S. Messa durante il pellegrinaggio mariano
nelle parrocchie della collaborazione pastorale di Viale S. Marco
(Mestre, 2 dicembre 2017)
Omelia del Patriarca Francesco Moraglia
Di fronte alla lettura di un Vangelo come questo (Mt 1, 1-17) sale più chiara la domanda che io mi rivolgo e vi rivolgo: quando ascoltiamo proclamare la parola di Dio che cosa pensiamo e che cosa portiamo via?
Se riflettiamo un attimo che quella non è una parola ma è “la” Parola, dovremmo ascoltarla come l’assetato beve alla fontana, come l’affamato mangia il pane; quella Parola, se ascoltata prima di tutto e se ascoltata con fede, può diventare una luce nella mia vita.
Questo Vangelo di Matteo, piuttosto stringato, verrebbe quasi la voglia di chiedersi perché lo si legge con quella sfilza di nomi… non si potrebbe leggere semplicemente l’episodio della nascita di Gesù?
In questi versetti del primo capitolo del Vangelo di Matteo c’è tutta la sintesi della storia della salvezza ed è come un invito: vuoi capire Gesù nella tua vita? Vuoi che Gesù diventi veramente la ricchezza della tua vita? Allora devi capire la sua storia.
Questo discorso è bene farcelo all’inizio dell’anno liturgico: domani, infatti, inizia l’Avvento che – oltre ad essere un tempo liturgico importante – è anche la dimensione costante della nostra vita.
Il cristiano è colui che attende il Signore; se questo non è vero nella nostra vita, dobbiamo riflettere sul nostro cristianesimo… Se noi siamo sazi e appagati, se non ci manca nulla, se siamo solamente attenti a vedere il presente e quello che il presente ci può dare, la prospettiva non è tanto felice perché la vita è quello che è, ha i suoi momenti, ci si prepara, si lavora, si costruisce la famiglia, inizia il declino… Il cristiano è colui che attende il meglio, cioè il Signore.
Il tempo di Avvento, tra le varie cose, ci ricorda proprio questo: hai smesso di attendere tu? Guardi solo il momento presente? La tua felicità o infelicità, una tua giornata serena o tribolata, è legata unicamente alla dimensione del vivere il momento presente oppure….? Ecco la parola di Dio: Dio è eterno e, per noi uomini, questo è un “problema” perché si comincia a fare un discorso omettendo la dimensione tempo; ieri ho fatto, domani farò, aspettami cinque minuti, ci vediamo stasera, cosa ho fatto ieri sera… Noi abbiamo bisogno del tempo. Dio è eterno.
Il tempo ci arricchisce perché noi speriamo di avere, un domani, quello che non abbiamo conseguito oggi, ma il tempo anche ci impoverisce. Cosa avevo vent’anni fa come memoria, come agilità, come affetti, quante persone care, a cui debbo molto, non ci sono più! Il tempo ci arricchisce e ci impoverisce, ci può dare ma ci toglie. Dio è eterno; ecco perché abbiamo bisogno di ascoltare la parola di Dio, soprattutto nella liturgia della Chiesa.
Il tempo di Avvento è un tempo breve ma è un grande dono per i preti, per i vescovi, per i religiosi, per i bambini, per gli adulti, per i sani, per gli ammalati. La parola di Dio ci dice che noi dobbiamo approfondire e capire il modo in cui Gesù è venuto nel mondo.
Dio, che è eterno, ha voluto avere una storia e in questa storia ha chiamato Abramo, Isacco, Giacobbe… Abbiamo sentito una serie di nomi tra cui – non so se avete notato – Booz che da Rut generò Obed dal quale nacque Iesse, il padre del re Davide. Rut era una forestiera, una pagana; non apparteneva al popolo ebraico, eppure Dio ha voluto che nella storia che portava alla nascita nell’umanità di suo figlio ci fosse anche chi non apparteneva al popolo ebraico, all’alleanza. La parola di Dio, allora, è una luce, come dei fari che illuminano la nostra vita.
Il nostro problema, a volte, è che sappiamo tante cose della vita cristiana ma le abbiamo ridotte a slogan che ripetiamo ma che non ci dicono più niente, che non ci fanno riflettere, che non riusciamo più a gustare.
Leggere la storia della salvezza e prendere in mano i libri della storia della salvezza – non per dire che siamo biblisti, il che (da solo) vorrebbe dire ben poco – ci porta a nutrirci di quella Parola che può cambiare la nostra vita gustandola; conoscere la storia dell’Antico Testamento non è erudizione ma è riuscire a capire come Dio ha lavorato con un popolo per prepararlo a quella che San Paolo definisce la pienezza dei tempi.
