Omelia del Patriarca nella S. Messa della V Domenica di Quaresima (Venezia / Cripta della basilica cattedrale di S. Marco, 29 marzo 2020)
29-03-2020

S. Messa nella V Domenica di Quaresima

(Venezia / Cripta della basilica cattedrale di S. Marco, 29 marzo 2020)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

 

Carissimi,

stiamo vivendo giorni drammatici, soprattutto in zone del Paese a noi non lontane e in questi momenti tragici ciò che dobbiamo sconfiggere è la paura, il pessimismo, il delegare agli altri.

Vivere questi momenti in modo cristianamente responsabile vuol dire sentirsi parte di una comunità: gli altri mi interessano, non mi sono estranei e il morire di tanti in questi giorni mi appartiene personalmente, è il mio morire. Tutto quello che accade mi interessa, è mio, mi appartiene, “I care”.

Fu don Milani ad adottare questo motto contro l’individualismo e, in realtà, non inventò nulla, ma semplicemente tradusse il Vangelo: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici” (Gv 15,13). E allora “I care”, mi importa, ho a cuore. Il Vangelo diventa un nuovo modo di guardare l’altro, gli altri, la situazione che viviamo, il bene comune. E ancora “I care”, mi importa, mi sta a cuore la tua e la mia salute, la salute di tutti, per questo io resto a casa e ci resto convinto, con spirito costruttivo, aiutando gli altri a starci non perché obbligati ma come gesto di responsabilità, di carità, di solidarietà.

Il quinto comandamento non indica solo il non privare della vita l’altro ma è un tutelare la vita di tutti. E in questi giorni di emergenza sanitaria dobbiamo cominciare a pensare un’altra società, un altro modo di stare con gli altri e di rapportarsi agli altri.

Fino a ieri abbiamo costruito una storia e ne siamo stati parte viva, forse poco critica; oggi siamo chiamati a ripensare quella storia, ripensandoci come uomini e come comunità. Domani vedremo se questa pandemia – di cui abbiamo appena visto la parte emergente dell’iceberg, cioè la prima parte – ci ha insegnato qualcosa e se (e come) cambieranno gli equilibri di forza a livello finanziario, economico, politico, sociale non solo nel nostro quartiere, nella nostra città e nella nostra Italia ma nel mondo intero.

È inutile pensare solo ad una nuova strategia, è inutile pensare a nuove alleanze politiche; siamo anzi un po’ stufi di certi discorsi politici… Non basteranno nuove strategie economiche e finanziarie – anche questo, certo, ci vorrà – ma sarà tutto insufficiente se l’uomo non cambierà il cuore e la mente. E qui torna la verità del Vangelo: per troppo tempo ci siamo ostinati a cucire delle pezze nuove su un vestito vecchio e ormai liso.

L’Europa oggi dimostra di non esserci e, con i suoi leaders e i suoi più prestigiosi rappresentanti che esprimono le visioni e gli interessi di una parte, con coloro che sono stati eletti ed occupano certi posti, ci sta dicendo questo: nei prossimi mesi ci sarà l’emergenza sociale, l’emergenza della fame. E queste cose avvengono in un’Europa che non c’è quando invece dovrebbe esserci!

Dico tutto ciò con grande tristezza, lo dico da cittadino italiano e da cittadino europeo, ricordando che sono vescovo e che non faccio politica ma sento che il silenzio – soprattutto il silenzio di chi non può parlare ma, in particolare, di chi deve parlare ma non parla – può diventare una colpa troppo grande. Siamo di fronte ad un’emergenza sociale imminente; è inutile dirlo troppo tardi, diciamolo subito e prepariamoci. E l’Europa dovrebbe farci vedere – in questa emergenza – quanto è essenziale, decisiva e importante.

Carissimi, venerdì scorso sono stato al cimitero veneziano di San Michele e ho chiesto ad alcuni parroci di rappresentarmi in altri cimiteri – e qui desidero ringraziare tutti i miei preti, uno ad uno, per quello che stanno facendo e per come cercano di fare – per dire ai nostri morti di Covid-19: se molti di voi non hanno potuto avere l’affetto e la presenza di un accompagnamento ultimo, noi non abbiamo dimenticato né ciascuno di voi né i vostri cari!

