S. Messa in occasione dell’incontro dell’Unitalsi Triveneta
(Santuario della Madonna della Corona / Spiazzi VR, 30 aprile 2022)
Omelia del Patriarca di Venezia Francesco Moraglia
Rivolgo innanzitutto il mio saluto al Vescovo Giuseppe, ordinario del luogo, e al Vescovo Luigi, assistente nazionale dell’Unitalsi. Saluto i confratelli nel sacerdozio e tutti voi, cari fratelli e sorelle dell’Unitalsi Triveneta e delle sue sottosezioni.
Ci troviamo nel Santuario della Madonna della Corona che sta vivendo il suo anno giubilare indetto in occasione dei 500 anni dalla misteriosa e miracolosa traslazione, avvenuta la notte del 24 giugno del 1522, della statuetta della Madonna della Corona (proveniente dall’isola di Rodi) in questo suggestivo luogo posto tra le rocce del monte Baldo.
Lasciamoci guidare dalle letture proclamate in questo sabato della II settimana di Pasqua.
L’episodio narrato dagli Atti degli Apostoli (At 6,1-7) è importante non solo per quella che viene considerata come l’istituzione dei primi diaconi ma poiché, descrivendo un momento della vita della comunità cristiana, evidenzia quanto sia importante – per una comunità – il bene dell’armonia, della pace e della carità reciproca.
L’accordo è, infatti, il frutto dell’accettazione dell’altro, del saper costruire un “noi” in cui i singoli “io” partecipano con le loro peculiarità, nella consapevolezza che la comunione e il camminare insieme, alla fine, concorrono ad un progetto più grande e duraturo di quanto possano fare i singoli.
La Chiesa primitiva, attraverso gli Apostoli, risponde al “malcontento” emerso ed individua alcuni uomini – i “diaconi” – che si adopereranno affinché regni la carità tra i discepoli di Gesù, consentendo di ristabilire la comunione con una rinnovata serenità e pacificando gli animi.
È, infatti, segno eloquente dell’essere discepoli di Cristo volersi bene gli uni gli altri, con la concreta testimonianza della vita. Ricordiamo le parole di Gesù: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35).
Il testo degli Atti ci dice anche che “la parola di Dio si diffondeva e il numero dei discepoli (….) si moltiplicava grandemente” (At 6,7). In un clima di carità, degli uni verso gli altri, scaturisce la fecondità di una comunità e di un gruppo ecclesiale che si fanno riconoscere soprattutto per l’amore reciproco, disinteressato, capace di perdonare e aperto verso tutti.
Il Vangelo, appena proclamato (Gv 6,16-21), ci mette invece davanti ad una situazione di paura e di difficoltà vissuta dai primi discepoli che, in barca, stanno attraversando il lago in direzione di Cafarnao. “Era ormai buio – annota l’evangelista Giovanni – e Gesù non li aveva ancora raggiunti; il mare era agitato, perché soffiava un forte vento” (Gv 6,17-18).
Buio, vento impetuoso e mare agitato (simboli di ciò che spaventa, è pericoloso, dà sgomento ed angoscia) li sorprendono. I discepoli sono affaticati nello sforzo di raggiungere la meta, ma non vi riescono. Nella barca – come abbiamo sentito – non c’era Gesù.
La serenità, la forza e la pace si ricompongono quando, finalmente, arriva Gesù e ai discepoli stanchi, intimoriti e smarriti dice: “Sono io, non abbiate paura!”. E l’evangelista aggiunge: “Allora vollero prenderlo sulla barca, e subito la barca toccò la riva alla quale erano diretti” (Gv 6,20-21).
Per una comunità e un gruppo ecclesiale è essenziale che, nelle molteplici difficoltà incontrate durante la traversata (che possiamo identificare come il cammino specifico dell’apostolato o l’ambito di servizio nel quale si opera), si sappia invocare la presenza del Signore e poi lo si accolga e ci si stringa attorno a Lui.
Per l’uomo la sofferenza non è mai solo fisica, ma è anche spirituale; le due sfere sono, fra loro, distinte ma non separate. E quindi, al di là della scienza medica e dell’arte della cura che operano secondo le proprie specificità, bisogna considerare anche la sofferenza psichica e spirituale della persona.
