Omelia del Patriarca nella S. Messa durante la solennità del patrono San Marco Evangelista (Venezia, Basilica Patriarcale di San Marco - 25 aprile 2019)
25-04-2019

S. Messa nella solennità del patrono San Marco Evangelista

(Venezia, Basilica Patriarcale di San Marco – 25 aprile 2019)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Cari fratelle e sorelle, stimate autorità, cari confratelli nel sacerdozio,

la preghiera della Colletta ci fa comprendere come l’Evangelista Marco – attraverso la predicazione apostolica – abbia voluto trasmettere alla Chiesa il Vangelo affinché i discepoli di ogni epoca (anche noi), frequentando tale scuola, potessero incontrare personalmente Gesù Cristo e rimanergli fedeli. La Colletta ricorda anche che l’Evangelista Marco è dato, in modo particolare, alle genti venete.

Oggi a ricordarci in modo drammatico quanto siano impegnative le parole del Vangelo ci sono le immagini del sacrificio di tanti fratelli e sorelle di fede che, insieme ad altre persone, hanno trovato la morte negli attentati che hanno insanguinato lo Sri Lanka – e in modo particolare alcune sue chiese – proprio nel giorno di Pasqua.

Non posso dimenticare, sempre in questo contesto, la testimonianza che – appena venti giorni fa – ha reso durante la nostra Via Crucis diocesana il cardinale Joseph Coutts, arcivescovo metropolita di Karachi in Pakistan (altra terra spesso martoriata da estremismi e terrorismi). «Noi cristiani – diceva – siamo chiamati ad essere testimoni di una Chiesa sofferente… Prima potevamo anche noi fare una Via Crucis e delle processioni per le strade, ma dopo l’11 settembre 2001 tutta la nostra vita è diventata una specie di Via Crucis. Sì, è cambiato tutto. La vita normale è diventata una Via Crucis. Da quel momento… ci sono stati tanti attacchi di estremisti a modo di kamikaze. E ora viviamo in questa tensione: quando e dove sarà il prossimo attacco?».

Tali vicende non possono lasciare indifferenti noi, figli spirituali dell’Evangelista Marco e abitanti di una città – Venezia – che da sempre è sinonimo di incontro e dialogo con tutto il mondo, chiamati a seguire più fedelmente e seriamente il Cristo Signore e, quindi, chiamati a costruire ogni giorno una convivenza sempre più cordiale e pacifica, ordinata al bene, alla giustizia e alla verità. E questo richiede coraggio.

Marco ha – come fonte privilegiata per il suo Vangelo – la predicazione dell’apostolo Pietro, il primo degli apostoli, la roccia sulla quale Gesù ha fondato la sua Chiesa (cfr. Mt 16,13-23).

Pietro è l’apostolo a cui Gesù domanda se lo ama più degli altri e al quale affida il suo gregge preannunciando, a chi aveva rinnegato, che gli avrebbe reso la testimonianza suprema del martirio: «Gli disse per la terza volta: “Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?”. Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: “Mi vuoi bene?”, e gli disse: “Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene”. Gli rispose Gesù: “Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi”. Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio…. E aggiunse: “Seguimi”» (Gv 21,17-19).

Pietro, nella sua prima lettera, si riferisce a Marco in modo molto familiare e lo chiama «figlio mio» (1 Pt 5, 13). Tramite tale familiarità appare il legame che l’Evangelista ha con Gesù anche se – come sappiamo – non faceva parte della cerchia dei Dodici.

Il Vangelo secondo Marco ci introduce nelle profondità del mistero di Cristo non da soli o contro qualcuno ma attraverso un cammino ecclesiale e nella comunione ecclesiale. La festa dell’Evangelista sia, quindi, occasione per entrare nella nostra vocazione cristiana in un rapporto più vivo con Gesù, come fu per altri prima di noi.

Le testimonianze dei Vangeli sono, ad un tempo, storiche e teologiche e danno degli eventi una visione di fede che va oltre al criterio della pura verificabilità delle scienze sperimentali.

I Vangeli non sono verbali o trascrizioni di puri fatti; essi contengono piuttosto la “fede” della Chiesa primitiva, i racconti di chi ha visto (cfr. At 10,39-42) e vuole “trasmettere” rimanendo aderente ai fatti ma anche considerando gli eventi come salvifici; sono, in altre parole, la testimonianza che apostoli e discepoli hanno reso sugli eventi di Gesù alla luce della Pasqua (il sepolcro vuoto e l’incontro con Gesù) e sotto l’azione dello Spirito Santo.

Il genere letterario “Vangelo” è originale e non attestato prima del cristianesimo, una creazione di Marco. Il Vangelo di Marco – redatto poco prima dell’anno 70 d. C. – va considerato, tra i canonici, come quello più antico; Matteo e Luca conoscono Marco mentre per Giovanni, redatto attorno al 95/100, il discorso è differente; non sfugge, comunque, una coincidenza fra Marco e Giovanni.

La coincidenza riguarda il rapporto fra Gesù e i discepoli. Marco, infatti, dice che Gesù “…salì sul monte, chiamò a sé quelli che voleva ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici – che chiamò apostoli -, perché stessero con lui e per mandarli a predicare…” (Mc 3,13-14). Giovanni dice la stessa cosa narrando il primo incontro che, con Andrea, ebbe con Gesù; siamo sulla riva del Giordano dove Giovanni battezza: «…seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: “Che cosa cercate?”. Gli risposero: “Rabbì – che, tradotto, significa Maestro -, dove dimori?”. Disse loro: “Venite e vedrete”. Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio» (Gv 1,37-39).

