Omelia del Patriarca nella S. Messa in occasione della peregrinatio corporis di S. Pio X (Marghera / Chiesa parrocchiale S. Pio X, 22 ottobre 2023)
22-10-2023

S. Messa in occasione della peregrinatio corporis di S. Pio X

(Marghera / Chiesa parrocchiale S. Pio X, 22 ottobre 2023)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Cari fratelli e sorelle,

è bello concludere la peregrinatio corporis di san Pio X – tornato in questi giorni nel natìo Veneto dove ha vissuto la quasi totalità della sua vita – nella parrocchia a lui dedicata.

Soprattutto è bello che il congedo avvenga proprio in una parrocchia; infatti la parrocchia – per diciotto anni – fu il luogo dove don Giuseppe Sarto (detto don Bepi) esercitò il suo ministero sacerdotale. Sono gli anni subito successivi all’ordinazione sacerdotale quando fu, dapprima, cappellano a Tombolo e, poi, parroco a Salzano, fra la gente come uno di loro, ma anche come guida che, nella cordialità, predica la necessità della conversione e non teorizza la non esistenza del peccato.

Una settimana fa l’urna si trovava a Riese, la sua parrocchia natale, e quanto fu importante per Giuseppe Melchiorre Sarto la vita in quella comunità parrocchiale, con i differenti momenti della liturgia e della catechesi e con fondamentali figure di riferimento, ad iniziare dal parroco e dal cappellano, capaci di lasciare un ricordo indelebile soprattutto nei bambini dell’iniziazione cristiana (e questo vale anche per il nostro tempo). Un prete in parrocchia, col sostegno della grazia del Signore, esercita una funzione che incoraggia, accompagna e fa crescere nell’amore a Gesù.

L’altro giorno, nella Messa al Santuario della Salute con i sacerdoti e i diaconi, emergeva queste domande: senza un parroco attento e vicino alla sua gente come don Tito Fusarini e un cappellano come don Pietro Jacuzzi sarebbe maturata la santità sacerdotale di Pio X? E ancora: senza un’esistenza cristiana concretamente vissuta in una comunità parrocchiale avremmo avuto una guida coraggiosa e ferma per la santa Chiesa come papa Sarto?

Non dimentichiamo che ogni vocazione – e quindi anche quelle al sacerdozio e alla vita consacrata – rimane dono esclusivo di Dio e della sua misericordia, ma sappiamo anche che quasi sempre Dio parla attraverso presenze vive e reali e rivolge la sua parola tramite la voce degli uomini e delle donne che ci pone accanto.

Per questo è sempre fondamentale – soprattutto in chiave vocazionale per i ragazzi e i giovani – la testimonianza e la presenza di un sacerdote, di un diacono, di un religioso o di una religiosa, del catechista, di quanti svolgono un servizio e partecipano attivamente alla vita di una comunità parrocchiale ed oggi alla vita di una collaborazione pastorale.

Come già accennato, a Tombolo, dove fu cappellano (il primo incarico da prete), l’allora don Giuseppe Sarto – don Bepi – si distinse subito per quella sua attenzione costante alla cura delle anime. Si mostrò presto un valente e apprezzato predicatore, capace di cogliere l’attenzione ma soprattutto di dare indicazioni chiare e semplici a ciascuno in modo che potesse vivere al meglio la propria vocazione. Seguì moltissimo i ragazzi e i giovani, giocando anche con loro, prestò attenzione agli anziani e ai malati, promosse le opere di carità. Istituì una scuola serale per combattere l’analfabetismo (“Mandate i vostri figli a scuola”, ripeteva spesso) e, nel contempo, anche una scuola di canto e di musica per accompagnare degnamente le liturgie.

Quando divenne parroco a Salzano, come scrisse mons. Antonio Niero, “…tutti erano rimasti ben impressionati innanzi ad un argomentare così sicuro e di idee tanto chiare nella spiegazione del Vangelo! Anche la voce, sonora e pastosa, aveva avuto il suo peso… Ed era piaciuto il tema di quella prima predica (a Salzano), incentrato sul pastore che deve render conto al Signore di ciascuno dei suoi figli. Pressappoco come dirà trent’anni dopo, circa, dal pulpito di San Marco a Venezia, nel dì del suo ingresso, nello splendore della porpora cardinalizia: che sarebbe di me se non vi amassi!” (Mons. Antonio Niero, In parrocchia a Tombolo e Salzano in Pio X. Un Papa e il suo tempo, Edizioni Paoline 1987, pagg. 65-66).

