S. Messa per i funerali di don Luigi Battaggia
(Venezia / Chiesa parrocchiale Ss. XII Apostoli, 7 novembre 2023)
Omelia del Patriarca Francesco Moraglia
Carissimi,
desidero esprimere le mie condoglianze e quelle della Chiesa che è in Venezia a quanti, oggi, ricordano con affetto e riconoscenza, il nostro caro don Luigi che è entrato nella Casa del Padre, all’età di 85 anni, dopo oltre 61 anni di sacerdozio.
A lungo è stato apprezzato docente del Seminario Patriarcale; da tutti era riconosciuta la sua competenza, preparazione e capacità anche nel far gustare agli studenti una materia non facile; si trattava del latino e del greco.
Ciò non gli impedì il costante esercizio del ministero sacerdotale in parrocchia, prima come viceparroco (ai Gesuati e a S. Cassiano) e poi più volte parroco in diverse parrocchie della diocesi: a S. Erasmo, a S. Nicolò dei Mendicoli, a S. Maria della Speranza a Mestre e fino ad arrivare qui ai Ss. Apostoli dove ha guidato la comunità per 15 anni. Ritiratosi dal ministero attivo ha continuato a collaborare con questa comunità da lui molto amata.
È stato, insomma, sempre impegnato nella vita pastorale quotidiana là dove, di volta in volta, era inviato per essere – con umiltà e autorevolezza – l’immagine cordiale di Gesù buon pastore.
Quanti hanno conosciuto don Luigi ricordano un uomo semplice, seppure di grande cultura (soprattutto classica) che mai ostentava. Col sorriso sulle labbra e dall’animo candido – nel senso virtuoso del termine -, era portato a guardare la vita sempre in modo positivo e, con le persone, sapeva essere immediato e diretto. “Non l’ho mai visto arrabbiato”, mi ha raccontato un confratello.
Don Luigi era un sacerdote appassionato alla vicenda di Dio in mezzo all’umanità; per questo amava la Sacra Scrittura, la predicazione e la celebrazione della Santissima Eucaristia.
Il Vangelo appena proclamato (Mt 11,25-30) e le parole di Gesù bene ne delineano la persona, il carattere e il temperamento: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11,25).
La prima lettura, tratta dalla lettera ai Romani (cfr. Rm 8,31b-35,37-39), contiene due “domande forti”: “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? (…) Chi ci separerà dall’amore di Cristo? “(Rm 8,31.35). Sono domande che solo una persona realmente credente può porsi in modo vero e radicale; solo chi ha una fede profondamente evangelica – che sa che Dio esiste e che Cristo ci ha salvato – può porsi.
La semplicità era, dunque, il tratto caratteristico con cui don Luigi affrontava solitamente le situazioni e le relazioni con le persone e questo faceva sì che il suo interlocutore, anche chi lo avvicinava per la prima volta, entrasse subito in contatto in modo schietto e senza troppi preamboli. Ma tale semplicità si coniugava, come detto, con una spiccata competenza che gli proveniva dalla sua grande passione per il mondo classico (latino e, soprattutto, greco); si era laureato a Padova in Lettere antiche con 110 e lode ed aveva anche conseguito l’abilitazione per insegnare la lingua greca; tale competenza gli permise di gustare al meglio la Sacra Scrittura.
Con il salmista abbiamo cantato: “Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla. Su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Rinfranca l’anima mia, mi guida per il giusto cammino… Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza” (Sal 22,1-4).
Don Luigi sapeva ascoltare e parlare, nello stesso tempo, con uguale candore, magari rilanciando il discorso all’improvviso con una frase o un pensiero ricco e profondo.
Conservo il ricordo di alcuni colloqui con lui: sempre sapeva chiamare in causa il suo interlocutore, chiamandolo ad una relazione di fraternità e di gratuità. L’ultimo mio incontro con don Luigi è stato all’ospedale civile di Venezia, nel reparto di terapia intensiva; era attaccato alle macchine, evidentemente sofferente, estremamente lucido. Rimasi colpito dal fatto che nemmeno in quel contesto, così differente rispetto al suo ambiente naturale, aveva smarrito la sua sicura e disarmante serenità d’animo e il suo sorriso che gli permettevano d’essere, in qualche modo, a suo agio anche in quella situazione così difficile.
Abbiamo parlato a lungo di tante cose, anche personali, e in quel desiderio di aprire il suo cuore al Patriarca ho visto il suo profondo amore per la Chiesa, per il Vescovo e, anche, per la Chiesa veneziana. Con tale gesto “semplice” e “credente”, aveva come voluto consegnare tutta la sua vita e il suo modo stesso di essere sacerdote in questo presbiterio.