S. Messa in occasione del Convegno Nazionale
degli Incaricati diocesani del Sovvenire
(Venezia, Basilica Cattedrale di San Marco – 8 maggio 2018)
Omelia del Patriarca di Venezia Francesco Moraglia
Cari confratelli nell’episcopato e amici del Sovvenire,
questa splendida basilica, intitolata all’evangelista e martire Marco, vi accoglie con gioia per celebrare l’eucaristia nella quale, in questo tempo pasquale, risuona con particolare forza l’annuncio di Gesù risorto.
La Pasqua è donata anche a noi, oggi, suoi discepoli che siamo chiamati a testimoniarla come un nuovo inizio; la Pasqua è, infatti, germe di novità da custodire e vivere personalmente e comunitariamente.
È la novità della vita in Cristo che scaturisce dal battesimo e che genera – se acconsentiamo – un cambiamento di vita e suscita gioia tra le vicende anche tumultuose di ogni giorno, come attestano le pagine degli Atti degli Apostoli nelle liturgie del tempo pasquale.
Il Vangelo di Giovanni, appena proclamato, ci ha ricordato questa parola di Gesù: “…è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito” (Gv 16,7).
La buona notizia di Pasqua è che la Chiesa e il mondo, a cui la Chiesa è mandata, possono contare sul dono dello Spirito e sulla grazia che tutto rinnova e spazza via ogni “tristezza del cuore” portandovi la gioia.
Spazzare via la “tristezza” non significa che non si abbiano sofferenze, che non si vivano prove, che non si subiscano ingiustizie o discriminazioni; vuol dire, piuttosto, che l’ultima parola su di esse sarà quella di Dio, detta da Gesù, con carità e verità. Tale è la certezza del discepolo e ciò gli basta!
La vita spirituale ha due protagonisti – Dio e noi – e si svolge rispettando i tempi e i modi della nostra umanità;dobbiamo lottare con il nostro “uomo vecchio” e dire il nostro sì alla vita di grazia a partire dalla nostra storia personale e quella delle comunità a cui apparteniamo.
Ma la grazia di Dio non è “indebolita” dalle fatiche e durezze degli uomini; infatti lo Spirito, con la sua forza liberante, ricrea e rinnova. Lo Spirito sempre precede e stupisce i discepoli che non si capacitano di tale novità che li supera da ogni parte.
Lo Spirito opera nella Chiesa e chiede di lasciarci condurre da Lui, di fidarci di Lui, di non pretendere garanzie umane, di dire il nostro sì senza concordarne prima il prezzo, perdonare senza attendere. La Pentecoste, insomma, è un evento continuo a cui dobbiamo sempre aprirci…
Le vicende pasquali dei primi tempi della Chiesa ed una effettiva riscoperta dei doni (e compiti) che, a partire dal battesimo, toccano ogni cristiano, possono illuminare anche il lavoro – prezioso e non facile – che voi, Incaricati del Sovvenire, svolgete per la Chiesa italiana.
Mentre ricordiamo il trentennale del documento “Sovvenire alle necessità della Chiesa. Corresponsabilità e partecipazione dei fedeli” avvertiamo la necessità di guardare alla prassi della Chiesa apostolica.
Sempre più dobbiamo discernere la realtà viva del popolo di Dio, riscoprendo il significato del sacerdozio comune, valorizzando al meglio il dono del battesimo: tutti i fedeli sono chiamati a corresponsabilità come chi è chiamato ad annunciare la Parola e, quindi, a sostenere l’opera ecclesiale di evangelizzazione che ne deriva.
Ogni battezzato è, nella sua persona, termine di una chiamata e di una missione, ponendosi a servizio della comunità attraverso un “sì” che – come quello di Maria di Nazareth – gli consente di vivere la vocazione battesimale.
Si tratta, anche in questo contesto, di porre le basi per una rinnovata vita di Chiesa e un nuovo impegno missionario che portino a “deprivatizzare“ il battesimo, svincolandolo da una logica che lo pensa in termini di passività nei confronti del ministero ordinato. Dobbiamo inserire il battezzato nel mistero della Chiesa perché lo viva in pienezza.
È questa vita battesimale e pasquale che chiede d’esprimersi in una fede, in una speranza, in un amore capaci d’incontrare l’uomo concreto che ha un’anima ma anche un corpo, che non è del mondo ma è nel mondo.
L’intera comunità ecclesiale – in ogni suo membro – è poi chiamata a manifestare parole, azioni, scelte private e pubbliche che siano espressioni coerenti della vita battesimale, così da rendere visibile il Cristo nel suo corpo vivente che è la Chiesa, ossia noi. E ogni gesto, ogni servizio, ogni piccolo o grande segno reso a Dio, alla comunità e a tutti gli uomini diventa, allora, traduzione concreta del vero stile battesimale.
Operando non solo in termini di collaborazione ma di corresponsabilità si potrà realizzare, in una logica sinodale, quella piena comunione in cui tutti sono chiamati a riconoscere e valorizzare l’altrui vocazione, consapevoli d’esser tutti “portati” da Gesù Cristo, unico Signore, unico Maestro, unico Salvatore.
Come il già ricordato documento del 1988 ci sollecitava a fare, anche oggi, in un tempo ancor più complesso, siamo invitati a ridestare quell’ “orizzonte di libertà e di fierezza apostolica” che ci farà cercare e trovare le modalità più opportune e adeguate nonché “lo stile giusto nel vivere il rapporto con le nostre comunità anche in questa delicata materia (del Sovvenire). Avremo il coraggio di chiedere ai fedeli con franchezza evangelica, ma soprattutto la sapienza di educare con la testimonianza della nostra vita, prima che con le parole e le disposizioni della Chiesa…” (Documento dell’Episcopato italiano “Sovvenire alle necessità della Chiesa. Corresponsabilità e partecipazione dei fedeli”, n. 21).
E accadrà che riusciremo di nuovo “a portare fin nella concretezza delle cose la logica e le esigenze della comunione, grazie alla libertà per la quale Cristo ci ha riscattati e nella quale il suo Spirito ci sostiene, per far sì che, coniugando con intelligenza di fede la sobria semplicità e l’avvedutezza evangelica (…), la Chiesa apra sempre più la strada alla Parola della salvezza, che vuol raggiungere ogni uomo e ogni donna anche in questa nostra complessa e distratta società” (Documento dell’Episcopato italiano “Sovvenire alle necessità della Chiesa. Corresponsabilità e partecipazione dei fedeli”, n. 25).
Continuiamo ora la celebrazione e chiediamo al Signore di crescere in un discepolato che – guardando all’imitazione di Cristo e alla comunità apostolica – si impegni in uno stile pastorale che riscopra la logica del battesimo, quella del chicco di grano che morendo porta frutto.
Per questo chiediamo di crescere, attraverso la preghiera, nella fede, nella carità pastorale e, non da ultimo, in una fraternità fatta di partecipazione e corresponsabilità.