S. Messa per i funerali di don Aldo Marangoni
(Venezia – Basilica Ss. Giovanni e Paolo, 13 aprile 2018)
Omelia del Patriarca Francesco Moraglia
Ai familiari, ai confratelli, agli amici di don Aldo giunga il conforto della fede cristiana che è la certezza della risurrezione: il Signore Gesù è risorto, ha sconfitto la morte, vive la vita immortale.
Accompagniamo, con questa eucaristia di suffragio, il nostro fratello presbitero Aldo dinnanzi al volto mite e festoso di Gesù.
Sì, lo splendore della bellezza del volto di Gesù sarà gioia speciale per don Aldo, sacerdote che amava la liturgia, apprezzava l’arte in ogni sua forma, ovunque si manifestasse, e nelle chiese amava vedere come la fede si esprimesse anche attraverso la bellezza, la bellezza del canto, della pittura, della scultura, dell’architettura.
Il primo sabato del mese di marzo, di ritorno dal pellegrinaggio mariano, ho potuto amministrare personalmente il sacramento dell’unzione a don Aldo. Le sue forze declinavano sempre più, tanto che si era reso necessario il ricovero ospedaliero. Partecipò alla celebrazione in modo cosciente, con fede, contento di poter vivere quel momento così importante nella vita del cristiano.
In seguito ci fu anche un’altra occasione di preghiera, culminata nell’indulgenza; fu la mattina del sabato santo, dopo l’ufficiatura in San Marco, quando andai a trovarlo di nuovo in ospedale.
Furono due momenti di grazia in cui ho potuto toccare quanto il Signore sia misericordioso. Don Aldo, pur sofferente, partecipò – più con lo sguardo che con la parola – ma l’attenzione e il desiderio accompagnarono questi intensi momenti d’incontro con la misericordia di Dio. Alla fine, in tutte e due le circostanze, il suo volto si illuminò con un bel sorriso di gratitudine.
Cari amici, abbiamo appena ascoltato il testo del secondo libro dei Maccabei in cui si tratta della preghiera di suffragio; tale preghiera è l’aiuto più grande che i discepoli di Gesù possano offrire a un fratello defunto. Con la preghiera di suffragio, infatti, noi affidiamo una persona, tutta la sua vita e le sue fragilità, alla misericordia del Signore; preghiamo per lei.
Nell’episodio narrato Giuda Maccabeo – a cui stava a cuore la salvezza dei suoi fratelli – chiede che venga celebrato un sacrificio, a Gerusalemme, affidando quegli uomini alla grande e infinita misericordia di Dio.
Noi oggi preghiamo per don Aldo, certi che questa nostra preghiera, fatta con fede, gli sarà di giovamento e, insieme a lui, gioverà anche a tutti i fedeli defunti. Sì, pregare per un defunto non vuol dire escludere gli altri e pregare per tutti i fedeli defunti non vuol dire non ricordare anche, in modo particolare, uno di loro; la preghiera è sempre un momento in cui si esprime la comunione dei santi.
Don Aldo ha avuto il dono di una vita lunga; lo scorso gennaio aveva compiuto ottantacinque anni. Era nato a Burano il 15 gennaio 1933, da Vittorio e da Ida Amadi; fu battezzato lo stesso giorno della nascita.
Fra pochi mesi avrebbe festeggiato il suo sessantesimo anno di sacerdozio, essendo stato ordinato il 22 giugno del 1958 dal patriarca Angelo Giuseppe Roncalli.
Due grandi doni – la vita e il sacerdozio – e, in più, doni che, per la bontà di Dio, si sono protratti a lungo nel tempo.
Il dono grande del sacerdozio ministeriale, esercitato nelle diverse stagioni della vita, dice una particolare benedizione del Signore; sì, esercitare il ministero nelle diverse stagioni della vita offre differenti e molteplici opportunità. Esercitare il ministero a trenta o quarant’anni è diverso rispetto a quando se ne hanno settanta o ottanta; infatti, il trascorrere degli anni, le prove della vita, la fedeltà alla vocazione, arricchiscono e donano saggezza, bontà, pazienza, ovvero virtù profondamente sacerdotali che si esprimono in un più intenso rapporto con Dio e con i confratelli nella vita di comunione – il presbiterio – e di dono di sé al popolo che non si è scelto ma al quale si è stati mandati.
Rivestono anche particolare importanza i tempi della fragilità, della malattia e dell’età avanzata in cui Dio parla e dice cose che prima – presi da mille cose – non si erano intese.
Nella parabola evangelica delle vergini stolte e sagge Gesù ricorda come per i discepoli non esistano automatismi ma che, nella vita del cristiano, tutto è verificato – cioè, reso vero – dalla vigilanza, ossia dall’amore fedele.
Così il Vangelo ci ricorda quello che veramente conta nella vita del cristiano – e a maggior ragione del prete -, ossia l’attesa fedele dell’incontro col Signore Gesù, lo Sposo che viene. Non si sa quando, ma si è certi della sua venuta.
La fedeltà quotidiana, giorno dopo giorno, nelle piccole realtà della vita, dice la vigilanza del discepolo.
Il Vangelo lega costantemente l’amore o comunione con Dio all’amore o comunione con i fratelli; questo duplice amore, alla fine, è come le due facce di un’unica moneta, quell’unica moneta che sarà importante stringere tra le mani quando Gesù, lo sposo, verrà a prenderci. Tutte le altre monete mostreranno, in quel momento, la loro totale inutilità e il desiderio allora sarà di non averle mai possedute.
A ben vedere, di fronte a Dio, la vita terrena – anche quando appare lunga – in realtà è brevissima, è un soffio, un battito di ciglia.
Ma l’eternità – questo è il messaggio del Vangelo appena ascoltato – la si costruisce, giorno dopo giorno, in questo lungo o breve cammino terreno; lungo o breve a seconda della prospettiva da cui ci poniamo a guardare le cose.
Al suffragio, allo sguardo sulla sostanziale brevità della vita terrena, al suo significato di fronte all’eternità, al dono grande del sacerdozio ministeriale esercitato con amore e ascolto disponibile a Dio che ci parla nei fratelli e nelle circostanze della vita, si unisca la riflessione sulla porta da tenere sempre aperta a cui fa riferimento il Vangelo. Tutti questi sono segni inequivocabili di comunione col Signore, che saranno motivo di gioia nel momento dell’incontro con Lui.
La porta aperta verso Dio e i fratelli in questa vita terrena è profezia della comunione dei santi – la communio sanctorum – a partire dal Signore Gesù, l’unico che è realmente santo.
Gesù è lo sposo che tutti dobbiamo attendere vigilanti, ossia con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, pronti ad accoglierlo alla sua venuta; questa attesa vigilante è la fedeltà quotidiana alla nostra vocazione personale, così come richiesto dalle promesse del battesimo e dell’ordinazione sacerdotale.
Affidiamo, quindi, don Aldo al Dio della Misericordia, Lui che è stato chiamato da Gesù proprio la domenica in Albis – la domenica della Divina Misericordia – in un’ora molto prossima alle tre del pomeriggio, l’ora della morte di Gesù, l’ora – per eccellenza – della Divina Misericordia.
Ai familiari, ai confratelli, agli amici e a chi lo ha accudito particolarmente negli ultimi tempi va la nostra affettuosa vicinanza e cristiana condoglianza.
Il Signore, attraverso la nostra preghiera fiduciosa e cordiale, accolga il caro don Aldo tra i suoi amici, nel novero delle vergini sagge e prudenti.