Omelia del Patriarca nella S. Messa per i 950 anni dalla morte di San Teobaldo (Parrocchia San Giovanni Battista di Badia Polesine / Rovigo, 1 luglio 2016)
01-07-2016

S. Messa nei 950 anni dalla morte di San Teobaldo

(Parrocchia San Giovanni Battista di Badia Polesine / Rovigo, 1 luglio 2016)

Omelia del Patriarca di Venezia mons. Francesco Moraglia

 

 

 

Eccellenza, autorità, carissimi fedeli,

celebriamo oggi nella parrocchia di san Giovanni Battista di Badia Polesine i 950 anni dalla morte dell’eremita e sacerdote san Teobaldo, la cui vita peregrinante si è legata in modo particolare alle Chiese di Adria-Rovigo e di Vicenza.

Nato nella nobile famiglia dei conti di Champagne il 30 giugno del 1017, abbandonò ogni cosa per seguire la chiamata del Signore e condurre una vita itinerante, peregrinando là dove il Signore lo portava; condusse così una vita di piena e fedele testimonianza secondo i consigli evangelici.

I santi sono una sorta di lettera che il Dio misericordioso invia continuamente alla sua Chiesa affinché diventi sempre più una comunità pellegrinante, incamminata verso il suo Signore e impegnata nell’unica vera riforma che conta agli occhi di Dio – la conversione – così da esprimere la natura intima della Chiesa che consiste nella santità come risposta alla divina misericordia. Tutto questo assume un valore ancora più grande e urgente nell’Anno giubilare della Misericordia indetto dal nostro amato e venerato Papa Francesco.

Un santo – là dove vive e opera – rappresenta sempre qualcosa di nuovo, di realmente nuovo rispetto a tutto quello che si muove intorno a lui; è immagine viva della divina misericordia, la rende storia vissuta. Il santo, infatti, in ogni circostanza, va oltre la logica di un’epoca, di un territorio e di una cultura, perché il santo – come ci ricorda il Vangelo – vive nel mondo ma non è del mondo.

Sia un uomo o una donna, un giovane o un anziano, in ogni modo il santo rimane incomprensibile per la logica del mondo e degli uomini. Dovunque viva si percepisce che l’appartenenza al Signore lo pone nel mondo come colui che non è del mondo; in tal modo il suo codice di comportamento, il suo modo di pensare e i suoi discorsi partecipano di una sapienza che nasce dalle beatitudini evangeliche e dal Padre Nostro realmente vissuto.

Ed è questo il tema che la seconda lettura di oggi ci propone: “…non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio. Grazie a lui voi siete in Cristo Gesù, il quale per noi è diventato sapienza…” (1Cor 1,26-30).

Per taluni suoi aspetti, la vita di san Teobaldo potrebbe costituire l’avvincente trama di un romanzo di successo, come anche per altri santi: per l’antichità Atanasio di Alessandria, per il medioevo Caterina da Siena, per la modernità Francesco Saverio e per l’epoca contemporanea Madre Teresa di Calcutta.

Una volta giunto alla giovinezza, il padre – conte di Champagne – pensa di affidare al figlio il comando di alcune truppe ma, proprio in tale circostanza, il giovane rampollo risponde che, ormai, aveva deciso di lasciare tutto per mettersi a servizio del Signore.

La santità di Teobaldo si caratterizza, così, per una rigorosa scelta evangelica, quella della povertà che lascia tutti i beni perché ha incontrato il Bene della propria vita. Si tratta di una povertà realmente vissuta e condotta dapprima come pellegrino. Teobaldo incominciò a girare ovunque, in Europa, secondo quelli che erano gli usi ascetico-spirituali del tempo; il pellegrinaggio era segno della stessa vita dell’uomo.

Ciò che caratterizza un santo e lo rende tale è proprio la santità, che consiste nel legame personale con Cristo. Teobaldo non intese mai la santità come qualcosa che, già precedentemente data, perfeziona l’uomo; cosa che, a ben vedere, è impossibile perché noi uomini, a priori, non sappiamo che cosa realmente possa perfezionare l’umano che è in noi.

La santità consiste semplicemente nel seguire Gesù Cristo, nel rispondere alla sua chiamata, nel riprodurlo nella nostra vita e – per usare un linguaggio evangelico – nella nostra carne; quello che interessa il santo – e che caratterizzò la vita di Teobaldo – fu la santità vissuta come incontro, come sequela, come adesione personale al Signore Gesù.

All’interno di quest’unica via di santificazione – ossia l’incontro col Cristo – le strade poi possono essere molteplici e legate ai tempi, ai luoghi e ai costumi dell’epoca in cui si vive e ai modi ad essa rispondenti.

Il santo è un uomo che vive il suo tempo. Non devono, quindi, stupire più di tanto le modalità che concretamente segnarono le scelte di Teobaldo e che oggi possono, ovviamente, risultare lontane dalle nostra sensibilità.

