Omelia del Patriarca nella S. Messa della solennità del Santissimo Redentore (Venezia / Basilica del Santissimo Redentore, 17 luglio 2022)
17-07-2022

S. Messa nella solennità del Santissimo Redentore

(Venezia / Basilica del Santissimo Redentore, 17 luglio 2022)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Stimate autorità, confratelli nel sacerdozio, consacrate e consacrati in particolare della fraternità cappuccina, cari fedeli,

anche quest’anno siamo tornati pellegrini al Redentore, fedeli all’antico voto fatto dalla città di Venezia e volendo di nuovo guardare a Lui per chiedere soprattutto la grazia della pace ma, per poterlo fare, dobbiamo domandare prima di tutto la grazia della conversione e della salvezza affinché – come abbiamo detto nell’orazione iniziale (la colletta) – possiamo custodire l’opera della misericordia di Dio ed attingere ancora il dono necessario della salvezza dalla fonte viva del Redentore.

È il messaggio che emerge con forza dal Vangelo di questa festa, ricavato da un frammento del dialogo notturno di Gesù con Nicodemo: “Dio (…) ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, (…) non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Gv 3,16-17).

Vogliamo riconoscere – personalmente e come comunità – che Gesù è l’unico e vero Redentore e in Lui – morto e risorto – c’è la misericordia di Dio verso tutti. Vogliamo, allora, soffermarci su tale verità della fede cristiana e provare ad intuirne le implicazioni per il tempo che viviamo.

Ci sono almeno due passaggi del Vangelo di Matteo che ci mostrano con evidenza cosa significa “misericordia” e qual è il tratto specifico di Gesù “Redentore”.

Nel capitolo 9, ad esempio, si racconta la chiamata e la conversione di Matteo che era un peccatore e, oltretutto, un pubblicano e quindi inviso alla gente proprio per il suo mestiere e perché asservito al potere di Roma.

Per la mentalità farisaica del tempo nei confronti di tali persone doveva esserci una separazione assoluta e non si potevano intrattenere contatti. Invece la misericordia di Dio, resa presente e manifesta in Cristo Gesù, non solo elimina tale separazione ma al contrario si rivolge a Matteo il pubblicano, gli chiede di seguirlo e poi addirittura Gesù va a pranzo da lui, nella sua casa, insieme ad altri pubblicani e peccatori.

“Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli” (Mt 9,9-10).

La cosa, come è noto, suscita la reazione e il risentimento dei farisei che chiedono spiegazioni ai discepoli, ma è Gesù stesso che replica loro: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori” (Mt 9,12-13).

Gesù chiama e parla con i peccatori, sta con loro, apre a tutti e non chiude le porte a nessuno domandando, però, la conversione. Il banchetto finale ci dice che Gesù ha a cuore che l’annuncio della misericordia e della salvezza raggiunga non solo Matteo ma anche quelli del suo ambiente. Nello stesso tempo, però, Gesù chiama a conversione – seguire Lui, infatti, comporta necessariamente un cambio di vita e di mentalità – e un esempio simile, molto significativo, lo troviamo anche nel Vangelo di Luca (cap. 19,1-11): l’incontro di Gesù con Zaccheo, capo dei pubblicani.

Zaccheo ne uscirà trasformato, anche qui tra le mormorazioni di molti, tanto che annuncia le sue scelte dirompenti tese a manifestare il suo cambiamento di vita: “Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto” (Lc 19,8). E anche qui la scena si conclude con un banchetto, perché la salvezza e la conversione non sono un fatto intimo e nascosto ma un evento che ha risonanza familiare e sociale.

Ma torniamo al Vangelo di Matteo: nel capitolo 14 viene narrata la “moltiplicazione” dei pani ed è interessante notare come viene presentata. Gesù è assediato dalla folla, ne prova compassione e guarisce i malati; quando arriva la sera i discepoli gli chiedono di congedare la folla, in quanto il luogo è deserto e non è possibile sfamare quella moltitudine.

Gesù, però, non raccoglie quel suggerimento (che pure, umanamente, aveva la sua logica) e non rimane indifferente di fronte alle necessità delle persone. Sembra piuttosto dire: non lasciamoli soli e risolviamo insieme questo problema. Così chiede ai discepoli di farsi loro carico di tutta la folla: “Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare” (Mt 14,16).

Camminare con Gesù richiede la fiducia in Lui; non ci viene garantito e detto come sarà il futuro o come tutto si svolgerà, ma ci viene chiesto di seguirlo e, appunto, di camminare con Lui.

I discepoli fotografano, sconsolati e increduli, la situazione: “Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!” (Mt 14,17). Ma anche questo non ferma Gesù che domanda di portargli quel poco che c’è, perché su quel poco Egli alza gli occhi al cielo, invoca la benedizione ed ecco che supera il livello orizzontale proprio delle soluzioni umane ed apre all’essenziale dimensione “verticale” della carità che si esprime nella sollecitudine verso gli altri.

E qui avviene il vero prodigio: il Vangelo non parla, a dire il vero, di moltiplicazione di quei pochi pani e pesci, ma il testo dice chiaramente che non solo quel “poco” – intreccio di quanto racimolato sul posto e del frutto della benedizione – è bastato per tutti ma, alla fine, è avanzato in abbondanza…

E quanto vale quel “poco” se è donato (come avvenne anche nel caso della vedova di Zarepta di Sidone con il profeta Elia – 1Re cap. 17), se è messo in circolo, se è affidato a Gesù, il Redentore, se comprendiamo di non essere noi i “possessori” di pochi pani e di pochi pesci…

L’io “filiale” di Gesù Cristo – che è la sua identità più profonda – va incontro ad ogni uomo – che è fratello e sorella – come Salvatore e Redentore. E noi siamo vicini a Lui e siamo veramente suoi discepoli nel momento in cui assumiamo i suoi sentimenti e ci facciamo carico, come Lui, dei fratelli e delle sorelle.

