S. Messa durante il pellegrinaggio mariano presso la parrocchia di San Michele Arcangelo a Quarto d’Altino
(Quarto d’Altino, 9 novembre 2019)
Omelia del Patriarca Francesco Moraglia
Cari confratelli, seminaristi, fedeli, vorrei lasciarvi alcuni pensieri in modo tale che, uscendo da questa celebrazione eucaristica, abbiate del materiale su cui riflettere. La liturgia è la prima catechesi ed è tale in tutti i momenti in cui l’azione liturgica si dispiega; certamente l’omelia – e lo dico guardando i miei confratelli – è un momento privilegiato nella catechesi liturgica. Dovremmo, inoltre, ricordare quel versetto di Matteo in cui si legge: dovrete rendere conto a Dio di ogni parola inutile che avete detto, non di ogni parola “falsa” ma di ogni parola “inutile”.
Il tempo dell’omelia è un tempo in cui noi preti siamo chiamati ad esercitare il nostro servizio alla comunità; l’omelia è fatta sì di preparazione “remota”, anche teologica, ma è soprattutto il risultato della preghiera e della meditazione quotidiana del prete. Si percepisce se un sacerdote ha letto un “predicabile” (libri che abbondano e sono anche utili) e ripetere qualcosa che si è letto come fosse una lezione non è ancora esercitare il ministero della Parola. La Parola è qualche cosa che – prima di tutto – deve essere amata, meditata e – direi – considerata importante.
Se noi la domenica andiamo in chiesa e, come tutti, siamo un po’ presi da tanti pensieri – perché la vita molte volte ci pressa, pensiamo ai genitori, alle famiglie, al lavoro, ai figli, ai genitori anziani magari da prendersi a cuore e da accudire – ed allora succede che, mentre la parola di Dio viene proclamata, noi pensiamo ad altro; è umano! Dobbiamo evitare questo, ma è anche umano e potrebbe anche non essere colpevole; bisognerebbe però che qualche sacerdote ci aiutasse anche a capire qual è il modo giusto di arrivare in chiesa per poter ascoltare la parola di Dio.
Una grande tradizione monastica dice che i monaci, prima di entrare in chiesa – vengono dalla vigna, dalla cantina, dall’orto, dalla biblioteca, dalla cucina, dai vari lavori che ci sono in abbazia -, si fermano alcuni minuti fuori dalla chiesa; è la cosiddetta “stazione”: lascio decantare tante cose e adesso vado ad ascoltare non una delle tante parole ma quella Parola che – se io ascolto con fede, lasciandomi convertire da quella Parola – può cambiare la mia vita.
La prima riflessione che voglio lasciarvi è questa: pensiamo al nostro modo di vivere la liturgia, di ascoltare la parola di Dio e – per noi preti – al nostro modo di annunciare la parola di Dio. Dopo sei mesi o un anno di messa, più o meno sappiamo tutti che cosa dire, ma bisogna vedere se quello che diciamo sarebbe quello che Gesù, in quella circostanza, direbbe. Ecco la preparazione del prete alla messa e all’omelia!
Il secondo pensiero è strutturato in questo modo: oggi questo pellegrinaggio si caratterizza per troppi temi e io avrei troppe cose da dirvi; dovrei soffermarmi su quella che ho enunciato prima e svolgerla… invece vi faccio presente, ad esempio, che è il pellegrinaggio del sabato e quindi bisognerebbe parlare della Madonna. Vi faccio poi presente che oggi è la festa della dedicazione della chiesa madre di tutte la chiese del mondo: la cattedrale del Papa, San Giovanni in Laterano. E le letture parlano, appunto, della chiesa.
Oggi, inoltre, è una giornata del mese di novembre e una settimana fa c’è stata la commemorazione dei fedeli defunti; questo mese è consegnato a noi fedeli dalla Chiesa per ricordare con gratitudine i nostri morti e per restituire qualcosa a delle persone che ci hanno fatto del bene attraverso la preghiera e la celebrazione eucaristica.
Mi fermo sulle letture molto brevemente. Io ero venuto qualche anno fa in questa chiesa; era sporca e il parroco mi ha detto che bisognava ripulirla e voi certamente ricordate che, per un certo periodo, ci sono state le impalcature che hanno caratterizzato questa nostra chiesa che, adesso, è pulita e in ordine.
L’edificio chiesa è solo un simbolo, è un segno; noi uomini abbiano bisogno di segni tanto che una stretta di mano non è solo un gesto fisico ma indica qualcosa, magari un sorriso. E quando io incontro una persona e chiedo come va, è chiaro che quella non incomincia a dire tutte le cose che la angustiano, mi dice bene e non dice una bugia ma è un segno di vicinanza gli uni agli altri. Noi uomini abbiamo bisogno dei segni e la chiesa è un segno. Un segno indica qualcosa, ecco la prima lettura (Ez 47,1-2.8-9.12): l’acqua che esce dall’altare e dove quell’acqua arriva sana; il battesimo, quell’acqua che dà la vita, quell’acqua che è segno – nel Nuovo Testamento – dello Spirito Santo.
Quando abbiamo dei crucci, delle difficoltà – qualcuno di voi mi ha detto di ricordarmi nella preghiera di qualche persona cara e qualcuno di voi, qui presente, ha avuto dei lutti recenti -, quando abbiamo delle domande, delle sofferenze, dei progetti, dei desideri… invece di parlare con noi stessi, perché non veniamo un po’ in chiesa e ci mettiamo vicino all’altare ed incominciamo a pregare? E allora l’altare, da segno, diventa la realtà perché noi sappiamo che vicino all’altare c’è il tabernacolo, c’è Gesù.
Sarebbe una cosa molto triste e un dolore grosso dire al termine dei nsotri giorni: io ho dato importanza nella mia vita a cose che non contavano nulla mentre a quelle due o tre cose che avrebbero potuto cambiare la mia vita – e rendermi diverso, dandomi uno sguardo diverso sui miei figli, su mia suocera, sui miei colleghi di lavoro, sul parroco ecc- – ebbene proprio quelle cose che mi avrebbero aiutato a convertirmi io non le ho fatte!
Vi ho detto alcune cose molto semplici: quando entriamo in chiesa prepariamoci ad ascoltare questaa Parola come la Parola che può risolvere i problemi della nostra vita; quando entriamo in chiesa entriamo in un edificio che è segno di una realtà, la realtà del Signore. Vi ho detto anche un’altra cosa: quante “offerte” ci sono nella giornata di oggi – la Madonna, il ricordo dei defunti, la consacrazione della chiesa del Laterano -, quante grazie il Signore ci fa e noi abbiamo così poco tempo per impossessarci di quelle grazie del Signore!
Uscendo di chiesa, allora, diciamo: Signore, aiutami a vedere le cose come le vedi Tu, ad ascoltare meglio la Tua Parola e a ricordare le sofferenze degli altri – che, spesso, ridimensionano le mie -, aiutami a ricordare che dopo questa vita c’è un’altra vita e sarebbe triste dire che abbiamo corso tanto, ma nella direzione sbagliata. Chi corre tanto, nella direzione sbagliata, si allontana più velocemente degli altri dal punto in cui dovrebbe arrivare. S.