Dobbiamo riscoprire la parola di Dio non per fare i “cattolici adulti” ma per essere un popolo fondato sul Signore, una comunità fondata sulla parola di Dio, annunciata e garantita dalla Chiesa e non da qualche esegesi più o meno discutibile. Abbiamo bisogno di andare alla scuola dei profeti.
Fino alla seconda settimana di Avvento – verso metà dicembre -, se voi verrete a Messa tutti i giorni, ascolterete soprattutto il profeta Isaia al quale è consegnata la voce dell’attesa di Israele. Le letture più importanti di Isaia le troviamo, poi, alla domenica.
Poi subentra la figura del Battista, la preparazione immediata. Come sapete, l’iconografia cristiana raffigura il Battista come “colui che indica”; è l’ultimo dei profeti, colui che ha potuto indicare l’Agnello di Dio, quello che Isaia, Geremia, Ezechiele, Daniele hanno intravisto in modi confusi nei secoli prima, ma circa il quale hanno detto qualcosa che ha aiutato la loro epoca e il loro popolo ad attendere il Signore Gesù.
La parola di Dio è eterna e, quindi, è sempre significativa in ogni storia, per ogni comunità, per ogni persona, per ciascuno di noi. Tante fragilità umane, tante depressioni, tante irrazionalità o ribellioni che appartengono alla natura umana – soprattutto a chi è più fragile, persona o comunità – potrebbero essere sanate da una parola di Dio che è la parola di chi conosce l’uomo più dello psicologo o dello psichiatra e che ci aiuta più del sociologo, con tutto il rispetto dovuto allo psicologo, allo psichiatra e al sociologo.
O noi prendiamo seriamente la parola di Dio come luce sulla nostra vita, come qualcosa di cui abbiamo bisogno, oppure andremo per la nostra strada e, di volta in volta, ci faremo illuminare da altre luci che magari sono fioche e che magari non riscaldano.
All’inizio dell’Avvento dobbiamo tornare alla scuola dei profeti. Nutriamoci dei momenti liturgici e ascoltiamo quella Parola. Uno potrebbe dire: ma io sono ignorante! Potrai anche essere ignorante – è vero – come lo sono anch’io, ma abbiamo entrambi lo Spirito Santo! E, allora, se tu leggi un testo, anche se non sei esperto o vai alla scuola biblica, ma c’è la buona volontà, la disponibilità, lo stare davanti al Signore e l’invocazione dello Spirito Santo – e anche qualche piccolo aiuto umano – diventiamo veramente, e non come slogan, degli innamorati della parola di Dio.
Se avrete il coraggio di investire in questa preghiera, in questo ascolto del Signore, ad un certo punto sarete disposti a rinunciare ad altre cose nella vostra giornata ma non a quel momento con il Signore.
È questo il mio augurio all’inizio del nuovo anno liturgico, all’inizio dell’Avvento. Non temiamo di non essere attrezzati culturalmente perché, altrimenti, faremmo un torto al buon Dio. Il buon Dio non ha scritto dei testi anche se è Lui l’autore ultimo della Sacra Scrittura, pur attraverso gli uomini. La lettura della Parola in chiesa termina, infatti, dicendo: parola del Signore. Eppure avevamo iniziato dicendo: dalla lettera di Paolo, di Giacomo, dal Vangelo di Matteo…
Questa è l’umanità che ha tradotto quella parola che termina dicendo: parola del Signore. Ci crediamo o no che quella Parola è stata detta dal Signore adesso per noi? Perché questo è il mistero della Chiesa, allora non temiamo e non facciamo un torto al buon Dio. Pur avendo insegnato a lungo, ho scoperto che – molte volte – la spiegazione di confratelli semplici che non avevano studiato valeva più della mia spiegazione di teologo o di qualche confratello teologo che ogni tanto sentivo parlare. Ci siamo noi con i nostri limiti ma c’è soprattutto lo Spirito Santo; quello che manca, semmai, è la nostra disponibilità a questo ascolto.
L’augurio che vi faccio è di avere tempo per il Signore nel periodo dell’Avvento; allora godrete e vivrete il Natale – voi e gli altri – in modo diverso.
Ricordo, infine, la prossima ordinazione diaconale di Steven e Francesco (giovedì 7 dicembre, nella basilica cattedrale di San Marco alle ore 16); è un momento di grazia, un momento importante. Non dimentichiamo mai che i nostri pellegrinaggi hanno tante intenzioni ma una è sopra tutte le altre: i preti.
Ricordiamo anche i preti malati (e le malattie non guardano la carta d’identità), preghiamo per i nostri sacerdoti e per la loro salute. E ricordiamoci di queste due ordinazioni che sono non per qualcuno ma per la Chiesa di Venezia. Abbiamo sempre bisogno della preghiera per le vocazioni.