Omelia del Patriarca nella S. Messa di ringraziamento per la beatificazione di Giovanni Paolo I con il conferimento del Mandato agli Evangelizzatori e ai Catechisti (Venezia / Basilica cattedrale S. Marco, 18 settembre 2022)
18-09-2022

S. Messa di ringraziamento per la beatificazione di Giovanni Paolo I con il conferimento del Mandato agli Evangelizzatori e ai Catechisti

(Venezia / Basilica cattedrale S. Marco, 18 settembre 2022)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Carissimi, preziosi e indispensabili collaboratori, confratelli nel sacerdozio, diaconi, persone consacrate, evangelizzatori, catechisti, insegnanti di religione, animatori, partecipanti ai Gruppi d’ascolto e voi tutti fedeli laici del Patriarcato,

molte sono le persone e comunità qui convenute nella Basilica Cattedrale di San Marco, la Chiesa madre del Patriarcato di Venezia, ed insieme desideriamo esprimere riconoscenza a Dio per il dono del nuovo beato Albino Luciani il quale ha servito la Chiesa che è in Venezia in anni difficili prima d’essere chiamato, per un brevissimo tempo, secondo gli imperscrutabili disegni della Provvidenza, a succedere all’Apostolo Pietro come Vescovo di Roma e Vicario di Cristo.

Il motivo della nostra gioia è il toccare con mano che la santità continua a vivere nella nostra Chiesa. E questo succede quando la Chiesa beatifica o canonizza un uomo, una donna, un anziano, un giovane o un malato – i santi sono un florilegio dei battezzati anche se poi c’è pure una santità al di fuori della Chiesa – ed ecco che il santo ci appare davvero come colui o colei che ha esercitato sommamente la virtù cristiana.

Al nostro Patriarca Luciani si deve una scelta pastorale che, da quasi cinquant’anni, appartiene alla nostra Chiesa: il Mandato ai catechisti ed evangelizzatori che, la prima volta, si svolse pochi giorni prima del Natale 1976 e, in seguito, con i Patriarchi che, di volta in volta, si sono succeduti divenendo un appuntamento atteso all’inizio di ogni anno pastorale.

In questo modo Luciani, amante ed esperto della catechesi, vicino ed amico (oltre che padre) di quanti – nelle realtà ecclesiali che attraversò – si impegnavano nel campo dell’evangelizzazione e della catechesi, volle esprimere visibilmente, con un segno concreto, il valore e la responsabilità di questo servizio nella Chiesa, sapendo che una persona evangelizza e catechizza con la testimonianza “integrale” di tutta la sua vita, ossia con le parole, le azioni, limpidezza e autenticità di comportamenti e di pensiero.

Prima dell’evangelizzazione, insomma, c’è il Vangelo ascoltato e accolto nel cuore, il Vangelo che plasma l’anima del catechista. E Luciani voleva che Gesù fosse annunciato in modo semplice da chi era stato “toccato” da Lui. Voleva non degli esecutori ma dei responsabili collaboratori.

È bello riascoltare le parole che, in quella prima occasione in cui si svolse il “Mandato”, il Patriarca Luciani rivolse ai catechisti in forma di domanda (quasi una provocazione) e di riflessione: “Credete veramente a quello che annunziate? Vivete quello che annunziate? Vivete quello che credete? Predicate veramente quello che vivete? La testimonianza della vita è divenuta più che mai una condizione essenziale per l’efficacia profonda della predicazione. Per questo motivo, eccoci responsabili, fino a un certo punto, della riuscita del Vangelo che proclamiamo. Il mondo, che nonostante innumerevoli segni di rifiuto di Dio, paradossalmente lo cerca attraverso vie inaspettate e ne sente dolorosamente il bisogno, reclama evangelizzatori che gli parlino di un Dio, che essi conoscono e che sia loro familiare, come se vedessero l’invisibile. Il mondo esige e si aspetta da noi una semplicità di vita, spirito di preghiera e carità verso tutti e specialmente verso i piccoli e i poveri, ubbidienza e umiltà, distacco da noi stessi e rinuncia. Senza questo contrassegno di santità, la nostra parola difficilmente si aprirà la strada nel cuore dell’uomo del nostro tempo, ma rischia di essere vana e infeconda” (Patriarca Albino Luciani, Omelia ai catechisti, 12 dicembre 1976).

