Omelia del Patriarca nella S. Messa per i funerali di don Giorgio Barzan (Treporti - Chiesa parrocchiale della SS. Trinità, 20 aprile 2015)
20-04-2015
(Treporti – Chiesa parrocchiale della SS. Trinità, 20 aprile 2015)
Carissimi confratelli sacerdoti, carissimi diaconi, consacrati, consacrate e fedeli laici,
Ricordo qui, anche, le comunità parrocchiali di Sant’Eufemia alla Giudecca, di San Giuseppe a Mestre e di Gesù Buon Pastore a Valcasoni di Eraclea, dove don Giorgio ha esercitato – di volta in volta – il ministero.
Leggeremo al termine alcune testimonianze, tra cui, quella del Vescovo di Vicenza don Beniamino che in poche righe, molto belle, sintetizza la figura dell’ex compagno di seminario.
– dice, tra l’altro, monsignor Pizziol – non è vissuto per sé, è vissuto per il Signore e per i fratelli, tutta la sua vita è stata spesa per gli altri”.
Un altro confratello, don Alessandro, ha sottolineato: “Si fidava tantissimo dei suoi collaboratori, tanto che dava loro le chiavi di tutti gli ambienti parrocchiali… Li voleva fondati alla scuola del Vangelo, che leggeva e meditava nell’incontro con loro”.                                                                            
Per tutti, e per i più provati, risuonino – con tutta la loro forza di novità – le parole “inusuali” udite, per la prima volta, dalle donne giunte al sepolcro la mattina del giorno di Pasqua di duemila anni fa.
  Il libro di Isaia ci introduce bene nella celebrazione; con queste parole intendiamo dire a don Giorgio il nostro grazie e l’arrivederci nel Signore!
 Nel nostro animo risuonano domande alle quali – sul piano umano – non siamo capaci di dar risposta; ma se rimaniamo solo sul piano umano rimarremo prigionieri di questioni insolubili.
Se il discepolo del Signore, in ogni circostanza della vita, è chiamato a lasciarsi guidare dalla parola di Dio, lo è di più nell’evento drammatico della morte che è la lacerazione più radicale nel cammino terreno.
In realtà, il momento in cui siamo interpellati – nel modo più radicale – sul significato ultimo della nostra esistenza è proprio la morte, il fatto più dirompente nella vita di un uomo e di una donna.
Anche qui la parola di Dio è vera luce ai nostri passi: “…chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. In verità, in verità io vi dico: viene l ora (…) in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che l avranno ascoltata, vivranno (…) in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e usciranno, quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna”(Gv 5,24-25.28-30).
La parola di Dio, al contrario, risulta essere sempre pienamente consolante e non ci distrae innanzi alla morte; al contrario, ci aiuta a guardarla in faccia – diritta negli occhi – non considerandola più come l’evento che ci sconfigge ma come l’occasione per compiere l’ultimo e più radicale atto di fede, quando – con l’anima e il corpo – saremo chiamati ad abbandonarci alla misericordia di Dio e alla sua onnipotenza.
L’Eucaristia – che noi preti siamo chiamati a celebrare, quotidianamente, per il nostro popolo – ha lo scopo di insegnarci a vivere come Cristo ha vissuto, per poter morire come Lui è morto.
La parola di Dio, poi, ci consente di dar senso a quanto, per noi, sarebbe umanamente impossibile cogliere e accogliere.
Siamo convinti, così, che – al di là delle apparenze – la morte non ha sorpreso il carissimo don Giorgio.
Di lui, poi, don Dino mi ha detto che “una volta superata la timidezza, sapeva diventare punto di riferimento sicuro per i giovani che curava con passione dando loro indirizzi sicuri, accompagnandoli e sostenendoli nelle situazioni di dubbio e di sofferenza….Don Giorgio era profondamente prete: sobrio nello stile personale, proteso a curare la comunità attraverso la catechesi, le liturgie curate e gli spazi (la chiesa, il patronato), anche se il primato stava sulle persone”.
Percorrendo le vicende dei nostri cari, fino all’evento della loro morte, possiamo toccare, con mano, che Dio ci guida come vero Padre, buono e misericordioso.
La fede non è astrazione o teoria; piuttosto è saper leggere e soprattutto vivere il senso ultimo della nostra vicenda umana alla luce del mistero di Dio, della sua tenerezza e onnipotenza infinite.
 
Il morire nel Signore e col Signore, certo, non malleva il credente dalla fatica del morire ma gli permette di cogliere la morte non più come l’ultima parola sulla vita.
 
Chiarificatrice è la risposta di Gesù alla domanda: “Maestro dove abiti?”. Gesù non risponde dicendo dove abita ma invitandoli a seguirlo, a fare un’esperienza reale con Lui: “Venite e vedrete” (cfr. Gv 1,38-39). La nostra risposta di credenti è: vivere e morire con il Signore e nel Signore.
 
Rinnovo a tutti, ma soprattutto alla sorella Nadia, al fratello Giuseppe, ai parenti, alla comunità parrocchiale della Santissima Trinità di Treporti e ai giovani del caro don Giorgio il mio affetto e la mia preghiera. Dio benedica tutti!