Omelia del Patriarca nella S. Messa in occasione della Dedicazione della Basilica Cattedrale di S. Marco e con il conferimento del ministero del lettorato in preparazione al diaconato permanente (Venezia / Basilica S. Marco, 8 ottobre 2021)
08-10-2021

S. Messa in occasione della Dedicazione della Patriarcale Basilica Cattedrale di S. Marco

e con il conferimento del ministero del lettorato in preparazione al diaconato permanente

(Venezia / Basilica S. Marco, 8 ottobre 2021)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Carissimi,

ci raccoglie oggi in questa celebrazione liturgica un duplice motivo: ricordiamo, infatti, solennemente la Dedicazione al Signore di questo tempio – la Patriarcale Basilica Cattedrale Metropolitana di San Marco – e, sempre in tale contesto, sarà conferito il ministero del lettorato ad Andrea, Gianpaolo, Gino e Leonardo che vivono questo “passaggio” come momento importante del loro cammino di discernimento e formazione che li porterà un giorno, a Dio piacendo, a ricevere il sacramento dell’Ordine nel primo grado, quello del diaconato permanente, quando il vescovo imporrà loro le mani per il servizio che, nella Chiesa, ha anche una sua specifica dimensione sacramentale (è, appunto, quella del diaconato).

Diventando lettori e ricevendo dalla Chiesa questo ministero istituito siete chiamati, carissimi, ad essere annunziatori della Parola di Dio nel contesto liturgico e con tutta la vostra vita. Per questo nella preghiera di benedizione, che tra poco reciterò su di Voi, si chiede che possiate praticare una “meditazione assidua” della Parola per esserne “intimamente illuminati” e “diventarne fedeli annunziatori” ai fratelli e alle sorelle non solo nell’assemblea e nei momenti liturgici della comunità ecclesiale ma in ogni ambito di vita nel quale siete inseriti e in cui potrete portare, con la vostra stessa persona, il Vangelo di salvezza.

La Parola di Dio è la protagonista della rivelazione cristiana perché non è semplice comunicazione, descrizione o trasmissione di informazioni (come si riducono ad essere le nostre parole) ma è “performativa”, ossia ha una forza ed un’energia proprie e straordinarie – la forza e l’energia di Dio, è Dio stesso che parla ed interviene – che la porta a realizzare ed eseguire ciò che proclama, agisce quindi e trasforma, si traduce immediatamente in azione.

La Parola di Dio, come detto, è la protagonista della rivelazione cristiana e si è via via manifestata, innanzitutto nel creato e poi nei profeti e nell’alleanza stretta con il popolo fino a divenire in Gesù la Parola compiuta ed eterna del Padre, il Verbo fatto carne, quella pienezza della rivelazione che scorgiamo nel brano della lettera agli Ebrei appena proclamato: “Voi (…) vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a migliaia di angeli (…), al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti resi perfetti, a Gesù, mediatore dell’alleanza nuova, e al sangue purificatore, che è più eloquente di quello di Abele”. E poi, nel versetto immediatamente successivo alla lettura odierna, l’autore sacro aggiunge: “Perciò guardatevi bene dal rifiutare Colui che parla… Colui che parla dai cieli” (Eb 12, 22-25).

Per questo la Parola di Dio è non solo esplicativa ma, soprattutto, costitutiva, genera profezia e “potere” profetico in chi la accoglie ed ha la grande capacità di convocare e riunire le persone che possono vivere il momento più alto della fede, quello della celebrazione liturgica, in un luogo peculiare quale è l’edificio sacro, ossia laddove – come abbiamo ascoltato nella prima lettura dal secondo libro delle Cronache – si leva “all’unisono la voce per lodare e celebrare il Signore e il suono delle trombe, dei cimbali e degli altri strumenti (…) per lodare il Signore perché è buono, perché il suo amore è per sempre” e ancora laddove la gloria del Signore è presente e “riempie” il tempio di Dio (2Cr 5,13-14).