L’anno successivo – era il 1977 – sottolineerà quanto sia importante l’unità nell’annuncio del Vangelo e nella trasmissione della fede: “Una catechesi a ruota libera potrebbe produrre male invece che bene. Stiamo uniti nell’insegnare le stesse cose: non opinioni più o meno rispettabili, ma ciò che il magistero della Chiesa propone” (Patriarca Albino Luciani, Omelia per il Mandato ai catechisti, 29 ottobre 1977). Il catechista è mandato dalla Chiesa e deve vivere questo mandato con fedeltà.

L’anno prima Luciani aveva già espresso il medesimo concetto, chiamando in causa lo stesso sant’Agostino che, oltre ad essere insigne teologo e predicatore, fu anche catechista appassionato e vicino ai suoi catecumeni e neofiti. Il Vescovo di Ippona – nel sermone 169,18 – così si esprimeva: “Uno zoppo che cammina sulla via di tutti arriva prima alla meta del corridore che sbanda fuori strada…” (Patriarca Albino Luciani, Omelia ai catechisti, 12 dicembre 1976).

La catechesi, l’annuncio della Parola, l’evangelizzazione rappresentano una funzione e una dimensione primaria della Chiesa che si sviluppa poi in diverse e specifiche realtà (pensiamo anche, ad esempio, ai Gruppi d’ascolto o a quelle comunità o gruppi che si mettono insieme per confrontarsi sulla vita reale a partire dal Vangelo).

Per l ‘importanza che riconosceva alla catechesi non stupisce che il Patriarca Luciani amasse definire i “suoi” catechisti con immagini non scontate e cariche di affetto. Al termine dell’omelia di quello che fu il primo “Mandato” disse: “L’ultimo comando di Gesù risorto fu una parola di conquista: «Andate e istruite tutte le genti!». Anche voi, cari catechisti, siete dei conquistatori. Non di terre, ma di anime. Non con mezzi puramente umani, ma con la parola e con la testimonianza sostenute dall’aiuto di Dio” (Patriarca Albino Luciani, Omelia ai catechisti, 12 dicembre 1976).

Il Patriarca parla di “conquista” ma sottolinea – e lo fa in modo estremamente chiaro – che si tratta di conquista “non di terre, ma di anime” e, poi, aggiunge “ma con la testimonianza e sostenuti dall’aiuto di Dio”.

Rimase, poi, nota la frase che Luciani pronunciò indicando i catechisti riuniti il 29 ottobre 1977 per la prima edizione “ufficiale” del Mandato in questa basilica: “Ecco i gioielli, le speranze della Chiesa veneziana!” (Patriarca Albino Luciani, Omelia per il Mandato ai catechisti, 29 ottobre 1977).

La predilezione di Luciani per la catechesi e l’opera dei catechisti la portava in sé da sempre: da giovane prete, del resto, aveva prodotto quel libro “Catechetica in briciole” che manterrà a lungo la sua freschezza ed attualità tanto da essere un riferimento per molti.

E la felice intuizione di conferire un “Mandato” esplicito e solenne, da parte del Pastore di una Chiesa, ad evangelizzatori e catechisti, oggi, pare essere una sorta di “profezia” del cammino che la Chiesa universale ha compiuto al punto da arrivare recentemente – come noto – a concretizzarsi in un intervento magisteriale da parte di Papa Francesco il quale, con lettera apostolica in forma di motu proprio, il 10 maggio u.s. ha voluto istituire ufficialmente “il ministero laicale di Catechista”.

Tale ministero – sono le parole con cui Papa Francesco lo descrive – “imprime un’accentuazione maggiore all’impegno missionario tipico di ciascun battezzato che si deve svolgere comunque in forma pienamente secolare senza cadere in alcuna espressione di clericalizzazione… possiede una forte valenza vocazionale…” ed è svolto, per chiamata appunto, da “uomini e donne di profonda fede e maturità umana, che abbiano un’attiva partecipazione alla vita della comunità cristiana, che siano capaci di accoglienza, generosità e vita di comunione fraterna, che ricevano la dovuta formazione biblica, teologica, pastorale e pedagogica per essere comunicatori attenti della verità della fede” (Papa Francesco, Antiquum ministerium – Lettera apostolica in forma di motu proprio con la quale si istituisce il ministero di Catechista, 10 maggio 2021).

