S. Messa per i funerali di don Armando Trevisiol
(Carpenedo / Chiesa Ss. Gervasio e Protasio, 11 agosto 2023)
Omelia del Patriarca Francesco Moraglia
Carissimi,
anche le querce più robuste, purtroppo, cadono. Questa immagine esprime bene il momento che stiamo vivendo: don Armando era la quercia forte e robusta che tutti speravamo non cadesse mai.
La quercia è albero sempre verde, imponente, dal tronco forte, ben radicata nel terreno che, con le sue radici, lo compatta e lo sostiene; sotto i suoi rami trovano ristoro, in ogni stagione, quanti sono alla ricerca di riposo e di una casa. Don Armando è stato questa quercia per un’infinità di poveri.
Per sé don Armando ha chiesto un funerale sobrio, non pomposo, non autocelebrativo e ci sentiamo tutti impegnati a rispettare la sua volontà, a non essere ridondanti e prolissi nelle parole e nei gesti, come lui stesso voleva.
L’immagine della quercia mi è venuta in mente dopo aver pregato per lui a Fatima, innanzi alla cappellina dell’apparizione della Madonna, prima di ritornare a Venezia per celebrare il funerale, uno di quei funerali che non si vorrebbero mai celebrare.
Circa un anno e mezzo fa don Armando mi scrisse per comunicarmi che voleva lasciare anche l’ultimo impegno pastorale. Gli dissi che, per me, se le energie glielo consentivano, poteva continuare e, comunque, mi rimisi alla sua decisione; egli scelse di lasciare perché, ormai, sentiva che le forze gli venivano meno. Le sue condizioni da allora sono andate progressivamente deteriorando fino a precipitare.
Ricordo con commozione l’ultimo incontro – avvenuto all’ospedale dell’Angelo – in cui ho potuto parlare con lui e con il medico, il primario di Geriatria che, insieme ad altri sanitari, lo aveva in cura. Insieme a loro ringrazio il cappellano, don Francesco, che gli ha amministrato gli ultimi sacramenti e suor Teresa che l’ha assistito sempre, fino all’ultimo respiro.
Ringrazio la comunità parrocchiale di Carpenedo, insieme a don Gianni e don Mario, per l’affetto dimostrato verso don Armando. Rivolgo le mie condoglianze ai fratelli, tra cui don Roberto, alle sorelle, ai nipoti, tra cui don Sandro, a tutti i familiari, agli amici e ai collaboratori della Fondazione Carpinetum.
Ripensando all’ultimo incontro, in particolare, serbo vivo il ricordo di un uomo, anzi di un prete, perché don Armando volle sempre essere prete; a lui non si addiceva il ruolo del manager o dell’operatore sociale. Ebbene, in quell’incontro lo vidi molto provato; desiderava ancora reagire ma tale desiderio doveva misurarsi con un fisico sempre più debole.
Per i tantissimi che gli hanno voluto bene – confratelli, collaboratori, amici – questo è il momento che don Armando, uomo di grande fede, avrebbe voluto fosse vissuto nella certezza del Signore risorto, sicuri che la vita eterna è la vera vita per la quale vale spendere – come lui ha fatto – tutta l’esistenza terrena.
Ricordo don Armando come un sacerdote che sapeva stare – come si dice – sempre “sul pezzo”, con un carattere forte, determinato e, insieme, schivo e taciturno, alcuni dicono brusco. Molti messaggi, giunti numerosi in questi giorni, lo ricordano come un prete “accogliente, intelligente, buono, speciale”. Certamente don Armando è stato un prete molto significativo per la città di Mestre e per la Diocesi ricoprendo incarichi molteplici, svolti con passione e determinazione.
Don Armando si inserisce nel solco di quei preti veneziani che si sono spesi nell’accompagnare persone fragili, giovani, anziani e nuclei familiari. Ebbe come maestro monsignor Valentino Vecchi, ovviamente portando nel ministero le proprie caratteristiche personali; i Centri dedicati a monsignor Vecchi dicono questa stima e consonanza sacerdotale.
Don Armando rimarrà così nel ricordo della Chiesa diocesana e della comunità civile mestrina. Fu un uomo libero anche nel valutare le persone; mi colpiva l’immediatezza con cui vedeva e riconosceva i pregi e i limiti delle persone a lui vicine.
Durante il primo incontro che ebbi con lui a Zelarino – era il 2012 – aveva da tempo superato gli ottant’anni. Al termine di quel colloquio gli dissi in modo scherzoso: hai un difetto, non sei più giovane… L’allusione era a qualche possibile incarico. Sorrise anche lui e poi aggiunsi: fatti vedere agli incontri con i confratelli, la tua presenza sarà benedizione per te e per loro.
Come già detto, don Armando ha chiesto un rito sobrio, non autocelebrativo – deriva in cui cadono non pochi funerali -, e ha domandato che fossero proclamate le letture della liturgia del giorno.
È doveroso, quindi, fare un richiamo alla prima lettura, tratta dal libro del Deuteronomio: sono menzionate le ultime raccomandazioni che Mosè rivolge al popolo prima dell’ingresso nella terra promessa.; Mosè afferma il primato di Dio nella vita d’Israele, di ogni famiglia, di ogni membro del popolo.
È questo un richiamo oggi attualissimo per evitare che tutto si riduca al piano del fare, non sapendo più interrogarci sul perché delle cose: “…medita bene nel tuo cuore che il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra: non ve n’è altro. Osserva dunque le sue leggi e i suoi comandi che oggi ti do, perché sia felice tu e i tuoi figli dopo di te e perché tu resti a lungo nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà per sempre” (Dt 4,39-40).
Il Vangelo appena proclamato, poi, chiede – nella vita del discepolo – la capacità del dono di sé, ricordando che guadagnare il mondo intero, alla fine, non serve a nulla e non ha senso, poiché proprio questo mondo è destinato a venire meno, ad esserci tolto: “…il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni. In verità io vi dico: vi sono alcuni tra i presenti che non moriranno, prima di aver visto venire il Figlio dell’uomo con il suo regno” (Mt 16,27-28).
Oggi, tra l’altro, ricorre la memoria di santa Chiara, seguace del Poverello d’Assisi, di cui la liturgia sottolinea “l’amore per la povertà evangelica”, indicandola come modello per “seguire Cristo in povertà di spirito”, così da poter contemplare Dio, un giorno, nel Regno dei cieli. Don Armando – desidero sottolinearlo – ha sempre amato i poveri così come erano, ma anche il bello, e perciò desiderava che la povertà fosse dignitosa e, quindi, voleva che fosse sempre accompagnata dal bello.
Con questi pensieri, tratti dalle letture odierne e dalla preghiera della colletta di Santa Chiara, vogliamo dire il nostro arrivederci a don Armando. Sì, arrivederci nel Regno di Dio, dove non conta ciò che gli altri dicono di noi, ma quello che noi siamo e contiamo dinanzi a Dio per quello che abbiamo fatto e per come lo abbiamo fatto.
Finalmente là, verità e amore saranno un tutt’uno inscindibile, perché il Paradiso – spero che tu, don Armando, lo possa già provare e comunque prego perché ciò avvenga presto – è verità vissuta nell’amore e amore plasmato dalla verità. Non c’è verità separata dall’amore, non c’è amore che non sia plasmato dalla verità: questo è il Vangelo del Signore Gesù.
L’eterno riposo dona a lui, o Signore, e splenda a lui la luce perpetua. Riposi in pace. Amen.