Omelia del Patriarca nella S. Messa della V domenica del Tempo di Pasqua nella chiesa parrocchiale di S. Michele Arcangelo di Marghera (10 maggio 2020)
10-05-2020

 S. Messa nella V domenica del Tempo di Pasqua

nella chiesa parrocchiale di S. Michele Arcangelo di Marghera (10 maggio 2020)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

 

Carissimi fratelli e sorelle,

ancora una volta grazie ad Antenna 3, Rete Veneta e Gente Veneta Facebook che ci danno la possibilità di incontrarci in questa “diaspora”, durante questo digiuno eucaristico e liturgico. Si spera, con prudenza, ma anche con coraggio, di poter avviare ora una ripartenza, anche liturgica e reale, della vita delle nostre comunità.

Come abbiamo appena ascoltato, inizia oggi (e continuerà poi domenica prossima) la lettura del capitolo 14 del Vangelo secondo Giovanni. Tanti i temi perché sono tante le cose che Gesù vuol dire ai suoi discepoli nelle ultime ore di vita.

Comincia dicendo ai suoi discepoli di non aver paura. È un richiamo che afferma come la paura e il timore non debbano far vergognare il cristiano, perché essi appartengono alla vita del cristiano come alla vita di ogni uomo. Questo stato dell’anima – le parole esatte di Gesù sono: “Non sia turbato il vostro cuore” (Gv 14,1) -, questo stato di paura e di angoscia che permane nell’uomo e lo accompagna sempre, Gesù ci dice che si può vincere, da parte del cristiano, con la fede.

Vorrei soffermarmi su quei momenti in cui Gesù ribadisce questo tema ma, prima, ricordo che “Non temere” (Lc 1,30) è stata anche la parola che l’angelo aveva rivolto a Maria quando l’ha chiamata a quella missione inattesa e gravosa: la maternità divina. Non temere, abbi fede! E la stessa espressione verrà poi rivolta anche a Giuseppe: “…non temere di prendere con te Maria, tua sposa” (Mt 1,20).

Gesù in persona lo dirà anche in un momento drammatico della vita dei suoi discepoli, quando stanno attraversando il lago di Genesaret e solo chi conosce questo lago sa quante tempeste improvvise e violente ci siamo, difficili da affrontare anche per chi sa navigarlo come erano gli apostoli (molti dei quali pescatori provetti).

Ai discepoli – che, per la paura di affogare, esclamano: “Salvaci, Signore, siamo perduti!” – Gesù risponde con una domanda: “«Perché avete paura, gente di poca fede?». Poi si alzò, minacciò i venti e il mare e ci fu grande bonaccia” (Mt 8, 25-26). Un altro modo, insomma, per dire: non temete, abbiate fede!

Anche nel Vangelo di oggi risuona lo stesso invito: non abbiate paura! E, quindi, il “non aver paura” è una parola chiave; è una cifra del discepolo, del cristiano. E Gesù oggi precisa: “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me” (Gv 14,1).

Ringrazio per il canto iniziale che diceva “…solo in te c’è fedeltà, Signore”. Si, perché la fede – proprio la fede – è la questione seria del cristiano. La fede prima di tutto perché il cristianesimo – prima di essere una religione – è una fede.

La fede è fidarsi, è affidarsi e confidare in Dio. Ricordiamo la predicazione del profeta Geremia, al capitolo 17: “Beato l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia” (versetto 7). E prima ancora (al versetto 5) aveva detto:  “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo e pone nella carne il suo sostegno…”.

La fede, allora, non è soltanto ripetere gli articoli del Credo, che pure sono veri e contengono i misteri della nostra salvezza. Non basta però recitarli;. Bisogna anche saper scommettere sulla fede del Credo cristiano – sugli articoli di fede – e, in sostanza, scommettere la propria fede su Gesù.

La vita cristiana è fatta di tante cose, si esprime e si manifesta in tante scelte e in tanti gesti ma, prima di tutto, la vita del cristiano è una fede. Però Dio, talvolta, sembra essere assente nella nostra vita… Abbiamo appena citato l’episodio di Gesù che dorme in barca mentre i discepoli combattono come possono e ce la mettono tutta contro le onde e contro il vento; ad un certo punto stanno affogando e Gesù è sì presente, ma dorme e tace.

Dovremmo meditare a lungo su questa scena evangelica del capitolo 8 del Vangelo di Matteo perché accade prima o poi nella vita di ogni discepolo e di ogni discepola del Signore, accade prima o poi nella vita di ogni comunità cristiana. Anche oggi stiamo vivendo in un tempo in cui molti di noi dicono: Signore, perché taci?  Signore, perché non ti fai presente?

