Omelia del Patriarca nella S. Messa di inizio anno pastorale per le religiose e i religiosi del Patriarcato (Venezia / Chiesa S. Maria di Nazareth - Scalzi, 17 settembre 2022)
17-09-2022

S. Messa di inizio anno pastorale per le religiose e i religiosi del Patriarcato

(Venezia / Chiesa S. Maria di Nazareth – Scalzi, 17 settembre 2022)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Fratelli e sorelle in Cristo,

questa Eucaristia che segna l’inizio del nuovo anno pastorale fa sì che la nostra Diocesi, voi e le vostre comunità pongano al centro Dio, ringraziandolo per il dono grande della vita consacrata e per il tempo che viviamo e che si caratterizza – sia per la Chiesa universale, sia per le Chiese che sono in Italia – come gioioso proseguimento del Cammino sinodale.

Sì, vogliamo camminare insieme, camminare insieme andando incontro al Signore e seguendolo – giorno dopo giorno – col dono totale della vita, percorrendo la strada che ci indica la Chiesa.

In proposito richiamo un pensiero di sant’Agostino che, prima d’essere vescovo, aveva fondato e viveva in una comunità religiosa. In un suo discorso afferma: “Claudus in via antecedit cursorem extra viam” (Sermo, 169,18), che vuol dire: lo zoppo che cammina sulla via retta (quella segnata dalla Chiesa) giunge alla meta prima del corridore esperto che girovaga fuori di essa.

Ora lasciamoci “provocare” dalla Parola di Dio dell’odierna liturgia e che ci presenta una parabola nota – il Divino Seminatore che sparge il seme sui diversi tipi di terreno (l’umanità) con diversi risultati (Lc 8,4-15). La parabola è presente in tutti e tre i Vangeli sinottici: Marco, Matteo e, appunto, Luca.

L’abbiamo appena ascoltata nella versione dell’evangelista Luca ed è Gesù stesso che la spiega. Nel Vangelo di Matteo questa parabola è posta all’inizio del terzo discorso di Gesù e precede tutte le altre parabole. Sembra, quindi, di capire che a questa parabola è attribuita una particolare importanza e comprendere questa parabola significa capire anche il resto delle parabole e dei discorsi di Gesù. Papa Francesco l’ha definita «un po’ la “madre” di tutte le parabole, perché parla dell’ascolto della Parola» (Papa Francesco, Angelus del 12 luglio 2020).

Le parabole, come sapete, non sono mai un insegnamento “teorico” ma recuperano aspetti, immagini e segni semplici della vita quotidiana che sanno afferrare l’attenzione e scuotere l’animo di chi le ascolta. E chiedono di mettersi fortemente in discussione, a partire da quando la parabola prospetta, spesso ribaltando e rovesciando punti di vista, luoghi comuni o cose date per scontate. Le parabole sono, in buona sostanza, l’affermazione forte che il Regno di Dio è presente, è in mezzo a noi ed opera continuamente per la salvezza nostra e di tutti.

Per noi, in genere abituati ad ascoltare periodicamente questo brano del Vangelo, può essere più difficile lasciarci sorprendere da queste parole: le conosciamo già, le abbiamo già sentite e magari già commentate non una volta ma tante volte… Eppure queste parole sono dette per noi, oggi!

Ecco, allora, che la parabola del Seminatore irrompe questa mattina nella mia vita di consacrato/a e lo fa per rompere magari quella crosta oramai consolidata dall’abitudine. Non parlo qui delle sane e buone abitudini che ci accompagnano ma di quella routine quotidiana – un automatismo senza cuore – da cui ci dobbiamo senz’altro difendere e contro cui lottare.

“Il seminatore uscì a seminare il suo seme” (Lc 8,4). Subito comprendiamo che la Parola di Dio “è un seme fecondo ed efficace; e Dio lo sparge dappertutto con generosità, senza badare a sprechi. Così è il cuore di Dio! Ognuno di noi è un terreno su cui cade il seme della Parola, nessuno è escluso. La Parola è data a ognuno di noi” (Papa Francesco, Angelus del 12 luglio 2020).

La salvezza è così di nuovo un dono, un’offerta della misericordia divina che chiede, da parte nostra, accoglienza e conversione. Misericordia e conversione sono due facce della stessa medaglia: si invoca e si ottiene misericordia e questa sollecita la conversione che, appunto, a sua volta, è risposta e reazione alla misericordia ricevuta da Dio.

Ecco, allora, i diversi terreni e il diverso fruttificare di quel medesimo seme divino. E scaturisce immediatamente l’interrogativo: ma io, consacrato o consacrata, che terreno sono in questo momento? Se lo vogliamo, con l’aiuto della grazia di Dio, possiamo essere terreno buono che frutta tantissimo oppure – e c’è anche questo serio rischio – possiamo essere un altro tipo di terreno, più refrattario e superficiale, e non rispondere davvero alla chiamata o rispondere in modo molto parziale e limitato, senza che tutta la nostra persona (e la nostra vocazione) possa fiorire completamente.

