Omelia del Patriarca nella S. Messa in occasione dell’apertura dell’adorazione eucaristica perpetua a San Silvestro (Venezia, 12 aprile 2015)
12-04-2015
S. Messa in occasione dell’apertura dell’adorazione eucaristica perpetua
 nella cappella di San Silvestro (Venezia, 12 aprile 2015)
Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia
Partiamo da un episodio evangelico pasquale che ci può aiutare a dare senso a quello che sta iniziando, grazie agli adoratori ed alle adoratrici. Credo, infatti, che toccherete presto con mano che il Signore è più generoso di voi. Dedicare, in modo programmato, un po’ di tempo della nostra settimana al Signore vuol dire scoprire qualcosa di cui neanche immaginiamo la grandezza all’interno della nostra vita quotidiana.
Il brano evangelico a cui mi vorrei riferire – e vorrei lasciare queste parole come riferimento spirituale agli adoratori ed alle adoratrici – è il cammino dei due discepoli di Emmaus (Lc 24, 13-35); è un brano pasquale, una catechesi pasquale. Al centro c’è Gesù, Gesù risorto, e intorno a Lui c’è la comunità rappresentata da Cleopa e da quel suo amico, una comunità incredula che deve lasciarsi evangelizzare.
L’Eucarestia che cos’è? E’ il gesto di Cristo. L’Eucarestia non è una cosa, non è una reliquia; è lo stesso Signore Risorto che si rende presente qui ed ora. L’Eucarestia nasce dalle parole che Gesù ha lasciato alla sua Chiesa: “…prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me»” (1Cor 11, 23-24).
Che cos’era il corpo per la cultura semita? Era la persona nella sua totalità in quanto incontrabile, riconoscibile e attingibile. Il sangue per gli Ebrei era la vita, tanto che c’era il divieto assoluto di cibarsi di animali soffocati perché il sangue era la vita di quella persona, di quell’essere, di quell’animale.
Quando Gesù dice “Questo è il mio corpo… questo è il mio sangue”, dice: “Sono io, presente, incontrabile, sono io che dono la mia vita, il mio corpo, il mio sangue…”. L’Eucarestia, allora, è questo gesto di Cristo, è il Signore Gesù. E la comunità evangelizzata è la comunità che ha scoperto di camminare con il Signore, sono i due discepoli di Emmaus che, allo spezzare del pane, Lo riconobbero ma, poi, Lui svanì…
“… andate a dire ai suoi discepoli: È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete” (Mt 28, 7) La realtà eucaristica è questo cogliere il Signore ed annunciarlo perché Lui, sempre, ci precede.
L’Eucarestia, allora, è al centro della Chiesa. La basilica più bella del mondo e la capanna fatta di frasche, di melma essiccata al sole, contengono così il tesoro più grande che non sono i mosaici di S. Marco né le vetrate di Chartres né le guglie del Duomo di Milano ma è quel corpo dato e quel sangue effuso.
L’Eucarestia è l’atto di Cristo, attraverso lo Spirito Santo, che si rende fruibile in quel pane e in quel vino. Durante l’ultima cena, Gesù ha celebrato la prima Eucarestia e, dopo aver detto “Questo è il mio corpo… questo è il mio sangue”, che cosa fa? La lavanda dei piedi, con Pietro che dice: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». E Gesù gli risponde: «Se non ti laverò, non avrai parte con me» (cfr. Gv 13, 8).
L’Eucarestia è quel coinvolgere – da parte di Gesù – i suoi discepoli, i suoi apostoli, nel sacrificio che, di lì a poco, si sarebbe consumato sul Calvario. Da quel momento e fino al compiersi / fino al termine della storia la Chiesa si edifica non attraverso i piani pastorali o i convegni o le strutture ma attraverso l’Eucarestia, la comunione sacramentale con il Figlio di Dio che continua ad offrirsi per noi.
Il Vangelo di oggi (Gv 20,19-31) ci parla di Gesù che si fa riconoscere da Tommaso mostrando i segni della passione; il Risorto porta per l’eternità i segni glorificati / gloriosi ma reali della passione. L’Eucarestia è il Signore risorto sotto le apparenze del pane e del vino come corpo offerto e sacrificato, sangue donato ed effuso.
