Omelia del Patriarca nella S. Messa in occasione delle ordinazioni diaconali (Venezia / Basilica cattedrale di S. Marco, 4 novembre 2023)
04-11-2023

S. Messa in occasione delle ordinazioni diaconali

(Venezia / Basilica cattedrale di S. Marco, 4 novembre 2023)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Carissimi,

la Chiesa che è in Venezia è nella gioia poiché in questa celebrazione eucaristica saranno ordinati diaconi Giacomo Ridolfi, in vista del presbiterato, e Gianpaolo Pivato, per il diaconato permanente.

È un momento di arricchimento per la nostra Chiesa che riceve il dono di queste due ordinazioni ed è, anche, un segno di fedeltà nel cammino intrapreso da parte di questi fratelli, insieme alle comunità che li hanno accompagnati al passo odierno. Penso, in particolare, al nostro Seminario, al gruppo dei diaconi permanenti e alle rispettive parrocchie d’origine e appartenenza.

È un gesto ecclesiale quello che stiamo per compiere o, meglio, che il Signore Gesù sta per compiere attraverso il Vescovo. Il sacramento è segno efficace, ha la sua origine in Gesù Cristo e, quindi, parla sempre alla nostra sensibilità, alla nostra umanità, alla nostra intelligenza (ragione) e alla nostra fede e non è mai un fatto privato tra il singolo fedele e Gesù ma sempre riguarda anche la comunità.

È un evento ecclesiale, quindi, non privato o che riguarda solo Giacomo e Gianpaolo in rapporto esclusivo col Signore Gesù. Questo gesto coinvolge – giova ribadirlo – Giacomo, Gianpaolo, la Chiesa che è in Venezia, il Signore Gesù. Nella Chiesa, infatti, tutto viene vissuto in termini personali e comunitari; questa è la prima “luce” che illumina il nostro essere qui oggi.

Importante è anche che tutto ciò avvenga nella chiesa cattedrale dove c’è la cattedra del Vescovo, ossia la successione apostolica, il Vangelo proclamato nella comunione col Santo Padre e, quindi, con la Chiesa universale. Attraverso le parole e i gesti del vescovo – l’imposizione delle mani e la formula consacratoria – è sempre il Signore Gesù che opera, consacrando diaconi Giacomo e Gianpaolo.

Viviamo questa celebrazione nel giorno (4 novembre) della memoria liturgica di san Carlo Borromeo, vescovo esemplare a cui può guardare e attingere chiunque entra a far parte dell’ordine sacro.

Il motto di questo santo fu: “Humilitas” (umiltà). Era nipote di Papa, nobile, destinato a guidare la famiglia facendosi carico dei molteplici e importanti affari che la riguardavano, in particolare dopo l’inattesa morte del fratello. Ma Carlo decide di seguire la vocazione sacerdotale all’insegna del motto episcopale “Humilitas” che, lungi dall’essere retaggio del passato, era per lui una proposta di vita, un impegno personale, una sintesi di vita.

Il sacramento dell’ordine sacro, nel grado del diaconato, ha al centro il servizio, inteso non come ricerca di efficienza o subordinazione fine a se stessa ma come cammino di umiltà. Ce lo ha ricordato, all’inizio di questa celebrazione, la preghiera della Colletta: “…ai ministri della tua Chiesa insegni non a farsi servire ma a servire i fratelli…”. E tutto questo è in precisa sintonia con il Vangelo di Luca appena proclamato (Lc 14,1.7-11).

Il Vangelo amplia la preghiera della Colletta che sfocia in questa bella preghiera: “…concedi a questi tuoi figli, oggi da te eletti al diaconato, di essere instancabili nell’azione, miti nel servizio della comunità e perseveranti nella preghiera”. Sono tre atteggiamenti significativi che richiedono un‘anima e un cuore credenti.

Si tratta di non venir meno (instancabili, nell’azione) anche quando non si hanno riconoscimenti o plausi, di servire in modo mite (non basta in modo efficiente) e rimanendo perseveranti nella preghiera (non solo quando le situazioni esterne o personali ce la rendono più facile e agevole).

