Omelia del Patriarca nella S. Messa in occasione del XXVIII Capitolo generale dell’Istituto delle Figlie di S. Giuseppe del Beato Luigi Caburlotto (Lentiai / Casa di Spiritualità "Stella Maris", 19 luglio 2023)
19-07-2023

S. Messa in occasione del XXVIII Capitolo generale dell’Istituto delle Figlie di S. Giuseppe del Beato Luigi Caburlotto

(Lentiai / Casa di Spiritualità “Stella Maris”, 19 luglio 2023)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Rev. ma Madre Generale, Consigliere e Sorelle che partecipate al Capitolo dell’Istituto delle Figlie di S. Giuseppe del Beato Luigi Caburlotto,

nell’Eucaristia che stiamo celebrando chiediamo al Signore l’aiuto necessario e, soprattutto, rinnoviamo il nostro “grazie” al Signore per “tutti i suoi benefici” (cfr. Sal 102), doni e grazie che Lui ha realizzato e continua ad elargire attraverso il carisma dell’Istituto avviato dal Beato Luigi: le vostre vite donate e, poi, le opere che portate avanti, con gioia e con fatica, compresi i lavori e l’esito del ventottesimo Capitolo generale con cui ponete, con l’aiuto di Dio, le basi per una nuova semina nella vita dell’istituto.

Mi rallegro con Madre Francesca – a cui avete appena riconfermato la responsabilità di Superiora Generale – e con le Consigliere elette, che sosterranno il compito della Madre, tutte chiamate a servire le consorelle Figlie di S. Giuseppe del Caburlotto che, da sempre, sono presenza preziosa per la Chiesa che è in Venezia e non solo.

A queste sorelle dico che, dal momento in cui siete state elette, non vi appartenete più; siete dell’Istituto in un modo ancor più particolare. La guida dell’Istituto passa, infatti, attraverso lo sguardo, il pensiero, la fantasia, la creatività e la fedeltà di chi, di volta in volta, è chiamato a fare un tratto di strada attraverso il servizio delicato del governo. Si serve in tanti modi, ma quello più difficile è guidare gli altri.

Proprio a voi – chiamate al servizio del governo – e a voi tutte sorelle, chiedo di fare vostra l’immagine del “roveto ardente” della prima lettura (cfr. Es 3,1-6.9-12); sì, un roveto che arde continuamente e non si consuma e che indica la presenza di Dio – qualcosa che illumina, scalda e non viene mai meno – da riconoscere e adorare.

La vita di consacrazione e il carisma che siete chiamate a vivere ogni giorno, nei vostri compiti specifici, devono essere questo fuoco che arde e non si consuma, devono essere frammento, scintilla, vivace fiamma di questo “roveto ardente” che segna così la vostra fedeltà. I fuochi di paglia sono luminosi e intensi, ma vengono meno presto; siate luci che rimangono accese nella notte, luci che rimangono accese anche quando piove o soffia il vento e il gelo incombe.

Le motivazioni, l’ispirazione, l’esempio del Beato Luigi Caburlotto continuino ad ardere in voi, a riscaldare ed illuminare il vostro apostolato.

Il carisma ogni giorno deve ravvivarsi, attualizzarsi, purificarsi e risplendere in voi e nell’istituto, senza consumarsi ma rinnovandosi giorno per giorno come avviene per chi ha consacrato la propria vita al Dio unico, vivo e vero, che rende nuove tutte le cose, come richiama il tema di questo Capitolo generale, ispirato alle parole del capitolo 21 dell’Apocalisse.

Le parole di Gesù nel Vangelo di Matteo (Mt 11,25-27) riconducono ancora al cuore del vostro carisma ed indicano che l’attenzione ai “piccoli” è, in primo luogo, la caratteristica di Dio Padre: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11,25).

È la logica del Vangelo e di Gesù, è la logica di Betlemme e di Nazaret (e, si chiedeva Natanaele, che cosa poteva venire di buono da lì?), è la logica dei dodici pescatori incolti e che non avevano studiato la Legge. Dio inizia da lì.

Ai “piccoli” voi dedicate molto della vostra vita come congregazione religiosa: piccoli non solo di età, ma perché bisognosi di accompagnamento, di cura e di un’azione educatrice di reale formazione umana e cristiana.