Le nostre comunità sono invitate a compiere un preciso discernimento; le qualità sopra elencate, infatti, ci fanno capire tutta l’importanza di questo ministero.

Viviamo questo momento diocesano di ringraziamento per la beatificazione di Albino Luciani proprio nel contesto del Mandato ad evangelizzatori e catechisti (e credo che dal cielo lui sia contento di questo abbinamento), mentre celebriamo l’Eucaristia domenicale che è la forma più alta di catechesi; nell’eucaristia, infatti, siamo convocati e ci uniamo, nel modo più vivo, a Cristo morto e risorto.

L’Eucaristia rimane l’azione ecclesiale e il rendimento di grazie ecclesiale (“Eucaristia” – εχαριστία – significa, letteralmente, proprio questo) più grande verso la quale guardano e confluiscono tutte le altre azioni e realtà ecclesiali. Lasciamoci, perciò, interpellare dalle odierne letture appena proclamate e che ogni evangelizzatore e catechista deve sentire, in particolare, come rivolte a sé.

La prima lettura è tratta dal profeta Amos (Am 8,4-7) e ci proietta in una situazione di violenza, ingiustizia, disuguaglianza sociale ed economica; nulla di nuovo sotto il sole, anche i prossimi mesi ed anni saranno probabilmente molto difficili… Tutto ciò non può esser taciuto o non considerato e sembra ricordarci che la Parola di Dio e l’annuncio del Vangelo, che siamo chiamati a far risuonare nella catechesi (κατεχείν significa risuonare), non è un discorso intellettuale o artificioso o distaccato dalla vita, ma è un aiutare ad avere una forza critica e che penetra nella realtà dinamica del nostro oggi faticoso e talora pieno di storture che caratterizza la vita degli uomini.

Il Vangelo, quindi, non è solo una parola da scandire ma una concreta e viva condivisione che risuona nel mondo, ovvero nelle sofferenze, nelle attese, nelle gioie e nelle speranze delle persone, dei bambini, degli adolescenti, delle famiglie ed infine nella polis, la convivenza sociale nel nostro territorio; la Chiesa si apre sul sagrato e il cristiano non si vergogna del nome di Gesù e sa essere un cittadino “arricchito” grazie alla sua esperienza evangelica.

A tale proposito, nel mandato del 1976, il Patriarca diede una indicazione che è opportuno sottolineare poiché è una felice sintesi che sa andare oltre il pur saggio richiamo a che la catechesi non si riduca ad una scuola o sia solo un parlare all’intelligenza. Ecco le parole di Luciani: “… Non si tratta solo di collocare delle idee nelle menti; ma di collocarle in modo tale che chi le riceve sia spinto ad amare il Signore, a vivere secondo il Vangelo. Opera difficile: un testo ben fatto, buone doti pedagogiche e didattiche del catechista non bastano. Occorre l’intervento di Dio…”   (Patriarca Albino Luciani, Omelia ai catechisti, 12 dicembre 1976). I catechisti sono persone che pregano e l’incontro di catechesi deve essere preceduto dalla preghiera personale e, a volte, anche comunitaria.

Trasmettere il Vangelo (che è una persona, Gesù!) implica così lo stare in mezzo alla gente, con i problemi e le questioni che le persone e le famiglie si trovano ad affrontare, sapendo essere vicini spiritualmente e materialmente ad ogni situazione o persona o famiglia in difficoltà, con carità e senso di giustizia, manifestando e rendendo visibile la misericordia infinita di Dio attraverso la via pratica e concreta delle opere (corporali e spirituali), tra cui ve ne sono alcune a voi molto consone come il consigliare, l’insegnare o anche l’ammonire e il consolare.

San Paolo, poi, (1Tm 2,1-8) – seconda lettura – ci ricorda che la preghiera è una dimensione essenziale della vita per il cristiano ed in modo speciale per chi ha il compito di evangelizzare e catechizzare che, sempre, è chiamato ad essere testimone e, quindi, ad “essere visibile” grazie al suo cuore credente e orante. L’Apostolo raccomanda che mai questo aspetto sia dimenticato ed invita a pregare per tutti, compresi “quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio” (1Tm 2,2).

