Omelia del Patriarca nella S. Messa per i funerali di don Antonio Biancotto (Venezia / Chiesa parrocchiale San Silvestro, 10 giugno 2024)
10-06-2024

S. Messa per i funerali di don Antonio Biancotto

(Venezia / Chiesa parrocchiale San Silvestro, 10 giugno 2024)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Cari presbiteri, diaconi, consacrati, consacrate, fedeli,

siamo qui convenuti per celebrare l’Eucaristia, il gesto ecclesiale che stava più a cuore a don Antonio il quale, se potesse, farebbe sentire la sua voce per ringraziarci. Sì, preghiamo all’altare del Signore per lui e con lui nella realtà viva della comunione dei santi che supera il tempo. Sì, l’Eucaristia fu per don Antonio riferimento essenziale, vera passione, spazio spirituale in cui abitava ed invitava tutti.

Le nostre fraterne condoglianze vanno alle sorelle Mariuccia, Sandra e Margherita, ai cognati Francesco, Luigino e Luca, ai nipoti Stefano, Elia, Giovanni, Elena ed Alessandro. Desidero anche rivolgere un ringraziamento a quanti e a quante sono stati vicini a don Antonio, soprattutto nelle ultime settimane; un grazie particolare va a Roberto e a don Gianpiero.

Le ultime parole del Vangelo appena proclamato costituiscono la fondazione della nostra fede: «Il primo giorno della settimana, al mattino presto [le donne] si recarono al sepolcro, portando con sé gli aromi che avevano preparato. Trovarono che la pietra era stata rimossa dal sepolcro e, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù. Mentre si domandavano che senso avesse tutto questo, ecco due uomini presentarsi a loro in abito sfolgorante. Le donne, impaurite, tenevano il volto chinato a terra, ma quelli dissero loro: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto”» (Lc 24,1-6)

Don Antonio rimarrà nel ricordo della nostra Chiesa – come altri sacerdoti veneziani – per lo zelo, la fede, la generosità ma, in particolare, perché ha costituito, nel centro di Venezia, nella zona di Rialto, la comunità degli adoratori del Santissimo Sacramento che, insieme all’evangelizzazione di strada, è una vera forma di Chiesa in uscita in una zona della città secolarizzata, dedita al commercio, al turismo, al divertimento. Torna in mente la Corinto di cui ci parlano le lettere di san Paolo.

L’adorazione eucaristica quotidiana – ventiquattro ore al giorno per tutti i giorni dell’anno – nasce da un’idea e dall’impegno, talvolta eroico, di don Antonio e di tanti e tante che lo hanno seguito in questa coraggiosa scelta pastorale.

Carissimi, ogni persona ci lascia un messaggio unico particolarissimo. Non tutte le persone sono uguali e sarebbe non giusto dire il contrario o, forse, un buonismo di circostanza per accontentare tutti e non scontrare nessuno ma, così, si farebbe torto alla verità, alla persona di cui si parla e alle persone a cui si parla, perché il rispetto inizia proprio dalle nostre parole pensate, sussurrate, proclamate, intercettate.

Certamente bisogna voler bene a tutti e non escludere alcuno, ma – al di là dei talenti ricevuti, di cui solo Dio è a conoscenza – non tutti hanno seminato nello stesso modo, con lo stesso impegno e la stessa generosità, nel campo del Signore che – per i sacerdoti – è, di volta in volta, il rapporto personale con le persone, il presbiterio, i confratelli, la comunità ecclesiale, il mondo, ossia il sestiere, il quartiere, il paese, la città.

La vita è breve e ci appartiene per quel tempo di cui Dio ci fa dono e, poi, siamo chiamati a restituirla con la serenità e con la gioia di chi sa di continuare comunque ad appartenerGli, seppure in modo diverso, attraversando la soglia della morte, la porta che dischiude alla vera vita.

Don Antonio, concretamente, con semplicità e con generosità, ha seminato nelle molte comunità parrocchiali a cui è stato mandato, nella casa circondariale maschile, nella casa di reclusione femminile, in Seminario Patriarcale come confessore, nell’evangelizzazione di strada a Rialto, a Marghera e a Jesolo; si è impegnato a liberare le donne vittime di sfruttamento e per reinserire nella società chi aveva concluso il periodo di detenzione.

Caro don Antonio, hai scritto una bella pagina, anzi numerose belle pagine per la Chiesa di Venezia, continuando una tradizione ricca e bella che onora il nostro presbiterio.

Non so se sarà scritto un libro su di te, ma da sempre sono convinto che le pagine più belle e significative si scrivono mentre si è in vita, in modo silenzioso e secondo lo stile di Nazareth, giorno dopo giorno appunto nel silenzio. Tu non cercavi le luci della ribalta, gli articoli e le fotografie sui giornali, portavi avanti le cose del tuo ministero (ed erano veramente tante) nel silenzio e nella serenità, anche quando non eri capito. Non eri perfetto. Lo sapevi, lo dicevi e non ti costava dirlo.

Mi ha colpito sentirti ripetere spesso negli ultimi giorni – quando la debolezza era la tua compagnia abituale – che eri grato al Signore del dono della vita. Sì, più volte lo hai ripetuto anche quando lo sfinimento ti toglieva, via via, ogni energia tanto da non riuscire nemmeno a compiere i gesti fondamentali. Mi rimarranno impresse queste tue parole: “La vita è bella. Grazie, Gesù!”, “Grazie Gesù per la vita” e, alla fine, semplicemente, “Grazie!” detto con un filo di voce e, poi, solo con lo sguardo. Oppure – come mi ha riferito Margherita – stringevi le mani delle tue sorelle e dicevi: ”Che bella famiglia che siamo noi quattro figli, la mamma e papà; ci siamo voluti un mondo di bene e siamo sempre stati presenti nei momenti belli e brutti”.

Caro don Antonio, è stato bello incontrarti, sei stato un “bel” compagno di strada, convinto e determinato nel portare avanti ciò che ti sembrava rispondesse al bene che, come sacerdote, il Signore Gesù ti chiedeva in quella o in quell’altra situazione per le persone che Lui ti aveva affidato, attraverso il mandato della Chiesa. Mi hai anche detto che non ti sono mancati attacchi che ti hanno fatto soffrire.

Avevi paura del dolore – lo dicevi – ma non temevi la morte e negli ultimi giorni il Signore ti ha fatto dono di una serenità profonda e piena, di cui tu stesso ed io eravamo rimasti felicemente sorpresi. Sì, Dio è grande e non ci prova più delle nostre forze.

Mi ritorna alla mente il passo della lettera ai Romani, la prima lettura: “Nessuno di noi… vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore. Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi” (Rm 14, 7-9).

Carissimo don Antonio, ci hai testimoniato che sapersi abbandonare a Dio con semplicità, disposti ad accogliere quanto Lui ci indica, è sinonimo di santità. Una santità che gioisce non dei propri progetti, delle proprie realizzazioni ma di lasciarsi portare là dove il Signore vuole che noi siamo.

Grazie don Antonio e ora che sei riunito ai tuoi amati genitori, mamma Teresa e papà Silvano, prega per la Chiesa di Venezia – la tua amatissima Chiesa – e… arrivederci!