Omelia del Patriarca nella S. Messa per i funerali di don Carlo Massari (Venezia / Chiesa parrocchiale Madonna dell’Orto, 16 aprile 2021)
16-04-2021

S. Messa per i funerali di don Carlo Massari

(Venezia / Chiesa parrocchiale Madonna dell’Orto, 16 aprile 2021)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Carissimi,

ancora una volta un’alba ha segnato l’ingresso di un nostro sacerdote nella casa del Padre che, un giorno, speriamo possa diventare la casa in cui insieme per sempre saremo col Signore Gesù, vincitore della morte.

Non in maniera imprevista, ma certamente in modo improvviso, don Carlo ci ha lasciati. Erano passate, da poco, le cinque del mattino quando ha esalato serenamente l’ultimo respiro. L’avevo sentito per telefono venerdì scorso e, dando seguito al suo proposito, avevo chiesto di predisporre per il ricovero al Centro Nazaret.

Lunedì sera avevo detto al segretario che la mattina successiva – ossia proprio martedì – desideravo recarmi a Casa Cardinal Piazza per salutare don Carlo, prima della sua partenza per Zelarino; l’incontro era previsto per la tarda mattinata, ma gli uomini propongono ed è Dio che dispone.

Sono convinto che il Signore, con tale chiamata improvvisa, abbia esaudito la preghiera di don Carlo: chiudere la sua vita terrena in un ambiente familiare, circondato dall’affetto di persone che gli volevano bene e da una comunità religiosa a cui era legato da lunga consuetudine.

Innanzitutto esprimo le mie condoglianze al fratello Guglielmo, col quale ho già avuto modo di parlare, alle nipoti, a tutti i familiari, alle suore, in particolare a suor Illia e a suor Giacomina che era presente al momento del trapasso.

Mantengo ancora vivo il ricordo del primo incontro che, anni fa, ebbi con don Carlo; mi colpì il suo tratto riservato, signorile e genuinamente sacerdotale. Col passare del tempo queste caratteristiche si sono sempre più rivelate vere nel dire la persona di don Carlo.

Un confratello, che ha avuto modo di conoscerlo bene anche per una certa vicinanza d’età, riferisce che don Carlo ha sempre vissuto il suo sacerdozio con grande fedeltà, distacco dalle cose e dalle comodità; è stato, insomma, un prete che guardava all’essenziale e che sapeva voler bene alla gente.

Il medesimo confratello aggiungeva anche che don Carlo ha sempre avuto una reale venerazione per il Patriarca. E qui desidero precisare che “Patriarca” va inteso come ministero/ufficio. Don Carlo ebbe venerazione per tutti i patriarchi che si sono succeduti durante i suoi quasi 68 anni di sacerdozio, chiunque fosse: Carlo, Angelo Giuseppe, Giovanni, Albino, Marco, Angelo, Francesco.

Questa bella testimonianza del confratello mi ha colpito perché, oltre ad averla sperimentata di persona, poi, al momento dell’apertura del testamento – datato 29 luglio 2016 – le prime parole che ho letto sono state: “Al mio patriarca esprimo la mia riconoscenza per tutto ciò che ho ricevuto dalla Chiesa che è in Venezia, in particolare per la mia educazione cristiana e per il servizio sacerdotale che fiduciosamente mi è stato richiesto”.

È veramente bello e molto “sacerdotale” che un prete si esprima così, non nei confronti di un Patriarca, ma verso tutti i Patriarchi, riconoscendo e stimando l’ufficio, andando oltre le persone con i loro inevitabili pregi e limiti. “Al mio patriarca”: colui che, di volta in volta, siede sulla cattedra di san Marco. Questo, cari confratelli, è segno di maturità ecclesiale che dice pienezza umana, cristiana, sacerdotale.

Soffermiamoci ora brevemente sulle letture della Santa Messa.

Come prima lettura è stato scelto un testo tratto dal libro dell’Apocalisse (cap. 14,13) in quanto mi ha colpito quanto mi ha riferito suor Giacomina, ossia che don Carlo, lunedì pomeriggio, terminata di celebrare l’eucaristia, dopo essersi comunicato, con semplicità e soddisfazione ha esclamato: “Ecco, adesso sono a posto!“.

