Omelia del Patriarca nella S. Messa in occasione della festa di S. Lucia (Venezia / Santuario diocesano di S. Lucia, 13 dicembre 2023)
13-12-2023

S. Messa in occasione della festa di S. Lucia

(Venezia / Santuario diocesano di S. Lucia, 13 dicembre 2023)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Rivolgo il mio saluto alle autorità, al rettore del Santuario e a tutti voi che partecipate alla S. Messa – anche attraverso la diretta televisiva e social –  nel giorno della festa di santa Lucia, vergine e martire siracusana le cui spoglie sono qui custodite e venerate e alla cui intercessione ci affidiamo nuovamente.

Ringrazio il rettore perché, all’inizio di questa celebrazione, ci ha introdotti nell’attualità di santa Lucia: è donna forte e cristiana fedele, è la vergine che ci aiuta ad entrare nel mistero di Cristo. Con la sua fedeltà e con il suo amore Lucia ci insegna che la vita cristiana non è forza, né violenza fisica o verbale; Lucia ci insegna che la vita cristiana è piuttosto forza e vigore nella vita di fede e che si esprime in un amore più grande.

Come sono state valorizzate le reliquie dei santi dalla Chiesa ce lo dicono le basiliche e i santuari che sono stati edificati per conservare gli altari che sorgono sulle reliquie dei santi. E questo attesta un senso più vivo e più concreto rispetto alla realtà della celebrazione liturgica che si compie; l’Eucaristia non è una serie di riti, è l’evento salvifico che avviene attraverso la celebrazione dell’Eucaristia.

All’inizio i santi erano perlopiù i martiri, coloro che avevano attestato sino alla fine la loro fede ed il loro amore per Cristo. E perché gli altari venivano edificati sulle reliquie dei santi? Perché le reliquie costituivano la prova tangibile che il sacrificio di Cristo non era stato vano e le reliquie contribuivano a rendere sacre quelle pietre e quelle costruzioni (le basiliche, le chiese, i santuari).

L’edificio-chiesa e l’altare non sono solo funzionali, ossia non servono solo a qualcosa. Le basiliche, le chiese, gli altari sono prima di tutto delle realtà sacre, ossia appartengono a Dio e alla Chiesa. Non esistono gli altari solamente perché c’è bisogno di un luogo dove appoggiare il messale o le ampolline, il calice e la patena; le chiese non esistono solo per ripararci dal freddo o dal caldo… L’edificio-chiesa e l’altare partecipano di un simbolismo che introduce nel mistero di Cristo misericordia, di Dio Padre, del Dio che ama e si lascia amare. L’edificio-chiesa, quindi, è quella realtà che rimanda alle pietre vive, ai battezzati, ai fedeli che costituiscono la vera Chiesa che sta – per riprendere quello che ci ha detto il rettore all’inizio – prima della Gerusalemme celeste.

Tra poco diremo: “Annunciamo la tua morte, proclamiamo la tua resurrezione nell’attesa della tua venuta”. L’edificio-chiesa, quindi è quella realtà che rimanda alla realtà ultima dell’Eucaristia che è la carità di Cristo che vive nella comunità.

Ci illudiamo di celebrare l’Eucaristia quando siamo in lotta o in malanimo con gli altri. L’inizio della celebrazione eucaristica prevede sempre il domandare perdono a Dio dei propri peccati e non è altro che la fedeltà della Chiesa a quel versetto del Vangelo che dice: “Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono” (Mt 5,23-24).

L’altare rimanda a Cristo: nella liturgia della Chiesa l’altare è Cristo, è il capo e il corpo. C’è poi quel testo della prima lettera ai Corinzi che ci aiuta a comprendere il significato delle reliquie, che non sono oggetti misteriosi o dei portafortuna: “Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo, che è in voi?”  (1Cor 6,15.19).

Il corpo, nella Sacra Scrittura, è la persona visibile e capace di relazione. “Questo è il mio corpo offerto per voi”: è la persona di Gesù visibile ed accessibile, in relazione con noi per salvarci.

Per il cristiano, inoltre, il tempo e la storia sono orientati all’eternità; sono un modo particolare di permanere nell’essere: storia-tempo-eternità. La storia e il tempo sono orientati all’eternità, al mondo della resurrezione, ma il tempo e la storia – e tutto ciò che avviene in essi, nel tempo e nella storia della nostra vita – segnano e plasmano l’eternità.

Ecco le reliquie: sono la memoria di una storia che ha plasmato l’eternità o, meglio, il mondo della resurrezione. Ecco perché le reliquie di un santo, di una santa, oltre a narrare la storia sono un richiamo al mondo della resurrezione, quel giorno che mai conosce il tramonto.

Le reliquie, infine, non sono realtà magiche e neppure oggetti cari a qualche spirito piuttosto che ad altri. Le reliquie ci ricordano semmai la realtà e la verità dell’incarnazione di Dio, la visibilità e lo spessore umano della Chiesa, che è fatta di uomini e donne concrete. Non esiste una Chiesa di puri spiriti e disincarnata: tale ecclesiologia appartiene piuttosto all’eresia, da Montano in poi; chi dimentica di avere un corpo non diventa un angelo, diventa un demone. Pascal diceva delle monache di Port-Royal, affette da una teologia giansenista: “pure come angeli, superbe come demoni”.

Le reliquie dei corpi dei santi – come Lucia, vergine e martire dell’inizio del IV secolo – ci ricordano che apparteniamo al tempo ma ci stiamo incamminando verso l’eternità e, a sua volta, l’eternità dipende dal tempo, dalla nostra storia, dalle nostre scelte, dal bene e dal male che abbiamo fatto attraverso il corpo. Le membra fragili, come quelle della giovane vergine martire siracusana, sono un richiamo rivolto ai cristiani del tempo, anche a noi oggi, affinché sappiamo che la forza cristiana non si misura con i criteri del mondo.