Il Vangelo di oggi (Gv 11,1-45), una volta di più, ci dice come la parola di Dio è una parola viva, attuale e risuona per noi oggi aiutandoci a vivere il momento presente. Lazzaro, che con le sorelle Marta e Maria era amico di Gesù, è morto; la morte non risparmia nessuno – lo possiamo ben dire in questi giorni -, neanche gli amici di Gesù.

Ma Gesù, con il suo modo di andarle incontro, dice che la morte è una sconfitta; Egli, infatti, è più forte della morte. Gesù rimane ancora qualche giorno là, dove si trovava, e poi inizia il viaggio verso Betania. Sì, perché Gesù è il vincitore della morte e vuole che la morte nel suo amico Lazzaro compia tutto il suo corso (e per la tradizione rabbinica solo al terzo giorno l’anima ritornava definitivamente a Dio). La morte non risparmia davvero nessuno – lo abbiamo già detto – e non risparmierà neppure Gesù, il figlio di Dio.

Il Vangelo di oggi specifica: “Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro” (Gv 11,5). Gesù davanti alla morte di una persona cara – era amico di Lazzaro – e di fronte alla sofferenza di Marta e Maria si comporta come un vero uomo dotato di sentimenti e di un cuore che vive emozioni profondamente umane. Di fronte a chi piange un fratello anche Lui rimane profondamente sconvolto e turbato. Gesù, con la resurrezione di Lazzaro, intende annunciare il Vangelo della vita.

Cari familiari dei morti di Covid-19, quante cose si sono aggiunte al vostro dolore di morte in un frangente in cui i vostri cari vi hanno lasciato anche in una certa solitudine. Ma Gesù ci annuncia il Vangelo della risurrezione e ci dice quello che è il vero destino dell’uomo, la vita. Gesù sta per donare, in Lazzaro, al mondo e a tutti coloro che credono il dono non di una semplice vita ma di una vera vita, una vita che nessuno ci potrà togliere. Gesù non è colui che ci promette un’immortalità terrena o un benessere terreno; è Colui che dona al mondo, sfigurato dalla morte e dal peccato, il dono della vita.

Domenica scorsa abbiamo partecipato all’incontro di Gesù con il cieco nato, la domenica precedente ancora al colloquio con la donna samaritana e oggi partecipiamo all’incontro di Gesù con Marta e Maria, due donne distrutte dal dolore per una morte recente, due sorelle che in momenti differenti dicono a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!» (Gv 11,2132).

Rileggiamo bene il colloquio tra Gesù e Marta perché anche questo incontro – come quelli con la samaritana ed il cieco nato – cambia l’interlocutore, lo rende un vero credente, lo trasforma in un annunciatore del Vangelo. All’inizio, infatti, Marta dice di credere nella risurrezione, nell’immortalità, ma questo non basta a Gesù che, quindi, le dice: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?» (Gv 11,25-26).  E Marta, allora, risponde: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo» (Gv 11,27).

Carissimi, stiamo ormai vivendo la preparazione alla Settimana Santa, la settimana della resurrezione. E come la samaritana, il cieco nato, Marta e Maria, anche noi siamo personalmente chiamati in causa nelle nostre case e in famiglia; questo è il tempo favorevole! Tornamo a rileggere il Vangelo, incominciando da quello di questa domenica e riscopriamo il silenzio. Troveremo qualcosa di inatteso, ossia le risposte alle domande così drammatiche di oggi. Troveremo la risposta a queste domande drammatiche proprio perché ci fermeremo un attimo ad ascoltare la Parola di cui ciascuno di noi ha bisogno, la Parola che ci converte.

Entriamo dunque, carissimi, nei giorni che precedono la Settimana Santa con la convinzione che Dio – se vogliamo ascoltarlo – risponderà alle nostre domande, a tutte le nostre domande e ne susciterà anche di più grandi.

Buon cammino a tutti, verso la Veglia pasquale!