La Chiesa è realtà concreta, visibile, “sacramentale”: per questo ha bisogno di un luogo riconosciuto e riconoscibile nel quale ritrovarsi e ri-unirsi. Sì, la Chiesa – come insegna il Concilio Vaticano II – è, in Cristo, realtà sacramentale che indica qualcosa che è ben oltre e va al di là della sua stretta visibilità.

Celebriamo quindi con solennità la memoria della dedicazione di una chiesa ed in particolare, oggi, di questa Basilica Cattedrale perché si tratta di un luogo sacro “vivo”, frequentato e animato, che forma e “performa” (rende reale) la vita di una comunità cristiana. È quanto abbiamo bisogno di riscoprire, oggi, dopo i tempi bui della pandemia che ci hanno costretto, per un periodo non breve, anche a dover rinunciare a molte convocazioni liturgiche.

Per questo motivo, un luogo sacro come questa splendida Basilica – che certo contiene ed espone una serie di tesori artistici e architettonici inestimabili e da offrire alla visione e alla contemplazione di tutti – non dovrà mai essere un “museo” perché è, prima di tutto, un luogo “vivo” dove nasce, si celebra e sviluppa la fede; un luogo di catechesi, di formazione e appunto di azione liturgica della comunità che qui si ritrova e si riconosce per compiere l’atto massimo che possa compiere: “lodare il Signore perché è buono”, lodare e benedire il nome glorioso di Dio perché – come ci ha fatto dire il salmo responsoriale riprendendo le parole del re Davide – “Tua, Signore, è la grandezza, la potenza, lo splendore, la gloria e la maestà: perché tutto, nei cieli e sulla terra, è tuo. Tuo è il regno, Signore: ti innalzi sovrano sopra ogni cosa. Da te provengono la ricchezza e la gloria, tu domini tutto; nella tua mano c’è forza e potenza, con la tua mano dai a tutti ricchezza e potere. Ed ora, nostro Dio, noi ti ringraziamo e lodiamo il tuo nome glorioso” (1Cr 29, 11-13).

Lo ha riaffermato con autorevolezza il Concilio Vaticano II nella Costituzione “Sacrosanctum Concilium”: mediante la liturgia, infatti, “specialmente nel divino sacrificio dell’eucaristia, «si attua l’opera della nostra redenzione»” e così la liturgia “contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa” (n.2).

La Parola di Dio, così, ispira ed “allena” continuamente la funzione profetica dei discepoli del Signore, ne suscita l’azione pastorale e di governo, i ministeri ed ogni forma di servizio reso alla comunità ecclesiale e al mondo.

Nel tempio la Parola diventa Sacramento e le parole realizzano ogni volta ciò che affermano, generando i tanti e differenti momenti sacramentali della vita ecclesiale: “Io ti battezzo… Io ti assolvo…”, “Questo è il mio corpo… Questo è il mio sangue…”.

Come abbiamo detto, per voi –  carissimi Andrea, Gianpaolo, Gino e Leonardo – il ministero del lettorato che state per ricevere è in preparazione e in vista del diaconato permanente poiché, da qualche tempo, siete impegnati nel cammino verso quello che è il primo grado del Sacramento dell’Ordine.

Diventare lettori nel giorno della Dedicazione della Patriarcale Basilica Cattedrale di S. Marco sia non solo il conferimento di un incarico e di un impegno ma soprattutto un dono speciale che fortifichi e sostenga i vostri passi verso quel diaconato che vi porterà ad essere pienamente a “servizio” della Chiesa in molti ambiti e in tante dimensioni: nel servizio dell’altare e della Parola, nel servizio al Vescovo e, soprattutto, nel servizio della carità verso tanti fratelli e tante sorelle e soprattutto dei più poveri praticando e testimoniando, con vera profezia, le opere di misericordia  non solo corporali ma anche spirituali.

Il ministero del lettorato sia per ciascuno di voi un esercizio e un’opportunità nuova di santità per essere e diventare sempre più “a servizio”, come evangelizzatori e testimoni di carità, per annunziare a tutti il Cristo e dare gloria al Padre che è nei cieli.