Omelia del Patriarca nella S. Messa in occasione della candidatura all’ordine sacro di quattro seminaristi (Venezia - Basilica S. Marco, 3 maggio 2015)
03-05-2015
S. Messa in occasione della candidatura all’ordine sacro di quattro seminaristi
(Venezia – Basilica S. Marco, 3 maggio 2015)
 
Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia
Gesù dice: “Io sono la vite, – e riferendosi ai suoi discepoli – voi i tralci… e il Padre mio è l’agricoltore” (cfr. Gv 15, 1-5). Carissimi, voi siete chiamati ad essere una cosa sola con Gesù; da qui risulterà la bontà e la riuscita del vostro sacerdozio, perché da oggi in poi la vostra vita – dopo questo sì della chiesa di Venezia – è il presbiterato.
 
Un prete non si improvvisa. Voi venite da lontano e l’ho voluto dire all’inizio della celebrazione eucaristica. Grazie, da parte della Chiesa di Venezia, alle comunità da cui voi provenite e, prima di tutto, alle vostre famiglie.
 
Nella vita personale, nella vita personale di fede, prima del vescovo e del parroco, prima dei catechisti e degli educatori, viene un volto maschile ed un volto femminile: il papà e la mamma. Sono i primi annunciatori del piano di Dio, i primi annunciatori del Vangelo, non – come poi avviene anche nella preparazione al sacerdozio – attraverso l’immettersi nella pastorale concreta o nell’ascoltare lezioni di teologia, di spiritualità, di storia…
 
I genitori sono i primi testimoni della fede. Pensate a quando una mamma porta in chiesa il suo piccolo o la sua piccola – a seconda dei casi – e fa rispondere alla domanda: Ma chi è quello la? E il bambino indica il crocifisso. Pensate a quando una mamma e un papà, alla sera, chiudono con il proprio figlio la giornata aiutandolo a pensarsi in Dio, perché le preghiere – la preghiera – è semplicemente questo: pensarci in Dio.
 
Il Vangelo di oggi (Gv 15, 1-8) vi accompagni sempre. Vi accompagni come sfondo, contesto e clima del vostro cammino seminaristico. Ciò che accade qui, oggi, vi vede protagonisti non solo in modo personale perché è qualcosa che riguarda la nostra Chiesa. E tutto quello che riguarda il nostro Seminario è ecclesiale. Siete sostenuti dalla preghieradi molti.
 
La formazione che vi viene data non è solo quella che avviene all’interno – tra le pareti del seminario – e non dovete solo essere grati a don Lucio, a don Fabrizio a don Giacinto, a don Mauro e ai professori che non solo sono dei “tecnici” ma anche degli “esempi” sacerdotali.
 
Ma la vostra formazione attinge anche alla preghiera e all’offerta di tante persone che voi conoscerete solo in Paradiso. Dobbiamo cominciare a comprenderci di più come comunità, come corpo, come popolo di Dio per cui nulla più – nella Chiesa – è individuale e tutto è personale e comunitario.
 
Riconoscere la vocazione dell’altro, riconoscere la preghiera dell’altro, riconoscere i carismi dell’altro: questo appartiene alla figura del presbitero. Il presbitero non può stare da solo, chiuso nel suo piccolo recinto, di cui è responsabile, ma deve avere uno sguardo aperto sulla Chiesa particolare e sulla Chiesa universale, sul quartiere e sul mondo. E più si ha questo sguardo “cattolico” (universale) e più si intercetta chi abita accanto a me, chi vive accanto a me.
 
La concretezza cristiana nasce da uno sguardo rivolto a Cristo. E Cristo, sulla croce, ha le braccia aperte, spalancate. Più vogliamo guardare al nostro particolare, invece, è più dimentichiamo di guardare gli occhi di Cristo in croce che dice: tutto è compiuto, non ho trattenuto nulla per me. Siete chiamati a mettere i vostri piedi sulle orme di Gesù.
 
Il prete ha bisogno di conoscere la teologia, guai se non la conoscesse! Il prete ha bisogno d’essere persona d’incontro e di relazione. E guardate che la relazione e l’incontro non iniziano tanto da un atteggiamento umano, ma da un atteggiamento del cuore. Ecco allora il perdono, l’accoglienza, l’andare verso l’altro…
 
Il prete non è fatto solo di capacità pastorali, organizzative, teologiche o amministrative, il prete ha bisogno di sapere queste cose, ma il prete è sempre qualcosa di più… E se farete il prete bene, di volta in volta, scoprirete che anche nella vita del prete ci sono stagioni diverse.
 
Se farete il prete dando tutto, nei primi anni di sacerdozio, vedrete che sarà un crescendo continuo e sarete preti dentro, sarete preti di giorno e di notte, sarete preti in canonica ed all’altare, sarete preti in mezzo alla piazza, in mezzo alle persone snob e con il nasino all’insù e insieme alla povera gente. Le periferie non sono lontane da noi e sono di tanti tipi… Il prete è chiamato a stare in tante periferie.
 
E’ questo un momento di grazia, perché non siete soli; è un momento di grazia perché il Signore, in un certo senso, prende possesso di voi in modo nuovo; è un momento di grazia per la gente che vi sta intorno, che prega per voi, che fa “il tifo” per voi e che vi vuole preti, perché il sensus fidelium e il sensum fidei annusano subito dov’è il prete e dove è la “caricatura” del prete.
 
Abbiamo bisogno di riscoprire tutti la gioia del sacerdozio – in particolare chi è chiamato ad essere prete ed è chiamato a condividere con i fratelli questa grazia perché la Chiesa sia di Gesù Cristo – perché i tanti vitigni della vite ricerchino gli altri vitigni e tutti si ritrovino nell’unica fede.
 
Questa è la bellezza della Chiesa di Cristo; questa è la bellezza e la grazia che abbiamo ricevuto nel battesimo e che si esprime poi all’interno di vocazioni differenti, ma tutte relative al Signore Gesù, l’Unico Necessario.
 
Alla fine della nostra vita auguro a ciascuno di voi e a me di poter dire: Signore, abbiamo cercato di fare bene tutte le cose, siamo dei servi inutili. E, allora, vorrà dire che avremo capito che l’Unico Necessario è Lui.
 
Vi consegno, dunque, la pericope del Vangelo secondo Giovanni che è stata proclamata oggi. Tenetela sull’inginocchiatoio della cappella, tenetela nel comodino nella vostra stanza e, ogni tanto, rileggetela. E se vi capita di commuovervi, non pensate che state “rincitrullendo” ma che, forse, incominciate proprio a penetrare quella parola, attraverso la grazia del Signore Gesù.
 
Ancora grazie, in modo particolare, alle comunità parrocchiali di cui siete espressione e da cui provenite. E grazie ai vostri genitori.