Questi atteggiamenti di servizio e preghiera hanno bisogno di un’anima e quest’anima è l’umiltà. Il Vangelo di oggi lo delinea bene e le parole di Gesù – che prendono spunto da una vicenda umana concreta che evidenzia l’universale ricerca dei primi posti – non sono pronunciate per amore di buona educazione o galateo, come in un manuale di buone maniere. Qui non siamo di fronte a consigli umani e, tantomeno, ad un’esortazione di facciata (e, perciò, falsa); Gesù vuole sottolineare che l’umiltà, contrariamente alla mentalità corrente, è il primo fra i valori del Regno.

Un chiaro punto di riferimento, all’inizio del Vangelo, è il Magnificat che dice come Dio pone il suo sguardo sulla Vergine, la prescelta: “…ha guardato l’umiltà della sua serva” (Lc 1,48). Dal grembo virginale e fecondo di Maria, dal suo “sì” nella fede nasce la redenzione, la salvezza, la pienezza dei tempi e il Regno di Dio entra nella sua fase di compimento; sì, tutto ciò viene da un atto di umiltà.

Ritroviamo l’umiltà anche nel rito di ordinazione diaconale. Tra poco sarà chiesto a Giacomo e a Gianpaolo di manifestare la loro libera volontà di assumere gli impegni del diaconato e, subito dopo la domanda premessa di ogni altra –“Volete essere consacrati al ministero nella Chiesa per mezzo dell’imposizione delle mie mani con il dono dello Spirito Santo?” –, sarà loro chiesto se vogliono “esercitare il ministero del diaconato con umiltà e carità in aiuto dell’ordine sacerdotale, a servizio del popolo cristiano”.

Non ci può essere, insomma, ministero ordinato se non nell’umiltà. E questo vale iniziando proprio dal diaconato che ha nel servizio la sua connotazione propria.

Cari Giacomo e Gianpaolo, in questo momento che segna in modo indelebile la vostra vita, vi consegno queste due parole: umiltà e carità, da esercitare in aiuto dell’ordine sacerdotale e a servizio di tutto il popolo di Dio. Si tratta di impegni che caratterizzeranno sempre il vostro ministero.

Il sì nella fede e nell’umiltà di Maria, la Madre di Gesù, coinvolge la sua persona, la sua corporeità, e così Ella diventa madre. E lo stesso Gesù, quando si pone come esempio ai discepoli, dice:“…imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita” (Mt 11,29).

I cuori miti di Maria e Gesù diventano garanzia per noi; garanzia anche della “riuscita” del ministero diaconale per chi ha ricevuto questo dono.

Nell’odierno Ufficio liturgico delle letture, nella memoria di san Carlo Borromeo, leggiamo un suo discorso che il santo vescovo fece ad un Sinodo milanese in cui sottolineava, sulla scorta degli insegnamenti della Chiesa, alcuni atteggiamenti spirituali necessari affinché il ministro ordinato possa tener fede agli impegni vocazionali assunti, di fronte anche alle “difficoltà” di ogni giorno.

Queste le sue parole: “Se già qualche scintilla del divino amore è stata accesa in te, non cacciarla via, non esporla al vento. Tieni chiuso il focolare del tuo cuore, perché non si raffreddi e non perda calore. Fuggi, cioè, le distrazioni per quanto puoi. Rimani raccolto con Dio, evita le chiacchiere inutili… Da’ sempre buon esempio… Prèdica prima di tutto con la vita e la santità, perché non succeda che essendo la tua condotta in contraddizione con la tua prèdica tu perda ogni credibilità. Eserciti la cura d’anime? Non trascurare per questo la cura di te stesso, e non darti agli altri fino al punto che non rimanga nulla di te a te stesso… se così faremo avremo la forza per generare Cristo in noi e negli altri” (San Carlo Borromeo, Acta Ecclesiae Mediolanensis, Milano 1599, 1177-1178).

L’umiltà non è una parola; è un progetto e un programma di vita che vi farà assomigliare, cari Giacomo e Gianpaolo, ai grandi diaconi della storia della Chiesa – come Stefano e Lorenzo, diaconi e martiri – che hanno saputo sacrificare la propria vita lasciando spazio al Signore Gesù. Dare la vita significa, innanzitutto, morire alla propria autoreferenzialità.