Con tali parole esprimeva – pur non sapendolo – per l’ultima volta  come la Santa Messa e la comunione erano per lui momenti essenziali ed irrinunciabili della sua vita di cristiano e prete. Sì, la Messa celebrata non perché richiesta dall’orario ma perché è avvertita come desiderio e necessità dell’anima.

Per questo ho ritenuto che il breve testo dell’Apocalisse esprimesse bene come siamo sempre nelle mani del Signore e dobbiamo rimanervi con fiducia, serenità e gioia, anche quando si vive una situazione difficile, faticosa, di sofferenza.

Riprendo le parole dell’Apocalisse: <<E udii una voce dal cielo che diceva: “Scrivi: d’ora in poi, beati i morti che muoiono nel Signore. Sì – dice lo Spirito -, essi riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono”>> (Ap 14,13).

Dire con serenità e soddisfazione “Ora sono a posto”, non appena terminata la celebrazione eucaristica, dice la fede che si ha in Gesù vivo e realmente presente nella santissima Eucaristia, attribuendo alla celebrazione e alla comunione non un significato “accessorio”, ma capace di “fondare” e “animare” la propria vita.

A tale proposito ricordo con quanta cura don Carlo officiava (fin che ne ebbe le forze) nella chiesa di S. Girolamo in cui, fedelmente e con gioia, celebrava per la piccola comunità che vi risiede, lui che aveva detto che il prete cresce con la sua comunità.

La comunità di S. Girolamo, lasciato l’ufficio di parroco – esercitato per lunghi anni nelle parrocchie dei Ss. Liberale e Mauro a Jesolo e, soprattutto, Sant’Antonio al Lido di Venezia -, era infatti diventata lo spazio in cui esercitava con zelo il suo ministero. La Casa “Card. Piazza” e la piccola comunità di san Girolamo erano, da anni, il suo amato mondo.

Che l’Eucaristia donasse a don Carlo pace, sicurezza, gioia ed infondesse serenità lo si evince proprio dalle parole: “Ecco, adesso sono a posto!”.

Il tempo liturgico in cui don Carlo ci ha lasciati è quello in cui la Chiesa proclama il grande annuncio della risurrezione: Gesù è il vincitore della morte. La Pasqua – lo sappiamo – è la vera forza del battezzato. E la fede inizia proprio dove i saperi e i progetti degli uomini si fermano, non sanno più cosa dire e cosa fare, dove l’uomo tace perché non sa più cosa dire e non sa più cosa fare.

Il Vangelo di Luca – appena proclamato dal diacono Guglielmo, direttore della Casa “Card. Piazza” – parla proprio della risurrezione: «Il primo giorno della settimana, al mattino presto [le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea] si recarono al sepolcro, portando con sé gli aromi che avevano preparato. Trovarono che la pietra era stata rimossa dal sepolcro e, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù. Mentre si domandavano che senso avesse tutto questo, ecco due uomini presentarsi a loro in abito sfolgorante. Le donne, impaurite, tenevano il volto chinato a terra, ma quelli dissero loro: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto”» (Lc 24,1-6).

La certezza nella risurrezione e nella vita eterna da sempre ha guidato e plasmato la vita di don Carlo, come riscontriamo nel suo breve ma intenso testamento in cui scrive: «Alla famiglia esprimo l’affettuosa riconoscenza per tutto quello che ha fatto per me. Ringrazio la realtà della Casa “Card. Piazza” per l’atmosfera accogliente che vi ho trovato e che affido alla paternità di Dio perché io possa, quando verrà il momento, ritrovarmi con tutti voi nella “casa del Padre” per sempre. – E poi concludeva – Per la mia famiglia e per tutti, cordialmente: “AD DEUM”».

La fede di don Carlo è il miglior commento al Vangelo che abbiamo ascoltato. Cos, mentre rinnovo al fratello Guglielmo, alle nipoti e alle suore Ancelle Missionarie del Santissimo Sacramento le mie più vive condoglianze, ringrazio ancora una volta don Carlo per la sua testimonianza di uomo e di prete.

Sì, caro don Carlo, come tu ci hai salutato nelle tue ultime volontà, anche noi diciamo con tutto il cuore: “AD DEUM!”.