E qui entrano in gioco coloro ai quali siete mandate: in primo luogo i bambini, le famiglie, le mamme, i papà, gli insegnanti e il personale che vi coadiuva a livello tecnico e amministrativo.

“Per risanare una società occorre impegnarsi nel campo educativo”: quante volte il vostro Fondatore ripeteva queste parole che accompagnava con una passione pastorale ed educativa instancabile e con il coraggio di prendere iniziativa, anche superando non pochi ostacoli. Il tutto, sempre, vissuto in obbedienza a Dio e al ministero sacerdotale al quale si era completamente donato e, ancora, secondo un’attenta e continua osservazione dei bisogni e delle esigenze profonde delle persone, in particolare quelle più umili e povere: i “piccoli”, appunto.

Data l’urgenza del tema ho ritenuto necessario dedicare all’educazione l’omelia tenuta in occasione della grande festa veneziana del Redentore, celebrata domenica scorsa.

In tale circostanza ho cercato di indicare alcune coordinate che non possono mancare, soprattutto in questi tempi che mostrano come in particolare i più giovani abbiano bisogno di un saggio accompagnamento.

Tali coordinate si ritrovano nel carisma del vostro istituto e nell’ispirazione del beato Luigi Caburlotto: il non voler lasciare indietro nessuno ed avere una cura particolare per chi fa più fatica e rischia di perdersi; l’assoluto valore della figura dell’educatore chiamato innanzitutto ad essere una presenza premurosa – ossia che sa dire all’altro: “ho tempo per te”, “mi stai a cuore” -; la capacità di educare con saggezza, cordialità, pazienza e la giusta autorevolezza che rende possibile l’esercizio dell’autorità; qui sembra di riascoltare il beato Luigi quando elenca le virtù di ogni buon educatore: “Dolcezza, discrezione, perseveranza… pazienza” .

Il Fondatore era solito ricordare alle sue suore: “Solo carità e dolcezza conquistano il cuore e persuadono al bene… Se l’educatore associa dolcezza e autorevolezza, non serve il castigo”.  “Gli educatori – sono ancora parole del Caburlotto di un’attualità formidabile – devono vedere tutto, correggere poco, castigare pochissimo… devono propriamente vestirsi di Gesù Cristo e pensare che si addossano non solo la cura del corpo, ma bensì quella dell’anima, cosa assai delicata…”.

Educare, lo ricordavo domenica scorsa, non è mai stata cosa semplice; oggi, però, nel tempo dei media, della rete e delle conquiste della tecnoscienza è compito urgentissimo. Gli adolescenti, oggi, sono depositari di un potere che, qualche anno fa, ai loro coetanei era sconosciuto. Hanno bisogno, quindi, d’essere affiancati da educatori (genitori, insegnanti, sacerdoti, catechisti, religiose ecc.) preparati, all’altezza. Gli adolescenti possono, facilmente, perdere di vista i loro limiti, le proporzioni e la giusta prospettiva giungendo ad ingigantire il proprio “io” confondendo il virtuale col reale, i desideri con i diritti.

Nella scelta educativa è, infine, essenziale il rapporto libertà/ responsabilità; rapporto che chiama in causa tutti, sia gli educatori sia chi è educato: giovani e adulti, studenti e insegnanti, figli e genitori.

Non basta fare le cose. Il Signore, alla fine della vita, ci chiederà come le abbiamo fatte. E il “come” fa la differenza. L’obbedienza, ad esempio, può essere qualcosa di impossibile ma può essere anche qualcosa di naturale, spiritualmente parlando. Non è l’obbedienza della caserma; per il cristiano è l’obbedienza di Cristo al Padre.

Il riferimento alla libertà e alla responsabilità è fondamentale nell’alleanza educativa soprattutto quando – come oggi spesso succede – volontà, ragione, fede incerte o deboli non sono in grado di esprimere dei “sì” decisi e compiuti, mentre l’amore si misura proprio sulla donazione personale, in un’ottica di sacrificio. L’amore non è appagamento. Altrimenti ci illudiamo e illudiamo e formiamo persone che credono di amare e amarsi ma, in realtà, cercano solo forme di gratificazione e appagamento.