Appartiene a ogni discepolo, a ogni generazione cristiana, a ogni comunità la prova della fede. E la fede la si scopre, la si vive, la si comprende nel momento in cui ci mettiamo in gioco, nel momento in cui si rischia la propria vita – e di vita ce n’è una sola e quindi il rischio è grande! – dicendo a Lui, comunque, il nostro “si”.

Pensiamo anche a quel padre che, nel Vangelo di Marco, chiede la guarigione di suo figlio tormentato da uno “spirito muto”. Ricordiamo il loro dialogo: “ «…se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci». Gesù gli disse: «Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede». Il padre del fanciullo rispose subito ad alta voce: «Credo; aiuta la mia incredulità!»” (Mc 9,22-24). Questa dovrebbe essere anche la nostra preghiera.

Le sicurezze umane deludono, perché nessun uomo può garantirmi in ciò che veramente è fondamentale per me e per la mia vita. Chi, infatti, mi può garantire la vita? Chi mi può garantire la felicità? Chi mi può garantire il bene, la giustizia, la pace del cuore, l’accettazione dei miei limiti? Quante persone sono tristi e sconfortate proprio perché non accettano i propri limiti…

Covid-19 ci ha detto tutto questo: non c’è intelligence – né americana o israeliana, né russa o britannica e potremo passarle tutte -, non c’è sistema sociale e di welfare che possa dire all’uomo: tu sei sicuro.

Le assenze di Dio nella vita dei discepoli sono momenti importanti, sono momenti preziosi, sono momenti di scuola e momenti di crescita in cui si entra nella vera fede e si impara la fede. Citavo prima le parole del profeta Geremia, al capitolo 17, dicevo prima, esclama: “Beato l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia” (Ger 17,7). Bisogna imparare a fidarsi di Dio. Fede è dono ma, insieme, è anche libertà e rischio.

Non fermiamoci solo ad una caratteristica della fede. Noi diciamo spesso: la fede è un dono, chi ha questo dono bene, chi non l’ha avuto è un problema di Dio… No! La fede, oltre ad essere un dono che Dio fa a tutti, ti coinvolge come libera persona, come libertà che vuole rischiare e si fida. Quanti rischi ci sono nella nostra vita, nelle nostre scelte anche molto umane e quotidiane, eppure di Dio non ci si fida… Ci si fida di più magari di un’agente assicurativo, di un commercialista, di un avvocato, di un medico ma di Dio non ci si fida…

La fede è un dono che si accoglie nella libertà e nel rischio. L’uomo non è un oggetto o un burattino nelle mani di Dio; l’uomo è libero ed è l’immagine di Dio. E Dio è libertà, non dimentichiamolo!

Fermiamoci, infine, sul dialogo presente nel Vangelo di oggi. In tutte queste domeniche abbiamo assistito a dei dialoghi di Gesù: con la Samaritana, con il cieco nato, con l’incredulo Tommaso ecc. Oggi abbiamo ancora un dialogo e una domanda, proprio di Tommaso.

Gesù aveva appena finito di affermare: “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me… Vado a prepararvi un posto” (cfr. Gv 14,1-2). Poi aggiunge – attenzione bene -: “E del luogo dove io vado, conoscete la via” (Gv 14.4). Tommaso qui risponde come avremmo risposto noi con la nostra logica umana: “Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?” (Gv 14,5).

Tommaso, insomma, reagisce e ragiona umanamente e in modo ineccepibile. È un po’ come se una persona mi si avvicinasse per strada e mi dicesse: mi può indicare la via?.  E io risponderei: mi dica dove vuole andare…

Gesù dice: “Io sono la via” (Gv 14,6). E noi gli diremmo: per dove? Ma le cose nella vita della fede – del discepolo – non funzionano così, perché Gesù non si è sbagliato e sta invitando i discepoli ad una conversione: se vuoi arrivare alla tua mèta, non chiederti dov’è, ma fidati di me. Devi affidarti a me, devi riconoscere che io sono la strada, che io sono la via. Inizia a percorrerla, ti troverai a destinazione. Questa è la fede ed ecco perché, forse, pochi hanno la vera fede.

Nell’invito di Gesù ai discepoli c’è una vera rivoluzione copernicana – ogni conversione è una rivoluzione copernicana – che emerge quando dice: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6).