Infine il Vangelo (Lc 16,1-13) – che tratta dell’amministratore scaltro e disonesto – ci sollecita a considerare la forza profetica, disarmante, trasformante e mai scontata e immediatamente visibile che il Signore Gesù è venuto a portare e che, in qualche modo, viene posta nelle mani e sulla bocca di evangelizzatori, catechisti, insegnanti, educatori. Tutto ciò domanda un cammino di libertà e fedeltà e richiede, poi, di sapersi mettere in gioco personalmente e di saper “trafficare” con sapienza e scaltrezza i propri talenti e le proprie risorse – anche spirituali – per ciò che davvero vale.

Io stesso ricordo bene alcune cose che mi aveva detto la mia catechista quando ero alle elementari, ma questo fatto mi è stato riferito anche da persone che, come succede a noi sacerdoti, ho accompagnato verso l’aldilà e si erano via via allontanati dalla Chiesa; si ricordavano ancora, però, delle cose dette loro da chi li aveva preparati alla prima comunione.

Nella vigna del Signore è sempre Lui che fa crescere ma ha bisogno di chi getta il seme, rompe le zolle, pota le piante… Lui poi farà crescere. Ne sono convinto: in Paradiso avremo molte sorprese! E quando ricorderemo dei momenti o dei tempi in cui ci sembrava di innaffiare le pietre, forse proprio in quei momenti abbiamo toccato – se non altro per la nostra perseveranza nella fede – il cuore di qualcuno.

Il catechista è non soltanto colui che annuncia ma anche colui che sa soffrire per il Vangelo e testimonia in modo diretto – vicino a tutti, con uno stile e linguaggio comprensibili – che è possibile vivere oggi nella vera libertà e in fedeltà all’unico Signore Gesù.

Al termine della sua omelia nella Messa all’inizio del ministero petrino come Vescovo di Roma, il 3 settembre 1978 Albino Luciani – Giovanni Paolo I concluse così il suo intervento: “Circondati dal vostro amore e sostenuti dalla vostra preghiera, iniziamo il nostro servizio apostolico invocando come splendida stella del nostro cammino la Madre di Dio… La Vergine, che ha guidato con delicata tenerezza la nostra vita di fanciullo, di seminarista, di sacerdote e di Vescovo, continui ad illuminare e a dirigere i nostri passi, perché, fatti voce di Pietro, con gli occhi e la mente fissi al suo Figlio, Gesù, proclamiamo nel mondo, con gioiosa fermezza, la nostra professione di fede: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente»” (Papa Giovanni Paolo I, Omelia nella Messa d’inizio del ministero petrino come Vescovo di Roma, 3 settembre 2022). Facciamo nostra questa sua preghiera all’inizio del nuovo anno pastorale.

Grati a Dio per aver visto il nostro antico Patriarca Luciani inscritto nel novero dei Beati della Chiesa universale, all’inizio di un nuovo anno pastorale, contraddistinto dal percorso del Cammino sinodale appena delineato e che insieme dobbiamo percorrere ma tenendo sempre lo sguardo fisso sul Signore Gesù, insieme ai fratelli e alle sorelle, ora ci affidiamo alla Vergine Maria – la Nicopeia, la Madonna della Salute – perché ci accompagni come Madre, ispiri e custodisca il vostro servizio di evangelizzazione e catechesi, nella Chiesa e nel mondo.

Il nome e la persona di Gesù Cristo, unico e vero Redentore, possano continuamente trasparire dal vostro operare, dal vostro pensare, dal vostro parlare, da ogni vostro gesto quotidiano e da tutta la vostra vita spesa come discepoli del Signore. I santi sono uomini e donne in carne ed ossa e la santità è sempre personale, anche se ci si aiuta sempre reciprocamente a scoprire la santità della nostra vita di tutti i giorni.

Carissimi catechisti ed evangelizzatori, desidero salutarvi anch’io con le stesse parole che il Patriarca Luciani /Beato Giovanni Paolo II rivolse ai catechisti nella prima edizione “ufficiale” del Mandato in questa basilica: “Ecco i gioielli, le speranze della Chiesa veneziana!” (Patriarca Albino Luciani, Omelia per il Mandato ai catechisti, 29 ottobre 1977).

Buon anno pastorale a tutti e ricordiamoci di vivere il Cammino sinodale secondo le tappe e le scansioni che saranno presto comunicate.