Abbiamo il grande dono del Battesimo: oggi è la solennità della Domenica in albis ed è la festa della Divina Misericordia, il sangue e l’acqua. San Giovanni indica lo Spirito, il Battesimo, l’Eucaristia. L’acqua è per Giovanni lo Spirito, lo Spirito in cui la Chiesa amministra i suoi sacramenti. E il Battesimo e l’Eucaristia sono l’inizio ed il culmine; all’interno, poi, si dà la confermazione che è sacramento legato strettamente al Battesimo.
La grande ricchezza che ci unisce – al di là di quella che è la nostra vocazione ecclesiale: il ministero ordinato, il diaconato, il presbiterato, l’episcopato, il matrimonio, la vita religiosa (a cui guardiamo con particolare riconoscenza in quest’anno della vita consacrata) – ha inizio proprio nel sacramento del Battesimo e raggiunge la loro pienezza quando il nostro essere religioso, sacerdotale, diaconale, matrimoniale diventa un essere eucaristico, offerto e dato in comunione con il suo corpo e con il suo sangue.
Adorare che cosa vuol dire? Continuare la celebrazione. L’atto più grande di adorazione è la celebrazione eucaristica ma, quando una celebrazione eucaristica è vera, si sente il bisogno di continuare ad adorare. E l’adorazione porta al desiderio di celebrare di nuovo il suo corpo dato e il suo sangue effuso.
La missione della Chiesa è rendere presente Cristo, è celebrarlo, è riceverlo, è adorarlo. L’Eucaristia è il Cristo celebrato, è il Cristo ricevuto, è il Cristo adorato. La Chiesa, allora, se è eucaristica, se nasce – come nasce – realmente dall’Eucaristia e vive dell’Eucaristia, ha la forza per compiere la missione di Cristo.
Chi guarda all’Eucaristia, chi celebra l’Eucarestia, è al centro, è all’inizio ed è al termine della vita ecclesiale. L’Eucarestia è veramente fonte e culmine. La costituzione del Concilio Vaticano II Sacrosanctum Concilium dice, al n.10 in particolare, che la liturgia è la fonte e il culmine della vita ecclesiale ma qual è la fonte e il culmine della vita liturgica? E’ l’Eucaristia.
L’Eucaristia nasce dall’ultima cena, quando Gesù dice: “Fate questo in memoria di me” (Lc 22, 19). L’Eucaristia sta all’origine, all’inizio, di tutta l’evangelizzazione. Se c’è un luogo dove – notte e giorno – si adora la santissima Eucaristia, vuol dire che c’è un luogo dove notte e giorno si evangelizza. Si sta evangelizzando chi adora e si sta evangelizzando anche chi neppure sa cosa è l’Eucaristia, nel modo misterioso del corpo mistico.
Vi lascio un altro ricordo evangelico: la parabola della vite e dei tralci (cfr. Gv 15, 1-ss.). La realtà dell’adorazione eucaristica perpetua vive questa realtà: noi siamo i tralci e Lui è l’unica vita e, proprio nella celebrazione, nella recezione, nell’Eucarestia adorata noi diventiamo “sua” Chiesa.
Allora capiamo come Paolo ai Corinzi, ritornando al momento della sua conversione e quindi all’anno 35 (anche se scrive la lettera ai Corinzi oltre vent’anni dopo, intorno al 57 d.C.), dice: “…ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me»” (1 Cor 11, 23-24). “E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane” (1 Cor 10, 16-17).
Il culto eucaristico al di fuori della celebrazione, l’adorazione eucaristica è qualcosa di essenziale nella vita della Chiesa. Vorrei richiamare proprio questo punto perché vi troviamo un legame forte con il brano dei due discepoli di Emmaus da cui siamo partiti.
La presenza vera, la presenza reale, di Gesù nella santissima Eucaristia dopo la celebrazione rischia di non essere percepita più dalla comunità, così come i due discepoli di Emmaus non avevano percepito la presenza di Gesù che si accompagnava a loro lungo la strada.