E proprio a Salzano prese forma il suo catechismo – rivolto in particolare agli adulti, bisognosi di dare consistenza alla loro fede e devozione – con domande e risposte che consentivano di ricordare e sintetizzare la dottrina cristiana, la vita di Dio e di Gesù, negli elementi essenziali.

In tutta la sua vita, san Pio X mai volle essere altro se non un “pastore d’anime” – da Papa fu come il parroco del mondo – e questo lo visse nel senso più alto e nobile del termine. In ogni stagione della vita (come prete, vescovo, cardinale, papa) ebbe a cuore la cura dei fedeli; dovunque fu mandato, fu sempre attento a tutelare e promuovere la fede della gente che era affidata alle sue cure.

Nei racconti arrivati fino a noi delle sue visite pastorali alle parrocchie, da Patriarca di Venezia, vi sono soprattutto i numerosi contatti con la gente, anche attraverso parecchie ore passate in confessionale. Incarnava, insomma, l’immagine del Buon Pastore che conosce e vuole conoscere le sue pecore per averne davvero cura e perché queste abbiano la vita, la vita vera, la vita in Cristo.

Intuì e favorì anche una nuova modalità di presenza dei laici nella Chiesa e nel mondo con un impegno non ancora di tipo “politico” ma in campo sociale e culturale, a difesa dei lavoratori e secondo una prospettiva di mutuo aiuto in vista del bene comune. Pensiamo, ad esempio, a quanto fece da parroco di Salzano a favore della popolazione non solo in termini di carità ma anche di promozione sociale, di aiuto all’assistenza sanitaria ed anche nella creazione di una sorta di Cassa rurale e di nuovi posti di lavoro per la gioventù affinché non dovesse tuttamemigrare all’estero.

Ha scritto di lui lo storico Gianpaolo Romanato: “…nella parrocchia, nella quotidiana cura delle anime, nella pastoralità concreta, nel contatto continuo con le gioie (poche) e le sofferenze (molte) dei suoi contadini tombolani e salzanesi, egli aveva trovato probabilmente la miglior realizzazione di se stesso. “Ama la tua parrocchia e sarai felice”, scriverà molti anni dopo a un giovane prete” (Gianpaolo Romanato, Pio X. Alle origini del cattolicesimo contemporaneo, Torino 2014, pp. 181-2).

Il suo motto – “Instaurare omnia in Christo” – è biblico (tratto dalla lettera agli Efesini), essenziale ed esaustivo. Esprime con grande chiarezza, anche ai nostri giorni, quale fosse il centro unificatore della sua vita, il suo riferimento e fondamento spirituale. Oggi più che mai la Chiesa è chiamata ad esprimere con semplicità, in modo comprensibile e credibile il mistero del Dio Misericordia. San Pio X anche oggi ci invita ad essere – per riprendere un’efficace immagine evangelica – come quei tralci che, solo se uniti alla vite che è Cristo, danno frutto.

Rileggevo in questi giorni – e l’ho subito collegato a san Pio X – il passo dell’Imitazione di Cristo che dice: “Soltanto chi sente tutte le cose come una cosa sola, e le porta verso l’unità e le vede tutte nell’unità, può avere tranquillità interiore e abitare in Dio nella pace… Si rimetterà del tutto e con piena fiducia in Dio: in Dio, che per lui sarà tutto, in ogni circostanza; in Dio, agli occhi del quale nulla muove o va interamente perduto; in Dio, e per il quale ogni cosa vive, servendo senza esitazione al suo comando”.

Capacità di profezia, coraggio e libertà di parola, soprattutto di fronte ai giudizi degli uomini, furono tra le caratteristiche umane e sacerdotali più vive di san Pio X il quale – in un mondo che si distaccava sempre più dalla fede – seppe annunciare con fierezza il Vangelo, non cercando il plauso degli uomini o il facile consenso. Il suo desiderio era sempre quello di essere e restare fedele al Signore Gesù e al suo Vangelo; oggi sarebbe certamente un fiero oppositore del “politicamente corretto” e del “pensiero debole”.

Nel concludere qui a Marghera – nella parrocchia a lui intitolata – la peregrinatio corporis, chiediamo la grazia di poter seguire l’esempio di questo nostro santo e così possiamo vivere bene quanto il Signore oggi chiede a ciascuno di noi e alla Chiesa che è in Venezia. E possiamo così “ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra” (Ef 1,10).