Attenzione, però: non si tratta di fare chissà quali grandi cose ma di accogliere la Parola – Gesù Cristo stesso, il dono di Dio per eccellenza – nella semplicità ed anche nella fragilità della vita e della nostra condizione attuale, come persone e come comunità. Dio stesso ha accettato di farsi piccolo e umanamente fragile; la sua stessa Parola, pur onnipotente (cfr. Sap 18,15), si identifica con la fragilità del seme che cade in qualsiasi tipo di terreno e, quindi, di umanità. È la logica di Dio, della Parola che si fa storia e accetta di rivestirsi di umanità e, perciò, di fragilità, perché si consegna alla libertà degli uomini, alla libertà di ciascuno di noi.

Dobbiamo – come ci ha ricordato Papa Francesco nell’omelia dello scorso 2 febbraio – continuamente invocare il sostegno dello Spirito Santo perché solo Lui ci “rende capaci di scorgere la presenza di Dio e la sua opera non nelle grandi cose, nell’esteriorità appariscente, nelle esibizioni di forza, ma nella piccolezza e nella fragilità. Pensiamo alla croce: anche lì è una piccolezza, una fragilità, anche una drammaticità. Ma lì c’è la forza di Dio” (Papa Francesco, Omelia nella S. Messa con i membri degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, 2 febbraio 2022).

E domandiamoci piuttosto se, nella nostra vita personale e delle nostre comunità, ci lasciamo guidare dallo Spirito che ci conduce alla fedeltà quotidiana – anche e soprattutto nelle piccole cose – e che può rinnovarci e farci diventare “terreno buono” oppure se ci lasciamo muovere da altro, dallo spirito del mondo o dalla passione del momento. A volte infatti, cito ancora il Santo Padre, “anche dietro l’apparenza di opere buone, possono nascondersi il tarlo del narcisismo o la smania del protagonismo. In altri casi, pur portando avanti tante cose, le nostre comunità religiose sembrano essere mosse più dalla ripetizione meccanica – fare le cose per abitudine, tanto per farle – che dall’entusiasmo di aderire allo Spirito Santo” (Papa Francesco, Omelia nella S. Messa con i membri degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, 2 febbraio 2022).

“Questo io so: che Dio è per me. In Dio, di cui lodo la parola, (…) in Dio confido, non avrò timore” (Sal 55,10-12): sono le parole del Salmo che ci invitava poi a “camminare davanti a Dio nella luce dei viventi” (Sal 55,14).

Rileggiamo la nostra vita consacrata alla luce di questa parabola e lasciamoci anche scuotere e rivoluzionare – se necessario – nella nostra routine personale o comunitaria. Torniamo soprattutto ad affidarci a Dio, a confidare in Lui, a vivere di nuovo quel benefico abbraccio tra misericordia ricevuta (e donata) e conversione continuamente esercitata. E ritroviamo fiducia, umiltà, serenità e gioia, ossia tutto ciò che ci può permettere di vivere pienamente la nostra vocazione di consacrati e di consacrate, la nostra testimonianza e missione nella Chiesa e nel mondo. E, quindi, d’essere “terreno buono”, come persone e comunità, esempi viventi di fraternità e dedizione all’unico Signore.

“Se ai consacrati mancano parole che benedicono Dio e gli altri – diceva ancora Papa Francesco –, se manca la gioia, se viene meno lo slancio, se la vita fraterna è solo fatica, se manca lo stupore, non è perché siamo vittime di qualcuno o di qualcosa, il vero motivo è che le nostre braccia non stringono più Gesù. E quando le braccia di un consacrato, di una consacrata non stringono Gesù, stringono il vuoto, che cercano di riempire con altre cose, ma c’è il vuoto. Stringere Gesù con le nostre braccia: questo è il segno, questo è il cammino, questa è la “ricetta” del rinnovamento… Noi dobbiamo stringere Gesù in adorazione e domandare occhi che sappiano vedere il bene e scorgere le vie di Dio. Se accogliamo Cristo a braccia aperte, accoglieremo anche gli altri con fiducia e umiltà” (Papa Francesco, Omelia nella S. Messa con i membri degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, 2 febbraio 2022).

Iniziamo con questi propositi il nuovo anno pastorale e compiamo, in comunione e fraternità, i nuovi passi del Cammino sinodale proprio come consacrati e consacrate; è quel cammino che ci viene indicato dallo Spirito a partire dalle indicazioni della Chiesa. Camminiamo insieme, e sempre, ma insieme incontro al Signore, seguendolo fino alla fine e con tutta la nostra esistenza.

Esprimo l’augurio – e soprattutto la preghiera – che ciascuno e ciascuna di voi, con le vostre comunità, vada incontro a Dio lasciando che Dio l’incontri.

Tutti e tutte possiate essere quel terreno buono dove il seme divino produce il centuplo.