La presenza di Gesù dopo la celebrazione è vera, è reale e si mantiene fino a quando c’è un po’ di pane ed un po’ di vino. Questa non è un’opinione teologica, ma è la fede della Chiesa. Sostare di fronte al tabernacolo e adorare il Santissimo Sacramento solennemente esposto fa parte della nostra fede; questa è la nostra fede e noi ci gloriamo di professarla! Lo ripetiamo sempre quando rinnoviamo – nella confermazione – le promesse battesimali, quando partecipiamo alle promesse battesimali dei catecumeni oppure dei bambini…
Adorare vuol dire intrattenersi con Gesù Eucaristia, vuol dire rivivere e rendere viva la narrazione di Luca con i due discepoli di Emmaus che, ad un certo punto, Lo riconobbero: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?» (Lc 24, 32). Un’adorazione fatta tenendo fra le mani la Sacra Scrittura, la storia della salvezza, la Parola di Dio.
Cari adoratori, care adoratrici, quante risposte troverete inginocchiati di fronte all’Eucaristia e tenendo tra le mani la Sacra Scrittura! Quante risposte che, prima, non riuscivate a dare a tante domande! Quante risposte essenziali e decisive al vostro vivere personale, familiare e comunitario! Adorare e intrattenersi con Gesù Eucaristia vuol dire andare al centro della creazione e della storia della salvezza.
Giovanni Paolo II ha voluto fortemente la festa della Divina Misericordia, legata fortemente alle rivelazioni personali di suor Faustina Kowalska. Ci sarebbe da riflettere molto sul dittico che ha rappresentato l’istituzione della festa del Corpus Domini in parallelo con il cammino che ha portato all’istituzione della festa della Divina Misericordia. Giovanni Paolo II ci ha ricordato che il cristianesimo – nella nostra epoca – deve distinguersi soprattutto nell’arte della preghiera.
E’ necessario intrattenersi a lungo in raccoglimento davanti a Cristo presente in modo personale, vivo e reale nel Santissimo Sacramento. I santi, in questo, ci hanno dato il buon esempio e ci sono guida preziosa. Ne potremmo citare tanti ma cito in particolare san Alfonso Maria de’ Liguori che diceva questo: “Fra tutte le devozioni quella dell’adorazione – adorare Gesù sacramentato – è la prima dopo i sacramenti, la più cara a Dio, la più utile a noi. Il celebrarla, quindi, ma anche il sostare dinanzi all’Eucarestia è sorgente di grazia”.
Così, in questo modo, possiamo dire che l’adorazione eucaristica, dopo la celebrazione della S. Messa, è l’espressione della misericordia di Dio.
Stiamo entrando nell’Anno giubilare della Divina Misericordia: l’Eucarestia è la misericordia di Dio, è il suo essere qui per noi, è il suo indicarci quella che è la strada che ci porta alla felicità perché gli adoratori e le adoratrici sono chiamati ad essere persone che vivono nella gioia, che non è quel sorriso “stampato” sulle labbra per maniera, abitudine o buona educazione – che è già una cosa positiva – ma è quella gioia frutto della sapienza cristiana. E la sapienza cristiana è il gusto delle cose di Dio.
Al termine della S. Messa e della processione eucaristica da S. Giovanni Elemosinario a S. Silvestro, il Patriarca ha quindi aggiunto:
Affidiamo Gesù Eucarestia alla fede degli adoratori e delle adoratrici. Che questo punto della città di Venezia diventi sorgente di tante grazie! E’ la convinzione più forte che ho in questo momento. Ripeto agli adoratori ed alle adoratrici: presto scopriranno che il Signore non è “portato” da loro ma è Lui che “porta” loro; presto scopriranno quanto il Signore è più grande della loro pur grande generosità e quanto il Signore ricambia il più piccolo atto di fede. Adorare l’Eucarestia è credere e amare, è legarsi ad una speranza che non è il risultato del “fare” degli uomini. L’adorazione eucaristica è la sintesi delle virtù teologali: la fede, la speranza e la carità.