Omelia del Patriarca nella S. Messa “in Coena Domini” (Venezia - Basilica Cattedrale di San Marco, 29 marzo 2018)
29-03-2018

S. Messa “in Coena Domini”

(Venezia – Basilica Cattedrale di San Marco, 29 marzo 2018)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

 

Cari fratelli e sorelle,

inizia con questa celebrazione la Pasqua del Signore. E la nostra attenzione, all’avvio del Triduo Sacro, è posta sul gesto eucaristico preparato nella prima lettura dall’antica Pasqua ebraica dove la cultura e i culti – legati ai ritmi naturali di un popolo nomade ma già stanziale – si traducono nel gesto dell’immolazione dell’agnello e nel cibarsi delle erbe amare, nel compiere questo gesto con il bastone in mano e i fianchi cinti, pronti a partire.

L’agnello, i greggi, le capre, le pecore erano la ricchezza e la vita del popolo. E il sacrificio è offrire le primizie, le cose migliori, i capi più forti – deve essere, infatti, maschio e nato nell’anno – al Signore per dire con questo gesto che Lui – Dio – è il Primo, è il più importante, è la vera ricchezza di quel popolo, di quegli uomini, di quelle donne, di quei bambini.

L’agnello – che è ricchezza ed espressione dell’identità di quel popolo – viene offerto e dato a Dio come primizia. Su questo dato culturale e creaturale si innesta poi la storia sacra. Questo gesto verrà quindi ripetuto in modo unico – da quella volta in poi per sempre – dal popolo d’Israele: è la liberazione dall’Egitto.

Laddove la violenza, laddove la sopraffazione, laddove l’impossibilità di vivere erano divenute legge e norma quotidiana, lì Israele si rivolge al suo Dio. E quel gesto pastorale-agricolo diventa così il segno della protezione di Dio. Pasqua vuol dire passaggio e forse l’etimologia primitiva diceva addirittura salto, danza: Dio “danza” con il suo popolo, Dio salva il suo popolo portandolo fuori dalla fonderia dell’Egitto, attraverso il segno del sangue. Quel sangue – posto sugli stipiti delle porte – diventa il segno perché l’angelo sterminatore non entri in quella casa.

Nel Nuovo Testamento, quando Gesù appare ed entra nella vita pubblica, abbiamo il Precursore – Giovanni Battista – che, in quanto compimento dei profeti, può chiamare e indicare così Gesù: «Ecco l’agnello di Dio!» (Gv 1,36).

La Pasqua si compie non più nel sangue di un capro o di un agnello ma nel sangue dell’umanità di Cristo. È nel sangue dell’umanità di Cristo che inizia la nuova umanità, la vera umanità, quell’umanità che Dio aveva pensato come l‘unica umanità. Ma quegli uomini liberi si erano allontanati dal progetto di Dio…

Finalmente appare l’umanità del Verbo, appare il Cristo, appare la prima umanità secondo il cuore e la mente di Dio: l’agnello immolato è ora la vita di Cristo data per noi.

E allora passiamo al Vangelo: con il suo genere letterario simbolico, l’evangelista Giovanni ci dice il dramma di quello che avviene nel Cenacolo. Gesù è il Servo dell’umanità, prende un asciugamano, se lo cinge ai fianchi e incomincia a lavare i piedi sporchi degli uomini.

Questo gesto precede e spiega la frazione del pane: l’eucaristia, il pane spezzato, il vino effuso, simboli del corpo e del sangue. Per l’ebreo il corpo è tutta la persona e l’uomo è un corpo spiritualizzato, un’anima corporea. Per l’ebreo il corpo indicava la solidarietà tra le generazioni, il rapporto e l’incontro con gli altri che avviene sempre attraverso la corporeità. Per l’ebreo il sangue era la vita.

L’eucaristia è la presenza di Cristo che mi incontra in modo reale; è la vita di Cristo, contenuta in quel sangue, che diventa la vita di chi assume nella fede quel sangue. È da notare come nella pericope odierna del Vangelo secondo Giovanni torni il tema della “comprensione”: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo», dice Gesù a Pietro (Gv 13,6). E, terminata la lavanda dei piedi, Gesù pone una domanda: «Capite quello che ho fatto per voi?» (Gv 13,12).  Se lo farete tra voi – dice loro – sarete felici, sarete beati.

L’eucaristia è il simbolo, il segno, la realtà di quel dono fraterno che il Figlio di Dio fa all’umanità rendendola l’umanità del Padre, l’umanità pensata dal Padre. Pensiamo alla teologia di san Paolo: il primo Adamo, il secondo Adamo.

Iniziamo allora i riti solenni ed austeri ma gioiosi – perché grati a Dio – del Triduo Santo mettendo al centro della nostra vita una domanda: ma io – all’età a cui sono giunto e dopo tutto quello che ho fatto – che comprensione ho dell’eucaristia? Che posto occupa nella mia vita? Come vivo la spiritualità eucaristica che nasce dalla retta fede eucaristica?

All’inizio di questa celebrazione pasquale lasciamoci “prendere” dalla lavanda dei piedi. Non come rito, ma come scelta di vita.