Il venire incontro nella carità ad ogni uomo, per un cristiano, non è semplicemente solidarietà umana perché riguarda una dimensione trascendente che rinvia sempre – grazie a Gesù, il Figlio – al cuore di Dio, alla Sua misericordia per l’umanità, al suo desiderio di bene e salvezza.

Gesù, il Redentore, ci dona continuamente le sue grazie e queste sono “soavi” e “dolci”, particolarmente gradite, le accogliamo facilmente, sono segno della tenerezza e della misericordia di Dio; con esse Dio dona anche delle grazie che possiamo definire “difficili” ed “esigenti”, ma che non sono meno preziose ed importanti per noi. “Voi stessi date loro da mangiare” (Mt 14,16): Gesù, insomma, invoca dal Padre la grazia di “moltiplicare” quel poco che c’è ma chiede il coinvolgimento dei discepoli, domanda una reale conversione al suo modo di vedere, pensare ed agire.

Continuamente, nei Vangeli, scopriamo quante volte Gesù chiama e sollecita i suoi a questo cambio di mentalità. Ad esempio, nel capitolo 6 di Giovanni, Gesù evita ogni tentativo di intendere (fraintendere) la sua autorità in un potere umano di dominio; allora sfugge alla folla che, dopo aver mangiato a sazietà, lo cercava per farlo re e sale sul monte da solo, a pregare. Non vuole, infatti, che il “segno” dei pani che nutrono il corpo sia confuso o sostituisca la Sua salvezza che va oltre il benessere del corpo; la Sua salvezza non può essere confusa o scambiata con un bene fisico o con un’attestazione di efficienza.

Gesù, a ben vedere, fugge di fronte ad una tale tentazione sin dall’inizio della sua vita pubblica (pensiamo alle tentazioni nel deserto che subisce da parte di Satana) e perciò chiarisce ogni fraintendimento sulla sua missione che non è “orizzontale”, che non è volta ad un potere terreno, che non mira ad una ricerca di appagamento materiale oppure – diremmo oggi – economico, mediatico o, anche, sociologico e politico.

Torna qui alla mente quella sorta di dialogo – che, in realtà, è un monologo –  tra il Grande Inquisitore e Gesù Cristo, ritornato sulla terra, raccolto in un capitolo del romanzo “I fratelli Karamazov” dello scrittore russo Fëdor Michajlovič Dostoevskij. “Accettando il mondo e la porpora di Cesare – il Grande Inquisitore rimprovera Gesù –, Tu avresti fondato il regno universale e dato la pace universale. Chi mai infatti deve dominare gli uomini, se non quelli che dominano la loro coscienza e nelle cui mani è il loro pane?”.

Ma Gesù – il Redentore – abbatte il culto pagano ed ogni tentazione di messianismo terreno (fama, potere, scaltrezza ecc.); abbatte ogni barriera e ogni tentazione farisaica, anche contemporanea, di distacco altezzoso dagli altri, sia quando questa si traduce in separazione e discriminazione nei confronti di chi è povero, malato o considerato “altro”, sia quando diventa motivo di opposizione ideologica nei confronti di tutto ciò che rappresenta ricchezza e potere provocando lotte di classe o populismi.

Gesù è l’unico e vero Redentore perché Lui è la salvezza, Lui è la misericordia di Dio che viene incontro all’uomo e lo chiama alla conversione, è Lui che tiene conto delle necessità e delle esigenze più profonde e vere delle persone e non lascia solo nessuno, è Lui che cambia il poco in tanto, ciò che manca in ciò che sovrabbonda, che passa anche attraverso la morte e ridona la vita e trasforma il peccato con l’azione della grazia.

Gesù accoglie e chiama alla conversione – sì, alla conversione – perché non vuole che l’uomo rimanga nel suo peccato e ci invita a seguirlo e a fare con Lui, e con tanti altri, un cammino insieme: è successo a Matteo il pubblicano, ai suoi discepoli, a Pietro e poi a Paolo, a Zaccheo, alla donna samaritana, all’adultera e a tantissimi ancora.

Così Gesù è la misericordia di Dio per l’umanità. La misericordia, però, non è la facile indulgenza né la superficiale tolleranza, tantomeno l’indifferenza al male verso chi è caduto nel peccato e che, essenzialmente, ha bisogno di sollevarsi da esso; la Sua misericordia è, piuttosto, la forza che converte, purifica e rigenera continuamente.

Gesù si china sull’umanità perché questa è la volontà di Dio Padre e Gesù percorre sempre e solo le strade indicate dalla volontà del Padre, dice le parole del Padre, compie le opere del Padre: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato. Colui che mi ha mandato è con me: non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli sono gradite” (Gv 8, 28-29).

Il vero amore è solo questo: un amore che cambia, che libera e rigenera, staccando dal male, sapendo dire anche dei “no”, se necessario. È questo l’amore ed è questa la misericordia che Dio ci ha rivelato e di nuovo ci rivela in Gesù, Suo unico Figlio, il Santissimo Redentore: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16).