Nella vita di Teobaldo la scelta radicale della sequela di Cristo è centrale e permane, prende la forma del pellegrinaggio e della vita eremitica. E’ la scelta che ci propone il Vangelo che è stato appena proclamato: “Gesù allora disse ai suoi discepoli: «In verità io vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». A queste parole i discepoli rimasero molto stupiti e dicevano: «Allora, chi può essere salvato?». Gesù li guardò e disse: «Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile»” (Mt 19,23-26).

Teobaldo, figlio del nobile Arnolfo, conte di Champagne, rispose a questa chiamata secondo le modalità del suo tempo – l’XI secolo – e così, per lui, la scelta della povertà coincise con quella di una vita peregrinante ed eremitica per vivere la realtà del cammino verso la patria celeste e, in un pellegrinare che lo portò – come abbiamo detto – nelle diverse parti d’Europa.

Così, insieme all’amico Gualtiero, Teobaldo dapprima fu nell’abbazia di Saint-Rémi dove si spogliò di ogni ricchezza umana e iniziò la sua peregrinazione giungendo nella foresta di Petting, nell’odierno Lussemburgo, dove si stabilì conducendo vita eremitica.

Di giorno Teobaldo e Gualtiero raggiungevano i villaggi e, per mantenersi, si prestavano a servizi di vario tipo provvedendo a loro stessi con le loro stesse mani ma, quando la fama dei due monaci si diffuse ovunque, per loro fu impossibile continuare a condurre una vita di solitudine. Allora abbandonarono tutto e ripresero la peregrinazione che li portò a toccare l’estremo Occidente del continente europeo lungo il cammino di san Giacomo in Galizia – quello che allora era il finis terrae – per raggiungere poi anche il centro della cristianità, Roma, la città degli apostoli Pietro e Paolo.

Alla fine raggiunsero le terre venete. Si fermarono presso Vicenza adattando, col consenso del proprietario, un antico rudere nella località di Salanico; proprio qui l’amico Gualtiero fu chiamato dal Signore e concluse il suo pellegrinaggio terreno. Frattanto  la cerchia dei discepoli di Teobaldo cresceva di numero e per questo il vescovo di Vicenza, dopo reiterati colloqui, riuscì a convincerlo a ricevere l’ordinazione presbiterale così da prendersi cura dei tanti che lo avevano scelto come guida spirituale.

La fama di santità di questo uomo di Dio che dimorava, in povertà e orazione, nell’aspro territorio di Salanico si era, intanto, diffusa ovunque giungendo anche in Francia, là dove Teobaldo era nato. Così gli anziani genitori seppero dove viveva il figlio e si misero in viaggio per incontrarlo; la madre, Giselle, rimase con lui conducendo anch’ella vita ascetica e abitando in una piccola cella monastica. Infine Teobaldo morì, probabilmente di lebbra, non ancora sessantenne; era l’anno 1066.

La santità partecipa dunque delle modalità concrete di un periodo storico in cui il santo vive. Fu così anche per Teobaldo, la cui santità prese le forme caratteristiche del medioevo – in specie dell’XI secolo – ma, nella sua intima realtà, fu semplicemente il lasciarsi plasmare dalla grazia di Cristo attraverso il sì libero della fede.

Pretendere di ricostruire un’umanità sulla quale poi aggiungere talune caratteristiche cristiane è pura astrazione; agli occhi di Dio, infatti, esiste solamente un’umanità, quella di Cristo, a partire dalla quale – per grazia – ogni altra umanità è contenuta e costruita.

Francesco d’Assisi, Benedetto da Norcia e Teobaldo non sono santi perché hanno scelto la povertà, la preghiera liturgica, la peregrinazione e la vita eremitica ma piuttosto hanno scelto la povertà, la preghiera liturgica, il pellegrinaggio e la vita eremitica perché hanno incontrato Cristo e appartengono pienamente a Lui.

In altre parole, il santo non è colui che rinuncia a qualcosa per Cristo ma è colui che appartiene a Cristo in modo tale che la sua vita è plasmata a partire da Lui. Ed è proprio da tale incontro che raggiunge la pienezza umana. I santi – e fra loro Teobaldo – sono la realtà storica della Pasqua di Cristo, ossia la misericordia di Dio che vive nel nostro tempo, abita le nostre strade, piazze e paesi.

In questo Anno giubilare siamo chiamati – proprio guardando ai santi – a riscoprire il sacramento e la virtù della penitenza come, pure, la preghiera prolungata e contemplativa dinanzi al Santissimo Sacramento, insieme alle opere di misericordia spirituale e corporali e, in tal modo, dare testimonianza di una Chiesa che – come insegna Papa Francesco nella bolla d’indizione dell’Anno giubilare della Misericordia – “ha la missione di annunciare la misericordia di Dio, cuore pulsante del Vangelo, che per mezzo suo deve raggiungere il cuore e la mente di ogni persona. La sposa di Cristo fa suo il comportamento del Figlio che a tutti va incontro senza escludere nessuno…” (Papa Francesco, Bolla di indizione del Giubileo straordinario Misericordiae vultus, n.12).