Così, a proposito delle difficoltà e delle sofferenze della vita, l’Unitalsi – per la storia e l’idealità che la ispirano – è chiamata secondo la vocazione dei suoi soci ad accompagnare le persone non solo in senso materiale e fisico ma, se possibile, in modo spirituale.
Magari anche condividendo un po’ della gioia – di cui parla il santo Papa Giovanni Paolo II – (gioia) che “proviene dalla scoperta del senso della sofferenza ed una tale scoperta (…) è al tempo stesso valida per gli altri” perché “può aiutare (…) a penetrare il senso salvifico della sofferenza” (Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Salvifici doloris n. 1).
Quando si parla del dolore delle persone, esso va perciò considerato non in maniera riduttiva. E qui non può non venire in mente la figura del vostro fondatore Giovanni Battista Tomassi che, agli inizi del secolo scorso (1903), partecipò ad un pellegrinaggio a Lourdes come malato.
Era un giovane ventenne ma, da anni, invalido e in carrozzina per una grave forma di artrite deformante irreversibile. Il giovane Tomassi era anche sofferente spiritualmente e il suo animo ribelle covava rancore nei confronti di Dio e della Chiesa.
In lui ormai abitava un’amarezza molto simile all’odio, una sofferenza globale che devastava alla radice il corpo e l’anima, tanto da meditare un atto, ad un tempo, di annientamento personale e che fosse percepito anche come ribellione e oltraggio totale a Dio e alla religione.
Le intenzioni che accompagnavano il suo viaggio alla grotta di Massabielle lo avrebbero portato, se non fosse stato miracolato, a quello che oggi chiameremmo un “suicidio in diretta”. Ma le cose andarono diversamente grazie alla Beata Vergine Maria che si servì, durante quel pellegrinaggio a Lourdes, dell’opera dei volontari; la loro presenza caritatevole e la loro capacità di dare conforto, speranza e, soprattutto, un senso alle sofferenze delle persone furono determinanti. La Vergine si servì di tutto questo per operare il miracolo di tale guarigione così importante per la storia di Lourdes.
Non c’è, quindi, solo il male fisico conosciuto e curato dalla scienza e dall’arte medica perché il dolore e la sofferenza dell’uomo hanno un campo molto più vasto e complesso, fatto di differenti dimensioni (fisica, psichica, spirituale e morale). Ciò che fa soffrire e addolora l’uomo non sempre è compreso e racchiuso nel perimetro della scienza e dell’arte medica, ambiti peraltro molto importanti e che evolvono sempre specializzandosi.
La sofferenza umana – il dolore umano – è qualcosa di più complesso ed anche radicato nella persona rispetto a quello che può riguardare espressamente una determinata malattia. Il caso di Giovanni Tomassi, in questo senso, è esemplare perché in lui si incarnavano la sofferenza fisica e un malessere dell’anima, della psiche e dello spirito secondo la dimensione integrale dell’essere umano caratterizzato da corpo e spirito (cfr. Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Salvifici doloris n. 5).
Il vostro servizio come Unitalsi mi porta, infine, a ricordarvi e a sottolineare il grande valore – non sempre considerato come merita – del sacramento dell’unzione dei malati: è, questo, il sacramento del cristiano peccatore e, quindi, indebolito nell’anima e nel corpo o dalla malattia o per l’età avanzata. Richiamate dunque, con apposite e ripetute catechesi, il valore imprescindibile di questo sacramento.
Ecco, allora, l’importante servizio e aiuto dell’Unitalsi: riscoprire il senso e il valore della sofferenza che viene accompagnata dalla vicinanza e dalle attenzioni dei fratelli e delle sorelle, innanzitutto nel facilitare il trasporto e gli spostamenti nei pellegrinaggi e nei santuari mariani, in cui siete chiamati a prestare il vostro indispensabile aiuto accanto a persone segnate dalle difficoltà e dalla malattia ma poi anche nell’offrire loro un’opportunità di autentico ristoro spirituale.
L’incontro con il Signore Gesù – il Crocifisso Risorto – nell’Eucaristia, nel sacramento della penitenza, nella preghiera e in una vita di fraternità sia sempre il “cuore” pulsante della vostra vita e del vostro servizio di accompagnamento delle persone.
Vi sostenga e vi aiuti in tutto questo la Vergine Maria, qui invocata come “Madonna della Corona”. E Lei, che è Madre di Cristo e Madre nostra, ottenga a noi e a tutto il mondo il dono della concordia, della riconciliazione, del perdono e della pace.