Amare, come il prendersi cura, significa gioire dell’altro che cresce e che non è mia proprietà. Quanto è importante, oggi, educare un bambino, una bambina, in modo che siano capaci di relazioni libere, rispettose, buone!

Educare è sempre un fatto di libertà. Si educa alla libertà, accettandone il rischio. Educare è sempre segno di responsabilità e invito alla responsabilità.

Per una religiosa, in modo particolare, educare è poi indicare la strada verso l’incontro decisivo con Gesù ed è essenziale educare alla preghiera, ossia al senso di Dio e alla sua presenza nella vita delle persone.

Oggi il futuro della società si gioca sull’educazione al Vangelo. È importante perciò nel vostro ambito anche la formazione delle juniores, delle novizie e, prima ancora, delle aspiranti. Non ci si improvvisa consacrata.

C’è da fare un cammino che non è mai scontato e che arriva fino alla fine della vita. La formazione iniziale è fondamentale; ciò che non viene fatto lì, difficilmente si recupererà. Ma la formazione è permanente: l’ultimo giorno della mia vita mi alzo e devo essere consapevole che sono ancora una persona che deve imparare. Ricordate che gli ultimi 18 mesi di vita di S. Teresina di Lisieux sono stati il suo compimento cristiano, religioso, mistico.

Il Vangelo di oggi è importante, allora, perché Gesù ci dice che alcune cose, le più importanti, sono rivelate ai semplici e più avanti dice anche: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro” (Mt 11,28). Tutti attraversiamo dei momenti di fatica e di oppressione e questo avviene proprio perché siamo rimasti fedeli; chi non è mai affaticato e oppresso si domandi il perché, o è un santo con la S maiuscola oppure… Quei momenti di fatica e di stanchezza sono proprio quei momenti in cui il rapporto personale con Dio, nella preghiera, si realizza veramente in pienezza.

Guai se io – prete, suora, laico/a di 50/60/70 anni – prego come quando di anni ne avevo 20; vuol dire che non ho mai pregato perché la preghiera è quella necessità che nasce e cresce dall’intimità con il Signore, quando si ha qualcosa da condividere con Lui e abbiamo bisogno di parlarne con Lui. E invece è più facile parlarne con qualcun altro, in genere con chi ci dà ragione e i consigli li chiediamo sempre a chi sappiamo già che ce ne darà di un determinato tipo e non di un altro…

Quando siamo affaticati ed oppressi la strada giusta è il tabernacolo, avendo il coraggio di superare il momento del silenzio e della freddezza. La preghiera, molte volte, ha bisogno di un rodaggio, c’è bisogno di entrare nella preghiera.

Il Salmo 96 ci fa capire che il Signore abita anche l’oscurità della caligine ed è proprio questo che ci ricorda S. Teresa d’Avila (dottore della Chiesa non genericamente ma nella preghiera) quando afferma che il rischio della preghiera è che essa non raggiunga il centro della nostra anima – dove abita il Signore – ma che si fermi piuttosto a livelli psicologici differenti, che non sono ancora l’incontro con il Signore nella preghiera.

Chi prega vede le cose diversamente, chi prega fa le cose diversamente, chi prega gioisce e vive anche il momento della sofferenza diversamente. La preghiera è il nostro atto di fede esplicitato nel gesto dell’affidarci al Signore.

Chiediamo a Lui che il nuovo governo di questo Istituto sia costituito soprattutto da persone che vogliono pregare, che amano la preghiera e desiderano affrontare ogni questione con il Signore nella preghiera personale e comunitaria.

Anche qui il vostro Fondatore è d’esempio con il suo amore e la sua piena fedeltà alla preghiera, elemento quotidiano necessario per sostenere la sua ed oggi la vostra vocazione di Figlie di S. Giuseppe del Caburlotto.

Vi accompagni sempre – nei giorni conclusivi del Capitolo e nel prossimo sessennio – il vostro Beato Fondatore. Vi protegga il glorioso patriarca san Giuseppe, umile, silenzioso, coraggioso, presente ovunque dove richiesto, capace di custodire e far crescere in umanità lo stesso Signore Gesù.