco e abbondante.
Don Serafino – come molti ricordano – fu un ministro del sacramento della divina misericordia, zelante, fedele, sempre disponibile. Mai si faceva pregare o attendere nel compimento di questo grande servizio ecclesiale; non mostrava mai fastidio o impazienza anche se, quando richiesto, doveva venire appositamente in chiesa dalla canonica o dal patronato; arrivava subito e subito si metteva a disposizione del penitente e del Dio della Misericordia; con la saggezza e la concretezza del pastore che conosce bene le anime e le loro fragilità, se vedeva che vi erano le condizioni per ascoltare una confessione che gli veniva domandata, da chi in altro momento non sarebbe tornato, si rendeva subito disponibile.   
Negli ultimi anni, e sempre più da quando aveva lasciato la guida della parrocchia dei Carmini, don Serafino era stato visitato, di nuovo, da quell’ospite misterioso ma fecondo che si chiama “dolore”, sperimentando nella sua persona la verità della Parola di Dio che attesta il travaglio nell’attesa del compiersi della redenzione: “ …gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo ” (Rm 8, 23).
Al di là della sua personale consapevolezza e volontà, don Serafino ci ha lasciato dandoci così questo ultimo, rasserenante, messaggio. Certo, noi parliamo con la vita ma, soprattutto, con la morte… E al prete si chiede qualcosa di sacerdotale – di specificamente sacerdotale – anche nel momento della morte.
Il “grazie”,  ribadito da lui in ogni circostanza, era – come detto – una necessità dell’anima e rimane, per certi versi, la “cifra” che individua questo sacerdote buono, umile, zelante che, con la piena fedeltà al suo ministero, ha inteso dire – con la vita – il suo “grazie” a Dio per tale dono.
La Vergine Santissima – madre dell’Eterno Sacerdote, di cui tu sei stato devotissimo – ti introduca ora nel cielo, nel mistero del Dio della misericordia, Padre, Figlio e Spirito Santo.