Questa frase di Gesù non va intesa secondo la nostra personale ed interiore interpretazione del Vangelo – come facciamo di solito – ed ecco perché tante volte fatichiamo come persone, come discepoli e come comunità a convertirci.

“Io sono la via, la verità e la vita” non va intesa come noi spontaneamente la intenderemmo – “Io sono la via alla verità e alla vita” -, ma “Io sono la via perché sono la verità e la vita”. Gesù è tutto, come diceva anche il canto iniziale di questa celebrazione: “Non c’è salvezza, non c’è fedeltà che in te…”.

Gesù è tutto ed è questo che noi tutti discepoli fatichiamo a comprendere, ad accettare e a vivere. Un discepolo non è mai più del suo maestro e noi vogliamo insegnare a Gesù Cristo come si fa ad essere Gesù Cristo. E allora la strada è breve, è già segnata, è già finita…

È quello che ispirerà a san Paolo quel passo importante della prima lettera ai Corinzi (cfr. in particolare il cap. 15) in cui parla del problema della vita e della felicità eterna e del problema che nessun uomo, nessun ospedale e nessun centro di ricerca risolveranno mai, il problema della morte.

Paolo ai Corinzi scrive: ma come potete dire che tutti gli uomini non risorgono – attenzione bene – se Gesù è risorto? Capite la rivoluzione? Il criterio non sono gli uomini che sono morti, ma Gesù che è risorto. Non si può allora dubitare – continua Paolo – che tutti risorgeremo, perché Lui è risorto. Ecco la rivoluzione, ecco “Io sono la via”, ecco Gesù che è tutto! Gesù è il vero inizio della fede cristiana, Lui che è allo stesso tempo il centro ed il culmine.

Ricordiamo anche la fine della lettera agli Ebrei, il capitolo 12, dove l’autore della lettera stessa, dopo aver dato tanti esempi di fede nella storia della salvezza, parla di Gesù e dice: “…corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo lo sguardo fisso su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento” (Eb 12, 1-2). Questa è l’interpretazione di quel versetto del Vangelo di oggi in cui Gesù dice ai suoi discepoli: “Io sono la via, la verità e la vita”; è la via perché in Lui c’è già la verità e c’è già la vita.

Ebrei e Corinzi ce lo ricordano. Ce lo ricorda la Chiesa apostolica, la Chiesa che per prima ha vissuto nella storia la fede. Gesù è tutto e per questo – è la conclusione del Vangelo di oggi – a Filippo che gli chiede “Signore, mostraci il Padre e ci basta!” Gesù può rispondere: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre” (Gv 14,8-9).

Permettetemi, infine, di dire ancora qualcosa che non posso non dire in quanto ognuno di noi c’è perché… c’è una mamma! E oggi è la festa delle nostre mamme. Rivolgo, allora, un augurio sincero alle nostre mamme.

Oggi è la vostra festa, ma una festa che cos’è? Andiamo al senso genuino delle cose: è riconoscere che un avvenimento, un fatto, ma soprattutto una persona, devono essere riconosciuti da chi celebra la festa. E riconoscere è più che conoscere; è conoscere l’importanza di qualcuno per noi nella nostra vita.

Ognuno di noi – dicevo – ha una mamma. Quanto di ciascuno di noi e di nostro è di nostra madre? La biologia, l’educazione, lo stile… Vedendo certi bambini piccoli, alla scuola dell’infanzia, rimango stupito dal tratto che hanno ma poi, se conosco la mamma o il papà, capisco tutto; ecco quella delicatezza, quel sorriso, quel grazie, quell’educazione… Se noi siamo soprattutto i plasmati, i formati nell’amore e dall’amore, purtroppo, è però anche vera l’affermazione inversa.

Noi siamo il frutto dell’amore di nostra madre, di chi ci ha amati per primi, di chi ci ha amati più degli altri, di chi ci ha amati quando non eravamo ancora nel mondo ma eravamo nel suo grembo – creature vive e autonome – e ci ha accolto, ci ha nutrito già nel grembo, educati da lei, incoraggiati da lei, perdonati da lei.

Solo chi è stato perdonato sa perdonare e quando una persona non perdona vuol dire che non è stata perdonata. Il cristianesimo inizia con il battesimo che è il perdono.

Signore, grazie del dono della mamma, grazie del dono della maternità! Ti chiedo una cosa: fa’ che ogni donna sia sempre più conscia e grata a Dio di essere mamma e di aver avuto il dono della maternità.

A tutte le nostre mamme un grazie, un abbraccio, una carezza.