Omelia del Patriarca nella S. Messa di commemorazione dei fedeli defunti a Venezia / Chiesa del cimitero di S. Michele (2 novembre 2016)
02-11-2016

Commemorazione dei fedeli defunti

S. Messa al Cimitero di Venezia / Chiesa S. Michele (2 novembre 2016)

Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia

 

 

 

Ringrazio i confratelli presbiteri e i diaconi per la loro presenza, saluto con stima le autorità civili e militari.

E’ una giornata importante perché il cristiano, nella sua fede, professa la certezza della vita eterna. Recitiamo, infatti, nel Credo: “…professo un solo battesimo per il perdono dei peccati, aspetto la resurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà”. Questa professione di fede ritorna poi nelle preghiere più care del cristiano come l’Ave Maria in cui ci rivolgiamo alla Beata Vergine dicendo: “…Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte”. E anche nella Salve Regina – che dovrebbe accompagnare la chiusura di ogni giornata, la sera del giorno, la sera della vita – noi diciamo: “… mostraci, dopo questo esilio, Gesù…”.

Tante sono, poi, le parabole del Vangelo che insegnano il senso della vita cristiana come vigilanza, come attesa, come preparazione. E gli ultimi versetti dell’Apocalisse – che è l’ultimo libro del Nuovo Testamento, terminano proprio dicendo: “Vieni, Signore Gesù” (Ap 22, 20). La Sposa – cioè la Chiesa – i credenti e lo Spirito gridano: “Vieni Signore Gesù”.

Questa, allora, è una giornata importante per il cristiano ma è soprattutto importante che la morte ci trovi vivi. Sì, ci trovi vivi nella fede nella vita eterna. Potremmo, infatti, arrivare al momento della nostra morte non portando in noi, viva, questa fede nella vita eterna. Vengono alla mente le durissime parole del profeta Isaia che rimprovera coloro che solo materialmente e solo fisicamente frequentano il tempio e praticano il culto mentre il loro cuore è lontano e impiegato sul loro interesse con il culto che diventa esso stesso occasione per coltivare i propri interessi.

Narra il profeta Isaia: “Perché mi offrite i vostri sacrifici senza numero? – dice il Signore. Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di pingui vitelli. Il sangue di tori e di agnelli e di capri io non lo gradisco. Quando venite a presentarvi a me, chi richiede a voi questo: che veniate a calpestare i miei atri? Smettete di presentare offerte inutili; l’incenso per me è un abominio, i noviluni, i sabati e le assemblee sacre: non posso sopportare delitto e solennità. Io detesto i vostri noviluni e le vostre feste; per me sono un peso, sono stanco di sopportarli” (Is 1, 11-14).

Sì, che il Signore ci trovi vivi in questa fede nella vita eterna al momento della nostra morte. Che la morte ci trovi cristianamente vivi anche se, certo, di fronte alla drammaticità del morire, nascono tante domande che in molti diventano dubbi e in altri occasioni per crescere nella fede; in qualcun altro ancora diventano ferite che portano a crisi esistenziali.

Ci può forse aiutare la lettura di quel capolavoro universale della letteratura di Fëdor Dostoevskij – “I fratelli Karamazov” – in cui, ad un certo punto, una donna grida angosciata dalla vita futura (e questo è il tremendo enigma). Questo pensiero della vita futura mi turba fino all’angoscia ed al terrore ma mi dico, allora, non ho avuto fede per tutta la vita? Eppure, talvolta, mi assale questo pensiero: io morirò e all’improvviso non c’è nulla, mi crescerà un po’ di erba sotto la tomba e… basta?

Questa è una cosa orribile: cosa devo fare per riscoprire, mantener viva, ritrovare la mia fede? Nella mia infanzia credevo spontaneamente, senza riflettere, ma adesso come conoscere la verità? Dove trovare le prove? Se guardo intorno vedo che nessuno si preoccupa di queste cose, quasi nessuno oggi, ed è proprio vero…

Raccogliamo questo grido tratto dal libro dei fratelli Karamazov; intorno a noi tutti si danno da fare e si occupano delle realtà penultime che sono quelle che oggi ci sono e domani non ci saranno più. Il cristiano, abbandonando il Vangelo, è tentato di fare la stessa cosa.

Qui è in gioco la nostra fede e allora vale la pena di fare nostra la risposta che lo starec – un termine russo che vuol dire il monaco – Zosima, il padre spirituale, dà a questa donna che aveva posto la domanda: ma adesso come conoscere la verità? Dove trovare le prove? E concludeva: è una situazione spaventosa… Il monaco le risponde: certo è spaventoso, queste cose non si dimostrano, però è possibile convincersene e come? Con l’esperienza di un amore attivo. Sforzatevi di amare il vostro prossimo attivamente, ininterrottamente. Nella misura in cui avanzerete nell’amore, acquisterete anche la convinzione dell’esistenza di Dio e quella dell’immortalità dell’anima.

Conclude lo starec Zosima: e se poi giungerete al completo rinnegamento di voi stessi nell’amore del prossimo, allora la vostra fede diventerà incrollabile e nessun dubbio potrà insinuarsi nell’anima vostra; è una cosa sperimentata, inoppugnabile.

Accogliamo anche noi l’invito di questo maestro spirituale e ricordiamoci che le cose di Dio si capiscono soltanto quando l’intelligenza si fa umile, si spoglia dei propri interessi, si lascia illuminare dalla carità ed ecco allora le opere di misericordia spirituale e le opere di misericordia materiale tra cui c’è anche il seppellire gratuitamente i morti che non hanno di che pagare.

Quanto dice lo starec  Zosima sull’amore del prossimo che ci dischiude alla fede certa in Dio, era però già contenuto nella prima lettera di Giovanni in cui l’apostolo indica questa strada certa, cioè l’amore del prossimo; chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede (cfr. 1Gv 4,20). Taluni, purtroppo, non amando i fratelli che vedono, si illudono di amare il Dio che non vedono. Questa è la mistificazione della vita cristiana, è il tradimento e significa smarrirla; è la mistificazione che si rivelerà pienamente al momento dell’incontro ultimo con il Signore.

Torniamo al Vangelo che abbiamo ascoltato nella liturgia dei defunti: avevo fame, mi hai dato da mangiare, avevo sete, mi hai dato da bere… Quando? Non ti ho mai visto… Quando lo hai fatto al più piccolo dei fratelli (cfr. Mt 25, 31-46). Ecco le opere di misericordia spirituale e le opere di misericordia corporale.