Il Vangelo di Marco e quello di Giovanni – scritti a molti anni di distanza, in contesti diversi, da autori differenti, per comunità con storie e culture diverse – qui dicono la stessa cosa, ossia che i discepoli, prima di tutto, devono stare con Lui e abitare in Lui. E così allo “stare con Lui“ di Marco corrisponde il “dimorare” e il “rimanere con Lui” di Giovanni.

Questa è la situazione del discepolo che si caratterizza per il rapporto personale col Signore. I discepoli, infatti, lasciano tutto per Gesù: case, fratelli, sorelle, padre, madre, figli, campi… (cfr. Mt 19,29). Per i discepoli, quindi, è essenziale “stare” col Signore, “dimorare”, “rimanere” con Lui.

Un riscontro, di segno opposto, l’abbiamo nell’episodio del giovane ricco che, invitato da Gesù a lasciare tutto e seguirlo, preferisce “dimorare”, “stare” e “rimanere” con le sue tante ricchezze (cfr. Mt 19,16-22). Così Marco ribadisce che Gesù non è una ideologia o una scelta etica; Gesù non lo si impara come una lezione, ma lo si incontra personalmente. E quando si lascia tutto e lo si segue, lo si fa per “stare”, “dimorare”, “rimanere” con Lui. Questo è l’inizio del vero discepolato e questo dobbiamo riscoprire: il rapporto personale con Gesù.

Marco dice quindi con forza – come Giovanni – che il discepolo, prima d’essere colui che “fa” qualcosa, è colui che “sta” col Signore, “rimane” e “dimora” con Lui. Il discepolo deve passare da una situazione in cui è ancora “esterno” rispetto al Vangelo ad una in cui entra a far parte del mistero di Dio.

Si tratta, allora, di andare verso il Signore Gesù; la conversione è evento permanente nella vita e riguarda il nostro modo di essere o non essere ancora pienamente evangelici. Si tratta, poi, di prendere le distanze da “stili” troppo umani, frutto di abitudini che sostituiscono l’ermeneutica che è Gesù – “via, verità e vita” (Gv 14,6) – con ermeneutiche di tipo psicologico, sociologico e politico che esprimono un Vangelo più “aggiornato” e accetto al mondo ma che in realtà, costituiscono veri cedimenti, perché distolgono i discepoli dal Signore Gesù. È infatti Gesù – che deve rimanere – il criterio di discernimento per i discepoli e la Chiesa di ogni tempo.

Come abbiamo visto, nella chiamata, il discepolo è invitato non a guardare Gesù dall’esterno ma ad entrare nel suo mistero. Il centurione ai piedi della croce (cfr. Mc 15,39) entra nel mistero di Gesù non con artifizi umani, ma lasciandosi guidare dagli eventi che dicono chi è Gesù; così per lui e per chi si “apre” alla grazia, Gesù non è un’idea o una scelta etica su cui si è chiamati a dire la propria opinione, ma diventa il Salvatore di ogni uomo.

Se Gesù fosse una teoria o una decisione etica, sarebbe qualcosa di solo umano… No, Gesù è l’umanità di Dio, qualcosa che sfugge alle possibilità dell’uomo. Gesù Cristo, ovvero il Vangelo, è Colui al quale ci si avvicina con la propria storia, le proprie ferite, la propria fragile volontà di bene.

Ascoltiamo, ancora, come Marco narra la conversione del centurione: «… Gesù, dando un forte grido, spirò. Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo. Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!”» (Mc 15, 37-39). Un pagano, sì, uno straniero, un militare che non conosceva la legge, non apparteneva all’Alleanza e non praticava il culto ci sorprende e stupisce.

Nella vita di Francesco di Sales mi ha sempre fatto riflettere quanto affermava il coltissimo teologo – e futuro cardinale – Jacques du Perron: “Se si tratta di convincere i calvinisti, io forse potrei riuscirci; ma se si tratta di convertirli allora mandateli al monsignore di Ginevra”. Il “monsignore di Ginevra” è Francesco di Sales, santo e dotto ma soprattutto uomo di infinita carità. Ciò che conta è la santità; l’Evangelista Marco, non a caso, all’inizio del suo Vangelo pone la figura di Giovanni Battista, il più grande tra i nati di donna.

Tutto nasce da discepoli che hanno un cuore desideroso di conversione e disposti a percorrere un cammino che conduca al cuore stesso del Vangelo attraverso la conversione; ciò che viene prima di tutto è porre la propria vita a servizio del Regno, ossia al servizio di Gesù.

Marco, col suo Vangelo, afferma con forza che l’unico atteggiamento per incontrare davvero Gesù è entrare nel suo mistero e “abitarvi”. Non a caso, le prime parole del Vangelo di Marco ne costituiscono non solo l’inizio ma ne sono già il centro, il vertice e il culmine: “Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio” (Mc 1,1).

Ringraziamo di essere legati in modo particolare, come genti venete, a questo grande Evangelista. Buona festa a tutti!